Lo Stato Moderno - anno III - n.11 - 5 giugno 1946

LO STATO MODERNO 251 L'AUTOGOVERNO DELLA VENEZIAGIULIA E LO STATUTO DELLE MINORANZE ETNICHE E' uscito di recente IP6r i tipi dell'editore Zigiotti di Trieste un opuscolo ,di Manlio Cecovini sull'autogoverno nella"Venezia Giulia. E' un vero e proprio progetto di sta– tuto legislativo preceduto òa una brev~ relazione. Se fosse attuato la Venezia Giulia avrebbe una così ampia autono– mia nell'ambito dello Stato italiano, da trovarsi di fronte a questo nello stesso rapporto dj uno Stato membro rispetto allo Stato federale. Non che si voglia mutare la struttura dello Stato italiano in senso federale. E' implicito anzi nel progetto il riferimento allo Stato unitario. Solo che la Ve– nezia Giulia dovrebbe avere una posizione speciale, un suo governo regionale con attribuzioni non soltanto ammi– nistrative, ma con un potere ,legislativo così vasto da assur– gere a Stato entro lo Stato. Un organo legislativo chiamato Consulta, vero e tIJroprio parlamento regionale, avrebbe la piena potestà di legiferare in tutte quelle materie non sot– tratte espressamente alla sua competenza (in un articolo del progetto sono tassativamente indicate Je materie riser– vate agli organi legislativi dello Stato italiano, quali rap– poJTticon gli Stati esteri, cittadinanza, difesa nazionale, or– dinamento ghidiziario, potestà -punitiva penale ecc.). Non soltanto qualsiasi ingerenza dello Stato ita·liano sarebbe esclusa, ma le stesse leggi ·generali italiane, prima di entrare in vigore nel territorio della Venezia Giulia, potrebbero es– sere sottoposte ad un sindacato di legittimità da parte di una corte costituzionale con sede in Trieste, i cui mem– bri dovessero essere nominati ,per metà dal parlamento ita– liano e per metà dal ,parlamento ,regionale. Il Cecovini ha dato certamente prova <li rara perizia nella formulazione tecnica del suo progetto. Ma qui ci in– teressa l'aspetto politico ,del problema non quello giuridico. E ,politicamente il progetto si fonda su di un equivoco assai diffuso oggi nella Venezia Giulia. Vi sono due questioni che i più confondono e che invece vanno tenute distinte: quella del!'autonomia regionale, e quella dello statuto delle mino– ranze etniche. Si suol dire a Trieste che per la Venezia Giu– lia il problema della aufonomia ha dei particolari aspetti che non trovano· riscontro neUe altre regioni, e che la pre– senza della minoranza slava, spesso frammista alla popola– zione italiana sullo stesso territorio, pone la necessità di una diversa e più ampia autarchia. In realtà l'autogoverno re– gionale lascerebbe immutato il problema dei rapporti con gli slavi. La costituzione di un governo locale, quando non fossero giuridicamente definite le relazioni fra i due ag– glomerati etnici, non avrebbe di per sè sola la virtù di as– sicurare la pacifica convivenza delle due nazionalità, su di un piano di assoluta eguaglianza e di libertà. Il governo centrale finirebbe coli'abbandonare al governo regionale la cura dei rapporti con la minoranza slava. E<l è tutto. Ma lo Stato non può senza abdicare ad una delle sue funzioni essenziali, disinteressarsi di un problema che 1ml piano in– ternazionale è di tanta importanza che può persino condi– ;uonare Ja politica estera dell'Italia. Di qui la necessità di uno statuto della minoranza slava, impostato in modo auto– nomo, senza preoccupazioni di autarchie regionali, tale che possa coesistere con quel qualsiasi ordinamento interno che intenda darsi fo Stato italiano. Persino se l'amministrazione centralizzata e dispotica dovesse perpetuarsi ( quod Dew aoortatl) si imporrebbe il regolamento dei rapporti tra i due gruppi etnici. La presenza degli slavi nella Venezia Giulia non pone particolari esigenze di autogoverno per gli italiani. Sotto questo aspetto il problema giuliano non dif– ferisce da quello di altre regioni d'Italia. • o o L'esistenza delle zone miste, abitate da italiani e slavi, impone una soluzione che trascenda il criterio territoriale. Qui sta appunto l'errore di quanti concepiscono l'autonomia regionale, a base territoriale, in funzione dei rapporti italo– slavi. Invece bisogna creare la Comunità slava quale ente di diritto pubblico, che abbia di fronte aJlo Stato italiano la rappresentanza giuridica òegli slavi. Ad essa dovranno essere attribuite, limitatamente ai soli slavi, quelle potestà di imperio compatibili colla sovranità italiana. La creazione della comunità permetterà di risolvere in modo organico tutti i problemi della convivenza .pacifica e della collabora– zione tra i due popoli. Intanto si dovranno tenere distinti sinchè sarà possibile, gl'interessi italiani da quelli slavi con amministrazioni separate. E nella ,gestione degli affari co– muni bisognerà dare agli slavi una rappresentanza propor– zionale al loro numero. Ciò consentirà di eliminare la lotta politica tra italiani e slavi, o almeno di ridurre al minimo la superficie di attrito. 11 Granello alla Consulta Nazionale e JI Weiss in una conversazione al Centro di cultura politica di Trieste, hanno lanciato la proposta della circoscrizione etnica. Una volta stabilito che agli slavi spetti un certo nu– mero di deputati, un certo numero di consiglieri comunali, di consiglieri provinciali ecc., le elezioni di questi rappre– sentanti andranno fatte nell'ambito della Comunità slava. Così che, entro lo stesso territorio, la competizione eletto– rale si .svolgerà tra i soli italiani da una parte e i soli slavi dall'altra, senza che le elezioni degenerino in lotta di na– zionalità. Le « unioni sacre», quelle ibride accozzaglie tra uomini <li partiti diversi, inevitabili col sistema del coJlegio elettorale a base unicamente territoriale, scompariranno. Non vi saranno più il blocco dei partiti italiani e quello dei par– titi slavi, ma ogni elettore potrà essere liberale o democra– tico o ,socialista e così via, senza alcuna preoccupazione di carattere nazionale. • • • Come definire -giuridicamente lo «slavo»? E' ·questo il problema più delicato. Un qualsiasi criterio che deter– minasse di imperio l'appartenenza ad una nazionalità piut– tosto che ali'altra sarebbe arbitrario. L'accertamento ese– guito d'ufficio dalle autorità, sia .pure sulla base obbiettiva della « lingua d'uso •• spianerebbe la via ai tentativi di frode e di sopraffazione. Basti pensare al!e polemiche assa:i vivaci .ancora oggi, sui censimenti austriaci. La popolazione veniva classificata secondo la « lingua parlata». Ebbene sia da parte it:aliana che da parte slava si disse che quei cen– simenti non rispecchiavano l'effettiva composizione etnica della regione. Bisogna che ciascuno abbia il diritto di scelta tra le due nazionalità: ogni giuliano deve essere libero di dichia– rare se vuole eppur no appartenere alla Comunità slava. Ma si deve pur dare a questa, entro certi limiti, di respin– gere gli « undesirables ». Se l'accesso .alla Comunità dovesse essere completamente libero gl'italiani potrebbero aderirvi in massa e porre gli slavi in minoranza: lo scopo stesso della istituzione verrebbe meno. Ma neanche si potrebbe dare alla Comunità una potestà illimitata, che potrebbe tra<lursi

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