Lo Stato Moderno - anno III - n.10 - 20 maggio 1946

228 LU STATO MODERNO P. M. al sindacato diretto del ministro di giustizia, di un rappresentante cioè del IPOtere esecutivo e togliergli pertanto la garanzia di inamovibilità è un errore sia giuridico, perchè sovverte il principio della divisione dei poteri, sia politico perchè fornisce (ed è spesso avvenuto) al potere esecutivo un'arma potente iper far tacere la voce e scardinare le leve stesse della giustizia. Perchè ciò si eviti, perchè w1 popolo stanco di tirannidi e di guerre, ritrovi nella giustizia il faro che illummerà le aspre e deserte vie di' una ricostruzione, oc– cor,re l'autogoverno della magistratura: solo questo può as– sicurare una vera indipendenza (economica, amministrativa e politica), un'efficace tutela dell'integrità e della libertà civili e imporre, col 1,ovrano suo diritto di voto, W1a valida barriera .. agli arbitri dei governanti e dello stesso Capo dello Stato. E gli stessi conflitti fra gli organi pdlitici costituzionali possono essere composti sotto l'egida del diritto, e venir così assicu– rata attraverso l'azione superiore della Corte Suprema, b pace • PER UN politica e sociale, la s~abilità c la continuità della Nazione. Solo dunque .godendo di queste prerogative (indipen– denza, inamovibilità, sindacato di costituzionalità, autogo– verno) la magistratura ,può oggi creare quel ponte fra la li– berazione e la libertà che è la giustizia e costituire pertanto una insuperabile forza giuridica a tutela della personalità umana. A chi dica che un autogoverno della magistratura spezzerebbe il principio dell'unità deHo Stato, si può obbiet– tare l'esempio luminoso dell'America in cui, a detta di Toc– queville, sia pure con difetti inevitabili alla fragile natura umana, la Corte Suprema Federale costituisce il folcro attra– verso cui vibra il cuore delrW1ità nazionale. Occo~re che que– sto esempio sia oggi imitato dall'Italia: Wl'imitazione che non sia servile, che si richiami alle fonti secolari della nostra storia giuridica, ma che ci dia finalmente una serenità nei cuori e una vera pace in ,un sistema· giuridico dì libertà. VITO CITELLI e contro una presidenza della ~epubblica Con il titolo perfettamente co11trario « Per una Presi– denza e contro un Presidente della Repubblica » Alessandro· Levi in un articolo pubblicato nel fascicolo di aprile della Critica Politica difende le ragioni di una presidenza colle– giale contro quelle di un presidente singolo, nella ipotesi naturalmente che il prossimo refere11dum risulti favorevole alla tesi repubblicana. Come è noto questa te~'i, che il Levi dichiara di avere ripreso dall'ing. Olivetti, è stata fatta pro– prio dal partito socialista in una sua• ultima enunciazione programmatica. In realtà spiace che u,1 uomo come Alessandro Levi, cui tanto debbono gli studi storico-politici italiani, e un par– tito come quello socialista chiamato indubbiamente a reci– tare una parte di primo piano ne/l'immediato avvenire del paese, sostengano tesi così evidentemente da1111ose alla ener– gia della futura direzione politica italiana. Non si tratta in verità che di un episodio di quel curioso timore verso l'ese– cutivo da cui sembra affetto il partito socialista sia in Fran– cia che in Italia, Paura forse di un nuovo fascismo? Ma questo da parte di un partito che si appresta senza dubbio a esercitare gran peso nel governo del paese, sarebbe una confessione troppo grave di debolezza. Ma per ora ci limiteremo al tema Presidente-Presidenza. I criteri inforrnator·idi questa proposta sono, nelle er1u11,– ciazioni del Levi, questi tre: primo la collegialità, poi la apoliticità, infine - e causa anzi, come vedremo, del se– condo criterio - la officialità. L'argomento massimo addotto dal Levi è che la colle– gialità « pare a lui il mezzo più deciso e sicuro per preve– nire ogni velleità dittatoriale»; w1 secondo argomento di ca– rattere storico eccolo qua secondo la parola cieli'autore: « l'e– sempio delle reggenze collettive che si sono costituite anche reoentissimamente in più d'uno stato: reggenze che nOIIlumno fuvzionato peggio di monarchie individuali». L'argomento storico in realtà non vale molto, sia per il poco conointo entusiasmo co11 cui ·oiene enunciato, sia per la eccezionalità della situazione in cui hanno funzionato le reggenze in questi periodi, in cui fra l'altro è mancato do– vunque il Patkimento, sia perchè nei pochi paesi in cui essa è stata instaurata - Belgio, Jugcslaoia - ha dato risultati assai poco brillanti. Quanto al timore della dittatura il Levi ha dimenticato che dialetticamente la dittatura nasce 11011 già dalltt forza, ma dalla debolezza dell'esecutivo (vedi gli esempi recenti dell'Italia e della Germania), e tanto peggio quando ltt debolezza è collegiale, come ci pare ampiamente dimostrato dalla storia del direttorio francese dalla cui de– bolezza uscì fuori ap7111ntoNapoleone. E il precedente, ci perdoni l'illustre storico, ci pare assai più calzante di quello delle recenti reggenze. La officialità si pone come premessa della apoliticità. I Presidenti, cioè, poniamo col Levi in numero di tre, do– vrebbero essere tali in virtù dell'ufficio ricoperto, per esem– pio, seconda la proposta Olivetti, essi dovrebbero essere i tre Presidenti della Corte di Cassazione, ciel Consiglio di Stato, della Corte dei Conti. Essi potrebbero essere nomi– nati dal Consiglio dei ministri o magari dallo stesso Parla– mento, e dovrebberroesset'ieirrevocabi,li fino allo scoccare del limite di età e quindi, secondo l'ingenuo pensiero del Levi « sarebbero sottratti al gioco delle alterne vicende politiche, e finchè dura il loro officio potrebbero pertanto considerarsi estranei alla gara dei partiti ». Abbiamo detto ingenuo il pensiero del Levi, e insieme ci scusiamo e ci spieghiamo. Con questo sistema infatti an– zicchè sottrarre alla gara dei partiti la elezione del presidente della Repubblica non si farebbe che coinvolgere in essa la eleziOlle dei presidenti d,ei più gelosi organi dello stato, elezione che - questa sì - deve e dovrà rimanere del tutto indipendente dalla politica per richiamarsi ai soli criteri tec- nico-morali. · Ma com'è possibile questo una volta che la elezione vale anche per ascenclere alla più politica delle cariche? E qui viene la pi~ curiosa delle argomentazioni del Levi; quella cirro l' auspicabik « apoliticità » del éapo del, governo. Dio ci perdoni (e anche il Levi), 1na qui c'è pro– prio sentore di qualunquismo. Ma .c= si fa a ragionare ccsì? Lo state è la massima organizzazione politica della società umana: ora è mai pos– sibile che, sia pure devirilizzato come lo vuole il Levi e con lui il partito socialista, il suo Capo sia... apolitico? C'è in giro una sorda irritazione contro la politica; ci sono i tecnici che sognqno la tec110crazia,e ci sono i sem– plici o i troppo furbi cHe sog,)(mo lo stato amministratore, e non si accorgono che anche questa è politica; solo è una falsa e cattiva politica, e fanno come quel selvaggio di Pa– scarella che era nella ~-torio « e nun ce lo sapeva». VITTOR

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