Lo Stato Moderno - anno III - n.8 - 20 aprile 1946

LO STATO MODERNO 111 · 'MONARCHIA O Il S!l, -Ò.<1iXJ aver toccato cli volo gli -elementi storici e politici che condizionano .il i)(Oblema, veniamo alla fase che ne de– termina Ja soluzione, .ci saranno altre osservazioni da fare. E anche qui, occorre sgombrare il terreno dall'argomento delle benemerenze traqizìona'ii. Luigi Salvatorelli, in un pre– zioso Jibretto, Casa Savoia nella storia d'Italia (ed. Gentile) ha <l.iscusso da par 1,uo anche l'azione della dinastia durante il Risorgimento, mostrando come Vittorio Emanuele II abbia sa,puto impadronirsi del moto nazionale a profitto .della sua Casa, mediante ,una felice .coincidenza d'interessi. Questa saldatura fra monarchia e rivoluzione si compie nel 1860-61: dopo la .,proclamazione <lei regno la dinastia rimane sola, e la .ma opera ci porta al 1866, ed ai conflitti che pr~edettero la.presa di Roma. Scomparso Vittorio Emanuele ll, Umberto tenta una ,politica dinastica, « il .re governa », -che lo con– durrà alle barricate del '98, e a Monzlf. Vittorio Imbriani, che tra Je a,itre bizzarrie aveva quella d'esser monarchico ~a'l– pitante e militante, ci rappresenta bene questo tentativo di restaurazione dinastica, contro la democrazia che faticosa– mente sai_e. Ma il miglior testimonio, ,pur esso monarchico schietto, è Domenico Farini, presidente del Senato, il cui Diario (di .cui si attende il seguito, giacché il q>rirnovolume va dal 1891 al 1895) è capitale. Per una delle distrazioni di cui la burocrazia fascista andava famosa, questo libro che ris~hia nel suo putridume la vita politica del tempo, e le debolezze della dinastia, awarve a cura di un istituto edi– toriale sovvenzionato e vigilato dai regime: il .quadro che· esso presenta è tal quale la società e il .governo .del ,tempo fa– scista. Collegato con la Banca Romana di Quilici, altro vo– lume che documenta il rovescio della tesi per cui fu scritto, il Diario .di Farini <:i dà un'immagine esatta e persuasiva di ciò che fu il iregno di re Umberto,_ nei propositi e negli atti: la politica del Quirinale- nell'ultimo decennio dell'Ottocento, è identica a quella dal 1922 al 1945. Benito Mussolini, nelle sue memorie, ,ha qualche interessante capitolo circa quella ch'egli definisce la «diarchia», cioè il governo a due di ~ .re, teoricamente .cootituziornrle, e di un primo ministro assoluto. Per quanto si tratti di un' attesta– zione unilaterale, essa sembra attendibile, e non sarà certo l'io difendo la monarchia di Pietro Silva, a cancellare dalla memoria di chi, iJer vent'anni, ne ha fatto personale espe– rienza, la veridicità della tesi. Palesemente il rn si era con– servato il .controllo dello Stato Maggiore dell'esercito, o me– glio di un ristretto gruppo di genera:li; si mostrava intransi– gente in questioni fonnali di vanità o di etichetta (di scarsa importanza) e talvo1t-a anticlericale (curioso come la politica d'idillio co1 Vaticano fosse opera di due miscreq.enti). ,Il J"esto, cioè la sostanza, il rispetto delle libertà statutarie, fu sempre tenuto in non cale. Esercito, amministrazione, magistratura, scuola, politica estera ed interna, furono abbandonati aUa fascistizzazione, restarono buona preda del Duce, e del Se– gretario del Partito unico. Questa ~ncezione dei ·doveri della monarchia fu singolare. Ma ipiù strano anco~a il disegno del colpo di Stato del 25 lu– glio 1943, operazione 4>01iziescaben congegnata (salvo sul piano internazionale) approfittando di un nucleo di fascisti dissidenti, e del meccanismo d~ Gran Consiglio, che gi096 contro cbi l'aveva istituito ,wr controllare la monarchia, e re– golare la successione della corona. Appare chiaro dalle note politiche -che il Federzoni (Romulus) féce a tempo a scri– vere '!leÙa « Nuova Antòtogia » del 1 e del 15 agosto 1'943, che li ,pèn'siero de1 re eta di escl>li:itareun fascismo senza il REPUBBLICA? suo duce, ,lasciando magari in piedi il partito, e operando in un primo tempo con un gabinetto di pseudo tecnici presie– duto da un militare. l.a tendenza anti<lemocratica, il « re governa», si riaffacciava prepotente. Senonchè, mentre il Badoglio, soelto come uomo di fiducia, cacciava in ogni posto disponibile un generaie (fino all'Azienda tranviaria di Milano) non curando però di .sostituire i generali fascisti con altri al nuovo stato di cose più consoni, la lame de fond, la grande ondata imscitata da una tlibertà octroyée «manu militari», spa– ventava la monarchia. Corse .al riparo con due vecchi lea– ders di sinistra, il Roveda e il Buozzi; dovette concedere lo smantellamento del regime, fu ,srado a grado scavalcata dagli avvenimenti. L'apprenti sorcier Vittorio &nanuele III, fini per accorgersi che le cose erano più grandi di lui, e dopo aver fatto per 45 giorni il primo ministro di sè medesimo, con Badoglio per segretario, e un gabinetto di gente,dappoco ed infetta (salvo una o due mosche bianche) rigorosamente te– nuta all'oscuro delle sue macchinazioni, arrivò aU',ignominia della fuga di Pescara. La storia dei i-apporti fra monarchia e fascismo, è troppo viva per noi, perchè occorra rievocarla; quanto alle respon– sabilità della dinastia, bastano i pochi cenni da noi fatti. Soci finchè gli affari prosperarono, ere e duce, in vista del fal– limento si volsero ai ripari: il primo, che aveva fatto buon mercato dei suoi impegni costituzionali, pensando sempre ai soli interessi della Casa e coll'istintivo disprezzo della demo– crazia di cui il padre l'aveva nutrito, tentò di scindere, a guerra prossimamente perduta, la sua connivenza col fasci– smo, che aveva instaurato, difeso, manterruto. Il secondo, la Ììlente .annebbiata dai lunghi anni d'incontrastato dominio, dagli amori senili, da1la convinzione d'essere invulnerabile e insostituibile, dal disprezzo in cui teneva il suo socio, cadde fl capofitto nella trappola di monsù Savoia. E solo più tardi, per merito di Hitler, pigliò la sua irivincita rulle rive del Garda. Ca~lo Sforza ha narrato, ne L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, che nel colloquio concessogli da Churchill al– i' atto del suo ritorno in patria, il Premier gli parlò a lungo della convenienza o necessità""" di mantenere la monarchia, e proprio Vittorio Emanuele lll in trono. La testimonianza, ch'io sappia., non è stata impugnata. Egli conferma ciò che si attribuiva al partito co;ise_rvatoreinglese, a favore della so– luzione monarchica. Soltanto, la diffusa ignoranza italiana dello spirito e della politica britannica, favoleggiava di in– tervento della corona inglese: non credo che, modello dei gentle-mens, il re d'Inghilterra abbia mai giudica~o il suo ex– collega, altro che come unreliable, untruthful, disreput6ble, o qualche altro aggettivo del genere. Ma sicuramente, i torles, allorquando erano a1 potere, avevano maggiori simpatie per una monarchia, che per una repubblica. Le loro ob'bi~zioni contro quest'ultima, in Italia, erano: 1) che dato Jo stato arretrato e discorde del paese, -essa non è safe, sicura; 2) che, attuandosi, rischia di essère una repubblica socialcomu– nista, con tendenze russofile, iii una zona d'infiluenza anglo– sassone. Senonchè, i fatti e <non le idee sono il banco di prova della politica inglese, e caduti, con l'andata al governo dei laburisti, gli ostacoli, o meglìo le esitazioni dei conservatori, l'empirismo britanni.co ci attende a:l varco. Che non esiltano pregiudiziali ideologich<' è ,provato dalla tenacia con cui lo stesso Churchill sostenne .il repuhblicano De Gaulle, contro il filomonaTchico Ciraud, benmo agli americani. E Ram:toiph Churchill, nella sua inchiesta in ttalia, pa concluso che l'u• nico guaio sarebbe che uno deì due partiti, monarchico o

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