Lo Stato Moderno - anno III - n.6 - 20 marzo 1946

LO STATO MODERNO 129 poichè « maivage ,sono <tutte de sue opere » e per esso il Sal– vatore medesimo « non potè pregare». Finchè al tavolo della pace ancora risuona - più o meno •attenuata - fa minaccia del barbaro « Vae victis», cui ipocritamente si vuole contrapporre il romano « parcere subiieotis », sarà sempre vitt:oriosa la bieca fraternità .,di Daino e di Romolo, non la luminosa affinità spirituale degli uomini non immemori del dolore che .tutti affanna e tutto purifica. Unicamente frutti di cenere e tosco hanno dato tutte le tregue concluse con meri calcoli prudenziali, sotto l'ispi– razione dell'odio e della diffidenza: e, se noi dobbiamo oggi perorare la nostra causa soltanto mostrando il volto del! no– stro « tradimento », dopo aver « vestito i sacchi della pe– nitenza» pure per l'idea che sorrise ai migliori fratelli no– .stri caduti sulle vie di Trento e di Trieste, - sentiamo che nulla veramente· si fa perchè non abbia a scoppiare - a breve scadenza - una terza più terribile guerra mondia.Jie. Noi non possiamo dimenticare (- per non ricorrere ad altre sig;nificative illustrazfoni dei nostri, purtroppo, giu– stificahilissimi timori -) come, agli inizii del secolo scorso, il nazionalismo « violento e retorico » dei « DisGQrsi alla na– zione tedesca » del pensatore che, pure, nei suoi anni gio- · vanili, era pervaso da un illuminato senso cosmopolita,· sia stato una quasi naturale reazione alla frenesia napoleonica del direttore della « Bamberger Zeitung ». Ad ogni ingiusta oppressione non può~ non corrispondere una esasperata ri– volta. • •• L'indipendenza nazionale· e la libertà politica devono, dunque, essere riconosciute qutfi premesse necessarie allo affermarsi di una Federazione degna del suo nome: altri– menti questa ricalcherà le orme di quella Società delle Na– zioni, la qua1e .non volle mai .rivedere gli ingiusti Trattati di VersaHles. Gli Stati potranno rinunciare ad ,una parte della pro– pria sovranità solo dopo che si saranno convinti di non venir meno alla propria funzione di « istituzioni protettrici contro l'ingiustizia »: essi non devono affrettarsi a dissolversi in un organismo del quale non è, nè può essere, ancora ben defi– nita l'essenza e la struttura, Se, per r~ngere il pericolo delle aggressioni; può ba– stare che « oobiano i vincitori il diritto di salvaguardare, a mano armata, le conquiste loro », e che chi detiene il se– greto de!Ja bomba atomica amponga fistituz,ione militare obbligatoria « pur ad un popolo la cui menta~tà fortemente vi contrasta», per donare la vera pace agli uomini è anzi– tutto indispensabile <lasciare quest'abito di guerra, che alla forza del diritto sostituisce il diritto della forz,a, poiohè non si può prestar fede alla sincerità dei prc>positi federaHstid di chi - non essendo conscio della propria umana respon– sabilità per lo scatenarsi di ogni sanguinoso conflitto - si preoccupa massimamente di non perdere alcuno dei propri privilegi, creàti da antiche o da recenti violenze e frodi. Ritorniamo così alla nostra affermazione iniziale: la Federazione non può derivare se non dal trionfo della giu– stizia, la quale ha la sua più pura sorgente nella coscienza che il vivere nostro deve essere un esercizio continuo di pu– rificazione dalfegoismo ,per cui, sino ad oggi, s'è avuto l'« homo homini lupus». Solamente per tale coscienza l'arida opacità dei sensi potrà ,essere vinta da un ideale luminoso e ardente: la realtà dal sogno. P.repariamo dunque, senza impazienze, le vie alla Fe– derazione mondiale dei popoH liberi con una più assidua educazione al « dovere da compiere -senza alcun interesse », e alla carità predicata e vissuta dall'Apostolo delle Genti, che solo « fo suo godimento del godimento della verità ». IDA VASSALINI NICOLO' TOMMASEO, OGGI Scrisse Paolo Prunas di Nicolò Tommaseo: « C'è nel fondo della sua natura vivacissima, per i tentativi dell'arte più nuova, per le nuove manifestazioni del pensiero italiano, come un'ardenza impetuosa, un entusiasmo gradevole che lo rendo– no, sotto un certo punto di vista, un uomo moderno, un uomo nuovo ». Oggi, in questo fervore-di revisione dei quadri culturali antichi e moderni, potremmo aggiungere: un uomo contemporaneo. Se mettiamo poi a confronto la caratteristica frigidità del nostro u'.timo ventennio letterario, con l'entusia– smo umano e profetico che vibra nell'opera di Nicolò Tomma– seo, dovremmo fare ancora un ardito passo in avanti per ri– conoscere in lui quasi un uomo nato per ridare anima e fiato alla nostra cultura. Ai chierici del secolo un'accusa possiamo fare, senza tema di smentita, ,poichè trova fondamento in ogni loro pagina, intelligente e preziosa fino alla capziosità, ma lieve e oscil:ante come smorta foglia autunna!e: non avere mai osato -toccare il fondo delle umane cose, per un radicato senso di scetticismo, per una sostanzia!e carenza di fede e d'entusiasmo. Così la cultura non ha saputo fa;e argine alla barbarie. Oggi tutti se ne avvedono, a cose fatte; invo– cano con improvvisato ardore polemico una cultura umani– s,tica,sé non addirittura umanitaria, che penetri nella vita del– I uomo come un balsamo e risveg:i gli istinti più sani, le as– sopite memorie di una millenaria civiltà. Dopo uno scanzo– n~to quarto di secolo in cui le lettere, le arti e anche le scienze -storiche o filosofiche, salvo lodevoli eccezioni, intac– ~rono appena d'involucro annoso della nostra umanità, con– siderate dai più còme un diletto, un'esibizione, spesso una D cortigianeria, siamo ritornati pensosi e parliamo -senza falsi pudori di una missione deJ:a cultura, cui si intende ridare quel carattere te'.eologico del qua!e si era quasi totalmente spossessata. Potremmo dire, empiricamente, che ci troviamo dinanzi a -un ricorso vichiano e tutto ciò che è pallido segno di una civiltà xisorgente contro la domata barbarie. Nicolò Tommaseo, che di Giovan Battista Vico fu commentatore ap– passionato, potrebbe essere un maestro di questa generazio– ne meditabonda. Eccettuati i romanzi è le poesie, che me– riterebbero una più benevola comprensione (valga, in ogni modo, ['acuto elogio di Francesco Flora) egli non ha lascia– to opere solide e omogenee, per una certa dispersiva mania enciclopedica, mentre la sua indagine letteraria è appes'antita da un'erudizione, .un moralismo, una partigianeria troppo con– tingenti per vincere l'usura del tempo. Eppure, emerge dal frammentario complesso dei 1-uoi scritti una personalità fe– lice ne:Je profezie, acuta nell'afferrare il senso -storico della rea:tà, saggia ne:Je meditazioni, lungimirante nel determinare le conseguenze mediate degli eventi, precisa ne!la diagnosi de:Je umane insufficienze. Perchè (torniamo al discorso ini– ziale) egli non fu so:tanto intelligenza, ma entusiasmo e fede; credette, con Vico, neJ.:a missione della cultura di aprire al nostro sguardo incantato g;i orizzonti del bel!o e della sag– gezza. Se dovessimo decidere oggi su quel che è vivo e quel che è morto in Nicolò Tommaseo, affideremmo la sua im– mortalità al miracolo d'una intuizione estetica, storica e po– litica quasi, infallìbile, forse proprio perchè sorretta dal ca– lore della fede e -dell'entusiasmo, I segni òi 9.uesta indoma-

RkJQdWJsaXNoZXIy