Lo Stato Moderno - anno III - n.5 - 5 marzo 1946

110 LO STATO MOD~NO quelle nobili repubbliche, paghe solt~to di libertà, i loro autori le avessero rbuttate vichianamente nel tempo, anche in un tempo ideale, di fantasia, fuori della storia, ossia se dell'utopia avessero fatto un'ucronia, avrebbero assistito a ben curiosi effetti. Non c'è potenza, non c'è espansione che non _nasca da un complesso difensivo, proprio da un nobile bisogno di libertà. · Dalla libertà la nazione, dalla potenza lo stato. E non c'è nazione che non si faccia stato, non c'è libertà che non si sviluppi in potenza. Se il diritto è il sistema di repressioni e di concessioni capace di fare coincidere i diversi interessi, è possibile questo nel rapporto tra gli stati? La insufficienza di og~i ordinamento giuridico internazionale finora sperimen- . tato sembra escluderlo. E' impossibile ~ciplirtare la potenza, imbrigliare lo stato. . Non c'è speranza in una disciplina degli stati, ma solo m una modificazione degli stati. Soltanto una rinuncia alla sovranità •Statalepuò rendere possibile quella convivenza ope– rosa alla quale l'Europa aspira oggi più che mai. Da qu~sta urgenza e da questa a~irazione è nato iQ– Italia il. Movimento Federalista Europeo: costituitosi -ufficial– mente a Milano nel Congresso del settembre 1943, sullo scorcio dei 45 giorni, con quella fisionomia originale che si ritrova nel manifesto allora pubblicato, ma composto un anno prima dai suoi iniziatori (Colorni, Rossi, Spinelli) nel confino di Ventotene. Anche se oggi le posizioni di quel manifesto non appaiono più attuali, poichè esso muoveva da un pre– supposto che non si è avverato (e -chi scrive criticò fin da principio, nella corrispondenza clandestina_·del 1942, quella impostazione); non Bi può tuttavia negargli il valore di un atto di fede fi di intelligenza, di fede teor_etica e di intelli– genza pragmatica. Il presupposto era la previsione, in quei mesi non illegittima, di un esito nel conflitto, in Europa, differente da quella che è stato: era l'ipotesi di un completo colliwo di tutte le potenze europee, vincitrici e vinte, che avrebbe portato al disfacimento. di. tutte le strutture statali. La fiducia di questo travolgimento creava la speranza di una improvvisa rigenerazione, una specie di fiducioso millena– mmo. E si intende che la intelligenza politica non doveva assistere inerte a questa palingenesi, ma provoèarla: creando la convinzione che proprio quello, irrepetibile, era il momento favorevole alla rinascita di -unanuova Europa. Quel momento in cui tutte le strutture degli organismi statali, dentro ai quali si era venuta dissociando e associando e elaborando e irrigi– dendo <la secoli la compagine europea, ormai giunti a ·un li– mite di tensione, erano in frantumi. Bisognava intervenire SU'Oito, .quasi di sorpresa, prima che le forze conservatrici mfaticabili che li avevQilo prodotti li iricomponessero, com• promettendo così ogni possibilità di una nuova evoluzione dell'Europa. Fin quando sussistono i presupposti del naziona:'.' lismo, questi costituiscono un impedimento non superabile a qualsiasi sincera tendenza progressista. Le classi, gli istituti, e i pregiudizi che formano la corazza dello stato sovraqo possono lasciarsi attraversare da correnti di evoluzione o venir abbattuti <la impeti rivoluzionari, senza venir per questo nè sciolti nè distrutti. Le stesse forze che li hanno travolti, su– bito li risanano e li ricostituiscono, calcificandoli in nuovi egoismi . nazionàlisti. Donde l'apparente l~tali~à di quelle strutture e <li quegli interessi. Come vediamo oggi la situazione? Quel crollo cÒmpleto e l'!Ìnporsi di un nuovo assetto, da attuarsi quasi in gara con le forze conservatrici prima che riavutesi potessero ricosti– tuirsi ·e bloocare di nuovo Ja situazione, non si sono avverati, e oggi sembrano fantasie. Viceversa si è ripetuta la situazione tradizionale: sui frantumi degli stati vinti calcano gli impe– rialismi dei vincìtori, più che mai colossali, e intorno bruli– cano innumerevoli risentimenti nazionalistici. Se quel postulato si è dissolto, sussiste tuttavia ciò che potrepbe chiamarsi il principio o il metodo federalistico: del– l'unione europea intesa e voluta come condizione e non ri– sultato di un'autentica rivoluzione sociale, sinonimo ·di pro– gresso in Europa. Nessuna democrazia definitiva in Europa se non rovesciando quell'ordine' di stati sovrani e nemici che provoca e giustifica le gerarchie politiche, i dislivelli sociali, i privilegi economici, le protezioni autarchiche, gli egoismi sezionalistici, come indispensabili· alla nazione (mentre non sono indispens'abili che allo stato). Impossibile poi parlar~· di stati sovrani amici. Sovranità è ·sinonimo di inimicizia. Ora constatiamo il curioso effetto •di un delusione. Pro– prio i promotori del movimento, negli ultimi tempi, hanno rovesciato il loro metodo: e hanno subordinato ogni azionea europea a preoccupazioni internazionali e soprattutto interne. Ribellione al metodo, che vorrebbe essere un atto di intelli– gente spregiudicatezza. Posto che la situazione odierna è tanto lontana dalle previsioni; che siano di fronte a un si– stema di imperi~ismi e di zone d'influenza; meglio non pro– vocare con una propaganda prematura, un irrigidimento di quei blocchi, una precipitazione irrevocabile di quegli anta– gonismi che pregiudicherebbe l'avvenire. Donde la raccoman– dazione, partita. recentemente dagli ambienti romani, di so– spendere ogni iniziativa, di man.tenere il movimento su una linea di a.ttività culturale, insomma un invito al letargo. Il convegno di Firenze del gennaio scorso reagi a questo invito. E non perchè cieco di fronte ài pericoli della situazione odierna, troppo palesi. Non era necessaria l'acutezza dei po– litici romani per a~orgersi che le condizioni d'oggi portano l'Europ.!l a diventare un blocco occidentale, antirusso; e non per spirito reazionario, ma per necessitl difensiva. Allo stato attuale un'unione europea vorrebbe dire un continente de– curtato di almeno un quinto di Europa balcanica, orientale, baltica; ossia un'Europa irredentista. Eventualità che il con– vegno saggiamente non pose nememno in discussione. Nes– suno era anda\o a Firenze con l'intenzione di fare gli Stati Uniti d'Europa, ma col modesto proposito di sviluppare una organizzazione capace di ravvivarne l'esigenza. E d'altra parte proprio l'incapacità, o meglio l'impossibilità, mostrata dalle conferenze di Londra e ~ Mosca e oggi dell'U.N.O. di superare il plinto morto fatale in ogni politica di equilibrio, quello che prelude a nuove guerre, dimostra che solamente il richiamo a diversi criteri e non a diverse combinazioni permetterà di uscire dall'imbroglio in cui il mondo si trova. Non dimentichiamo inoltre che la vita politica non è un gioco di scaéchi: le forze politiche non sono pec;line·in mo– vimento; le forze, mutevoli, modificami le mosse, e le mosse le forze. La situazione di ,una parte dell'Europa orientale e della Russia stessa non sono definitive, e proprio una decisa concentrazione dell' Europa contribuirebbe enormemente a · modificarle. Non si tratta oggi di anticipare combinazioni interstatali ma di creare uno spirito internazionale, ossia uni– tario. Lo stesso margine di imprevisto che vi è irr ogni con– siderazione politica ci esime da proposte e da previsioni premature. Proprio perciò i delegati di Firenze si sono. tro– vati concordi nel giudicare la situazione d'oggi, con la- sua pericolosità e la sua disperazione, più che m.ai favorevole all'affermarsi di uno spirito federativo. SÒtto questo aspétto il deliberato più importante del convegno è stato quello di condurre un'. opera di propaganda e <li organizzazione capace di trasformare l'attuale stato <l'animo di. gen~rica simpatia•

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