Lo Stato Moderno - anno II - n.22 - 20 dicembre 1945

358 LO STATO MODERNO SALARIE RIPARTIZIONE DEI PROFITT1 Il sistema di retribuzione mista del lavoro, parte in sa– lario e par-te con la ripartizione di profitti d'azienda, com– porta un miglioramento effettivo della rimunerazione e cor– risponde all'interesse de'lla classe lavoratrice e della produ– zione? Crediamo di poter dare la dimostrazione contraria. . Supponiamo un'industria che dia lavoro a 500 operai. L'imprehditore impiegi un capitale proprio di lire 10.000.000; paga durante t1n anno di- gestione lire 10.000.000 per salari e stip~ndi, impiega lire 10.000.000 di materie prime, ed in– contra lire 9.000.000 di spese. Alla chiusura dell'esercizio, • dopo essersi attribuito durante l'anno lire 200.000 come diri– gente (somma che non è compresa nell'ammontare dei salari e stipendi sopra indicato), si assegna lire 1.000.000 quale interesse del capitale ed ammortamento. Di fronte al totale di lire 30.200.000 cosi otlenuto, la vendita del prodotto finito consente un ricavo di lire 31.000.000 con· un margine di profitto di lire 800.000. Se afférmiamo che ripartendo fra i hvoratori dell'azienda questo profitto che non è giustificato da alcuna ragione o necessità economica, si -farebbe alt~ di giustizia, diciamo cosa esatta. Ma si tratta di un esempio preordinato che, come vedremo, non bashl a pruvare J,asupe- 1 riorità del sistema. Intanto,' la situazione delle grandi anonime italiane non corrisponde affatto a quella dell'ipotetica industria presa per esempio, la quale nell'esercizio in esame ha ricavato un pro– fitto considerevole. Evidentemente, perchè il sistema della ripartizione degli utili possa funzionare, occorre sia ·prestabi– lita la percentuale massima di interesse assegnabile al capi– tale con precedenza sul riparto del profitto ai la".oratori; e per farlo bisogna riferirsi alla quotazione dei titoli in borsa e non al foro valore nominale. Nel 1938 la Fiat, con azioni del valore nominale di lire 200, che raggiunsero durante fanno la quotazione massima di lire 502 (la quotazione media che non siamo in grado in questo momento di procurarci non è stata inferiore di molto, perchè la quotazione minima è stata di lire 337) assegnò un dividendo, al netto dell'imposta sui titoli, di lire 18, pari al testso d'impiego annuo del 3,60 %. Nel medesimo anno il tasso d'impiego 'calcolato nello stesso modo è stato 3,61 per la Snia Viscosa, 3,62 per le Cucirini Cantoni Coats, 2,22 per il Lanificio Rossi, 4 per la Monte– catini, niente per l'Ansaldo come era già avvenuto per gli otto esercizi precedenti, 3,91 per ,la Temi, ecc. Questi tassi, inferiori alla rendita dei titoli di Stato, sono presumibilmente anche inferiori al limit' massimo che sarebbe assegnabile al capitale, restando così esclusa I' eviintualità di qualsiasi ecce– denza da assegnarsi ai lavoratori. Possiamo ammettere come possibile un aumento del rendimento delle aziende, anche se, purtroppo, questo non è il momento per tale ipotesi; ma bi– sogna tener presente che la borsa sconta puntualmente le stesse prospettive della gestione. Se le prospettive sono favo– revoli, la quotazione dei titoli azionari aumenta prima ancora che i risultati dell'esercizio siano definitivi; e l'aumento della quota, attuandosi il sistema di rimunerazione che stiamo esa– m..i.l)ando,farebbe si che la retribuzione del capitale assorbi– rebbe una maggior somma di utile, indipendentemente dalla percentuale di riparto, ·che, secondo la nostr_a ipotesi, non potrebbe superare il limite prescritto. (Per chiarire: se fosse consentito di assegnare,agli azionisti un dividendo del 5 % sulla quotazione di borsa, ogni azione potrebbe avere un riparto di lire 20 se è quotata L. 400; ma il riparto sarebbe di L. 25 se la quotazione fosse di lire 500, ecc.). La cosa ha importanza anche perchè nel gioco di borsa entrerebbero ine- vitabilmente simili calcoli. · • Tornando ora al nostro esempio, va osservato per prima cosa, che ·il residuo di lire 800.000 indica semplicemente che il lavoro dei diversi produttori non è stato _valutato. abba– stanza, indica cioè che le paghe e gli stipendi sono stati fis– sati in misura troppo bassa e che l'imprénditore, se si attri– buisse la somma in questione; si approprierebbe questo so– prapprezzo, ricavato a ~capito dei lavoratori. Se la ripartizione degli utili venisse dècisa con obbligo di applicazione retroattiva per· l'esercizio concluso, verrebbe a rappresentare per qualche azienda particolarmente reddi– tizia e 1Jet' una vpl.ta tanto - come appunto nel caso preso ad esempio - la correzionJ dell'eventuale ingiustizia compiuta attribuend ai lavoratori una rimuneràzione troppo bassa. Ma ciò non può essere, perchè l'applicazione della riforma deve invece essere preordinata, mentre le retribuzioni vengono pattuite dalle organizzazioni dei lavoratori in concorrenza con quelle degli imprenditori, avendo per mira di raggiun– gere il giusto limite che impedisca l'attribuzione al capitale di utili eccedenti la misura abitudinar!a, Se tuttavia certe aziende, in virtù del loro miglior anda– mento o di fortuiti casi fa\(orevoli, riuscissero, come quella pre5a in esame, a realizzare un isoprappezzo che le altr~ aziende non realizzano e perciò distribuissero una quota di profitto ai J'avoratori, cìò non avrebbe che sfavorevoli conse– guenze sulla regolamentazione salariale delle categorie di mestiere intere5sante. Difatti l'azione sindacale tende ad ade– guare le rimunerazioni al livello massimo, vogliamo ~e che, tende ad adeguarle ,sulla misura che può essere comsposta dalle aziende del ramo meglio funzionanti e più redditizie; le aziende meno organizzate, mal dirette o comunque meno !or– tunate con bilancio scarsamente attivo o addirittura passivo, devon~ corrispondere tuttavia ai dipendenti le stesse rimune– razioni che vengono corrisposte dalle aziende più prospere delle ste~e categorie di mestiere, anche se ciò dovesse condur– re a perdita di capitale. Se invece si instaurasse li sistema della rimunerazione mista, salario e partecipazione agl,i utili, le pa– ghe non tarderebbero ad adeguarsi ~u un livello inferiore al massimo. Questa non è un'ipotesi, ma cosa logica e certa .. Aln– mettiamo che il capitale non partecipi alla divi.sione -degli · utili residuanti dopo il prelievo della percentuale d'interesse nella massima misura consentita; ma, a parte che il capitale partecipa spesso alla direzione d'azienda e, c_hf:,_in_questa veste gli spetterebbe la sua quota parte dell utile r~s1d~~e'. esso è sempre fortemente interessato a raggiungere I miglio~ risultati di gestione per garantirsi la massima_percentuale d1 interesse ed assicurare la vita all'azienda. La politica dei capi delle azieode più redditizie verrebbe quindi basata su paghe basse per consentire l'assegnazione della, massima misura di interesse al· capitale ed eventualmente una fo1:te quota ~ profitti al lavoro. Praticamente, questa eventuale quot~ di profitti sarebbe una voce nel calcolo dei costi di produzione, . e come tale contribuirebbe ad abbassare i salari; ma, qua– lunque perdita o danno fortuito, qualunque errore di previ– sione avrebbe sempre per conseguenza di ridurre, in primo , luogo dett; ·quota di profitti. Ne~e trattative per fissare le tariffe ai lavoratori, le organizzazioni padronali avrebbero tut– tavia buon gioco sostenendo che deve essere presa per base la ~ituazione <ielle aziende di minor rendimento, dato che 11 maggior profitto, eventualmente realizzato dalle aziende più redditizie anihebbe esclusivamente ad aumentare i salari e · gli stipendi dei loro dipendenti. Così si crea la dis11guagliall?!apersino 'fra. i lavoratori

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