Lo Stato Moderno - anno II - n.20 - 20 novembre 1945

308 LO STATO MODERNO sottoporrà le sue proposte prima del 15 settembre>. Sulla base di questa relazione ,spettava al Maresciallo decidere. E infatti il 16 settembre egli condannava Daladier, Reynaud, Gamelin, Blum e Georges Mandel alla detenzione in una fortezza, affermando però che: « Un paese che s'è sentito tradito ha diritto di conoscere la verità, tutta la verità. La -sentenza che chiuderà il processo di Riom dovrà essere pronunciata in piena luce. Colpirà le persone, ma anche i metodi, i costumi, il regime». Probabilmente questo -sovrapporsi di tribunali, nono– stante le affermazioni del Maresciallo, tendeva a eliminare il processo; ma non riusci se non a inquietare l'opinione pubblica, per quel tanto che si interessava a queste cose; cosicchè il ministro della Giustizia Barthélemy credette op– portuno concedere un"intervista a Le Joumal (27 ottobre 1941) per dissipare i dubbi e difendere, nonostante l'avvenuto giu– dizio del Maresciallo, la libertà dei giudici di Riom. Quando Dio volle, la Suprema Corte di Giustizia aprì i suoi battenti. Gamelin alla prima udienza dichiarava: « Ho riflettuto a lungo. Ho la coscienza di aver fatto il mio dovere. Ho deciso di non partecipare attivamente al dibattito. L'Alto Comando non cessò mai di reclamare i rinforzi e il materiale che gli sembravano necessari. Oggi non voglio proseguire più oltre. li mio onore di soldato e il mio dovere di capo mi comandano di tacere». Era una protesta contro tutti e contro tutto, fatta nello strano modo di questo generale che nelle due interviste concesse a Jules Romains (16 dicembre 1939) e a André Maurois (aprile 1940) aveva previsto per filo e per -segno l'offensiva tedesca che colse le sue truppe all'imprevisto (Cfr. H. Ghilini, A' la Barre de Ri.om, Parigi, Jean Renaro, s. d. ma 1942, p. 72 ss.). Gli inconvenienti cui dava luogo questo processo erano veramente maggiori del previsto. Nonostante ,Je precauzioni, quello che si diceva in quell'aula si risapeva tra il pubblico. Vichy, il nuovo regime, il Maresciallo, i generali, l'occupante, tutto era messo in causa; e per di più Hitler non era soddi– sfatto. Il 15 marzo, parlando a una cerimonia ufficiale, aveva detto: « Si svolge attualmente in Francia un processo carat– terizzato dal fatto che non si è pronunciata una sola parola per deplorare le colpe dei responsabili di questa guerra. Non vi si deplora che l'insufficiente preparazione>. Per uscire dai guai, alla vigilia del ritorno al potere di Lavai, si decise di sospendere il processo (14 aprile), alle– gando la necessità di un supplemento di istruttoria. Ma che si trattasse di un pretesto Vichy non cercò neppure di negarlo. Il ministro della Giustizia Barthélemy in un'inter– vista dichiarava: « Speravamo che ne sarebbe risultato un risanamento dello spirito pubblico, ma 'Ci siamo sbagliati. Certi aspetti assunti dal dibattito erano particolarmente spiacevoli: i valori spirituali e le certezze eterne, sulle quali il Maresciallo fonda la rinascita del paese, sono stati insul– tati; abbiamo offerto una tribuna clamorosa alle vecchie dispute; le relazioni internazionali del paese minacciavano di essere turbate. La sospensione è misura anormale, ma epoche anormali esigono misure proporzionate~- Nell'Oeuvres (17 aprile), Marce! Déat esaltava il trionfo della politica tedesca nel clima di Vichy « che stava per cam– biare », mentre Vichy segnava fa sua definitiva sconfitta. Quello che avrebbe dovuto essere il processo di liquidazione di una politica, di un regime, di un mondo, aveva dovuto essere ·sospeso in fretta e furia perchè da tutti gli angoli si ridestavano gli ecW che riverberavano le accuse lanciate contro gli uomini d'ieri sugli uomini di oggi; e gli uomini di oggi erano stati costretti a riaccogliere nel loro consesso quel Laval, che, con la sua presenza, testimoniava il falli– mento della politica Ila loro ~ata e invano tentata. (Continua) J"EDERICO FEDERICI Produrre di . ' p1u Vague de paresse: così, alla fine della prima guerra mon– diale, si definì sinteticamente quel generale sentimento di svo– gliatezza che tutti aveva preso, dopo le tragiche vicende del conflitto. Oggi, terminato ti secahdo canflitt-0 mondiale, la vague ritorna: e ingigantita, se rosi si può dire, da vicende guerresche incomparabi'lmente più tragiche. Soffermarmi a spiegare le ragioni di questo fenomeno è inutile: tanto SOM ·ndte a tutti. Ma è inutile, soprattutto, muovere lai senza pen– sare alle possibilità di cxmten,ere e di frangere l'qndata, Che è quel che conta, se si vuole \.ml serio ricostruire l'economia del Paese. Particolarmente preoccupante è la riduzione della produt– tività del lavoro. Cifre sicure e perfette non ve ne sono. Si posseggono soltanto alcuni doti che, per quanto so/i.tari, sono quanto mai significativi, In una fabbrica torinese di aut-Ocarriper produrre una unità occorrevano in tempi nor– mali circa 750 ore di •lavaro. Oggi ne occarrono 1800. Vi è stato indubbiamente un migli.oramento rispetto a qualche mese fa: ma siamo ancora lontani dal traguardo della norma– lità. Può darsi che queste cifre siano inficiate dal fatto che alla fabbricazione di tali autocarri si fa concorrere un m1mero ec– cessivo di operai, Dato che questi non si possono licenziare. tanto vale fare finta Idi farli lavorare. Ma è politica, questa, che può indtirre a gravi disostri economici. Non dimenti– chiamo che, con mobta fatica, si sta nuovamente iMerendo l'economia italiana nel ciclo di quella internazionale. Se la produttivitd del lavoro manuale è bossa, tùti sono i costi. E, se sono alti i costi, come si potrà sopportare la concor– renza dei piri efficienti produttori stranieri? Del resto, l'espe– rienza torinese è convalidata da altre informaziani: in una miniera i! rendimento è oggi circa la metd di quello nor– male, in una Impresa siderurgica è circa un terzo, In u.na industria .dell'abbigliamento è circa un quinto. E si potrebbe continuare. Stiamo attenti però: non gettiamo solo ~ colpa addosso al lavoro manuale. La bassa produtti[)ità può di.pendere an– che da svagliatezza dell'imprenditore. E q_ui, naturalmente, ad avere tempo e spazio, se ne potrebbero analizzare le cause. Perchè tale svogliatezza oggi, in controsto con la tradizionale alacrità del passato? E' poi sempre svogliatezza colpevole? Ma anche qui dico: le cause le conoscon tutti ed ognuno ha la sua parte di colpa. Ma non basta l'esame di coscienza con relativo 1]iuhia– mento di rpetto. E' d'uopo passare do/la constatazione dei fatti ad un programma costruttivo. In primo luogo mi pare che debba essere incoraggiato il sistema dei cottimi. In una situazione che presentava qualche punto di contatto con la nostra attuale, l'U.RS.S. combattè la pigrizia del lavoro ma– nuale con lo stocanovismo. Si potrebbe fare altrettanto. Pttn– golare poi i'attfoità imprenditariale: e toglierla da quella abu– lica attitudine di attesa che tanto male fa oggi. Toglierla: cioè eliminare le cause che originano tale attitudine. Infine premiare in qualche modo le aziende che mostrano di sa-pere con maggiore prantezza ed agilità superare i punti morti della situazione: magari co,i assegnazioni straordinarie di ma– terie prime estere. In fin dei conti non si tratterebbe neanche di un premio, bensì di una migliore utilizzazione delle scarse risorse dispanibili. Con vantaggio per l'azienda e, quel. che più conta, per la collettività. L. L.

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