Lo Stato Moderno - anno II - n.19 - 5 novembre 1945

LO STATO MODERNO 285 Salari e ripartizione dei· profitti li concorso dei lavoratori alla gestione delle imprese in– dustriali, più brevemente detto ~ controllo della produzione», è oggi uno degli argomenti del giorno, e, inteso come rea– lizzazione economico-sociale, ha assunto tale importanza da essere incluso, in misura più o meno larga, nel programma pratico di ogni partito politico. Premesso che per lavoratori si -debbono intendere - come è ovvio - tutti indistintamente co!oro che contribui– scono all'attività dell'azienda, su qualunque gradino essi si trovino della scala gerarchica, è certo che il concetto di av– vicinare i lavoratori alla gestione, cioè alla effettiva ammi– nistrazione dell'ente a cui appartengono - in modo che essi, senza divenirne arbitri, non 'le siano neppure affatto estranei - si presenta come attraente dal punto di vista della colla– borazione sociale, perchè in questa nuova funzione che i delegati dei lavoratori assumerebbero, e nei contatti che per essa si stabilirebbero tra i delegati stessi e i dirigenti e gli amministratori dell'azienda, e nella diretta conoscenza che i primi verrebbero ad acquistare dei problemi e delle diffi– coltà inerenti alla gestione, sarebbe lecito sperare di poter ravvisare altrettanti elementi propizi ad una vera educazione evolutiva della massa e quindi utili alla collettività. D'altra p:ute è essenziale che tutto ciò possa realizzarsi, da un lato, col pieno rispetto della legalità e dei diritti esistenti, e, dal– l'altro, senza alcun pregiudizio della disciplina, nonchè della indispensabile libertà di movimento degli amministratori e dei dirigenti effettivi e responsabili dell'azienda, senza di che l'innovazione, invece che in una collaborazione vera e profi– cua, si risolverebbe in disordine, in attriti e in contrasti, e quindi in danno generale. La pratica attuazione del principio enunciato si pre– senta dunque, salvo in casi particolari, non priva di difficoltà. Elemento fondamentale da tener presente in ogni ten– tativo che voglia farsi in quella direzione è costituito dalla proprietà dell'azienda che si considera, proprietà alla quale evidentemente non potranno negarsi rispetto e pieno ricono– scimento dei suoi diritti. Il problema assume dunque diverso aspetto a seconda che esso si applichi ad un'azienda collettivizzata oppure ad un'azienda di struttura capitalistica. In un'azienda collettivizzata i lavoratori sono proprieta– ri, o comproprietari, della medesima e, come tali, essi hanno :-itolo ad essere rappresentati in seno agli organi che provve– dono alla sua gestione. Questa rappresentanza vi si trova anzi già realizzata, diciamo così, per definizione, in vir~ della struttura propria di un'impresa collettivizzata, nella quale adunque il concorso del personale alla gestione è già implicitamente in atto, almeno in forma indiretta. La forma e la misura di questo concorso devono evidentemente dipen– dere dal rapporto numerico fra la totalità dei proprietari del– l'impresa e la quota parte che ne costituisce il personale la– vorativo. In un'azienda, ad esempio, in cui la proprietà fosse tutta condensata nelle mani dei lavoratori, è chiaro che la gestione si troverebbe automaticamente affidata ai medesimi in modo diretto e in misura totale. Consideriamo invece un'azienda municipalizzata~ appar– tenente cioè a tutti i cittadini di un determinato Comune, nella quale dunque i lavoratori, pur essendo comproprietari, non costituiscono che un'esigua minoranza rispetto alla to– talità dei proprietari. La sua gestione è affidata normalmente ad una Commissione amministratrice, la quale - in quanto nominata dalla Giunta municipale espressione questa a sua volta del Consiglio comunale e cioè dei voti degli elettori - assume in definitiva la figura di rappresentante legittima di tutti i cittadini e di interprete della loro volontà e dei loro interessi. Siccome fra i cittadini sono compresi quel:i che pre– stano la loro opera nell'azienda, anche quesli ultimi sono così implicitamente rappresentati nella Commissione che la amminjstra. In tal caso il concorso dei lavoratori alla gestione si trova dunque realizzatG in modo soltanto indiretto e, po– tremmo dire, simbolico. A prendervi parte diretta, cioè ad avere una sua rappresentanza particolare nella Commissione amministrativa, il personale di un'azienda siffatta non avreb– be evidentemente titolo se non nella misura corrispondente all'aliquota che esso costituisce rispetto alla popolazione del Comune, aliquota così esigua da ridurre praticamente quel titolo a zero. Da qui si vede quanto sia infondato il progetto - che in diversi Comuni viene oggi proposto per la gestione delle aziende municipali - di istituire le così dette Commis– sioni pm-itetiche, nelle quali agli amministratori nominati dal- 1'autorità comunale ne sarebbero aggiunti altrettanti eletti dal personale delle aziende stesse. il che ridurrebbe la pari– teticità a mera apparenza e stabilirebbe al contrario un in– giustificabile privilegio a vantaggio di una piccola minoran– za di proprietari nei confronti di tutti gli altri. Volendo, in casi simili, realizzare il principio della collaborazione, mj sembra invece suggeribile, per ragioni di equità e anche per considerazioni pratiche, l'istituzione in ogni azienda muni– cipalizzata di una commissione munita di funzioni esclusiva– mente consultive, composta dai delegati di tutte le categorie del personale, e da convocarsi periodicamente per essere mes– sa a contatto con gli organi direttivi dell'azienda per ogni opportuno scambio di idee e di informazioni sui vari pro– blemi concernenti la gestione. Si vede ad ogni modo dagli esempi citati che, in im– prese collettivizzate la collaborazione del personale alla ge– stione o è già in atto per la natura delle imprese stesse, op– pure è di realizzazione abbastanza facile e, direi, naturale, in relazione alla veste di comproprietari spettante ai lavo– ratori. La questione diviene più delicata quando il principio della collaborazione venga esaminato in rapporto ad aziende di struttura capitalistica. Qui la proprietà delle imprese ap– partiene esclusivamente al capitale e quindi, sotto questo aspetto e in linea di diritto, i lavoratori non avrebbero alcun titolo ad ingerirsi della gestione. D'altra parte, dato lo scopo delle imprese, che è quello di produrre, nessuno vorrà negare al lavoro la qualifica di fattore essenziale della produzione, che lo colloca a fianco del capitale e dovrebbe conferirgli ri– conoscimento e diritti adeguati. Sta invece di fatto che, nel– le' imprese capitalistiche, la totalità dei lf voratori, esclusa dalla proprietà degli strumenti della produzione, si riduce ad una moltitudine di salariati, la cui sussistenza sicurezza e !i– bertà personale appaiono sostanzialmente alla mercè di una esigua minoranza, e precisamente di quella padronale, che, attraverso il diritto di proprietà, controlla I' at~zzatura mec– canica e la potenzialità di lavoro della collettività, e ciò con lo scopo di procacciarsi un guadagno privato e individuale. Tanto più legittimo e sentito è quindi il bisogno, suscitato da questo stato di cose, di meglio garantire e tutelare coloro che, dedicando la propria attività ad imprese siffatte, ripeto– no da esse i mezzi di sussistenza per sè e per le proprie fa. miglie. Si tratta dunque di conciliare una simile aspirazione

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