Lo Stato Moderno - anno II - n.19 - 5 novembre 1945

284 LO STATO MODERNO Nazi-fascismo, non solo non poteva far dimenticare la prima, ma 11011poteva essere combattuta se 110n in funzione di quella: per l'uomo prima che pel cittadino, o meglio, pel cittadino in quanto uomo. Si vuol dire, cioè, che l'indipendenza è, sì, un problema essenziale, ma altrettanto quanto il problema Libertà-Giu– stizia; che la sua essenzialità, anzi, scaturisce dal fatto che senza indipendenza - e cioè, con un dominio etnicamente sopraffattore - non può instaurarsi nè vera Giustizia nè vera Libertà. Tant'è vero che, pur non essendo l'l,talia - a liberazione avvenuta veramente nazionalmente indipendente; e avendoci fatto sentir gli Alleati esplicitamente, e fin duramente talo– ra, fa nostra dipendenza, nondimeno abbiamo serenamente accettato - se non proprio benedetto - il nostro dipendere, non solo perchè lo speriamo provvisorio, ma perchè solo a patto di questo provvisorio dipendere il Destino ha disposto che l'Italia possa riavere Libertà e Giustizia. Tant'è vero che noi invocammo di poter apportare il nostro contributo alla guerra - e i Partigiani, per loro conto, splendidamente se lo rivendicarono - proprio per guada– gnarci il diritto alla Giustizia - (internazionale, oltre che so– ciale ed economica) - e alla Libertà; perchè la Libertà fosse per noi, non una concessione - che sempre dovrebbe esser pagata e ripagata - ma, per quanto si potesse, una nostra conquista. Sì che « fuori i Tedeschi» non poteva significar soltanto il romantico « fuori i barbari da casa nostra», ma anche, e starei per dire soprattutto, « fuori i barbari di casa nostra ». Barbari veri son per noi, non gli stranieri come tali (chè quali fratelli, prima ancora che liberatori, abbiamo accolto Inglesi e Americani e Francesi e quant'altri di varia lingua e colore sian venuti tra noi), ma tutti, dico tutti, i nemici della Libertà: nome e senso di ciuile addicendosi soltanto a chi sappia intendere e inverare il senso dei Valori Umani, e quindi dei valori veramente civili ch'esso comporta. Bisogna dir chiaro, anche, che noi ci saremmo opposti a Inglesi, Americani e Russi se il Fascismo, invece che con i Tedeschi, si fosse alleato con loro. Allo stesso modo che quando i Russi s'accordarono con i Tedeschi - o per esser più esatti col Nazismo - tutti gli antifascisti, o gli antifascisti coerenti almeno, pur dando il dovuto peso a ragion di Stato e a ragioni tattiche, provarono tutti un senso di smarrimento: sentimmo qualcosa, dentro di noi, come se da mano fraterna ci fosse inferta una ferita. Dobbiamo dir chiaro, infine, che l'atteggiamento, dicia– mo ambiguo, degli Inglesi rispetto ai problemi interni del– l'Italia ci ha doluto, e non saremmo disposti a tollerarlo - anche se fossimo costretti a subirlo - non perchè oomplice– mente italiani (visto che tanti italiani di quell'atteggiamento si compiacciono, si valgono e si prevalgono), ma come ita– liani perchè antifascisti: ossia uomini liberi. Chè in definitiva ciò che all'antifascista coerente pre– me, o deve premere, sovra tutto è la dignità cli uomo: onde tutti gli aspetti del problema di libertà e di giustizia discen– dono e si convalidano. Proprio in nome di questa dignità di uomo, in che si assommano gli ideali di Libertà e di Giustizia, noi ci sentiamo fratelli a quanti in Inghiherra come in Grecia, in Francia come in Spagna, in Austria e fin in Germania sentono e con– sentono con noi; han patito e lottato come noi per un'Idea, che non è patrimonio di patria o di razza, ma primordiale esigenza d'ogni « vero uomo». Per questo, ad esempio, noi sentimmo la rivoluzione spa– gnola quale una battaglia nostra (e nostra, perchè universal– mente umana); e non potremo mai consentire con chi quei nostri fratelli, direttamente o indirettamente, con le armi sel– vagge della guerra e delle esewzioni o con quelle più per- fide della diplomazia e della propaganda - iniqui e anticri– stiani tutti - quei nostri eroici fratelli contribuirono a schiacciare. Ed ecco perchè nndipendenza, non congiunta per inti– ma necessità a Libertà e Giustizia, rinnega, non soltanto Li– bertà e Giustizia, ma se stessa. Ecco perchè il fatto che pur da parti non « rivo!uzio– narie » e non opposte al fascismo per istinto, o via, per radi– cale incompatibilità, siasi ingenerata all'ultimo momento la opporttmità di combattere il fascismo e, sbarcati gli Inglesi, il nazismo; questo convergere delle due parti in una lotta estrinsecamente comune, se potè costituire motivo di una occasionale e, starei per dire, incidentale «unione», non poteva, non potrà mai costituire nè in termini spirituali nè in tennini politici o sociaH, ragione di un consolidale incon– tro; anzi - rotto l'incanto occasionale - di più decisivo e irrimediabile scontro. In verità, se si vuol giungere a una chiara - e leale - visione deHe cose, bisogna persuadersi che al fondo del con– flitto fascismo-antifascismo sta un conflitto più essenziale, che, nonchè negarlo e ridurlo, pienamente l'investe e sostan– zia; sta una diversa, anzi opposta, visione del Bene, del Vero, del Giusto e, insomma, de!la Moralità come tale; e tra que– ste due parti l'inimicizia sarà eterna, ed eterna la battaglia. Qui habet aures audiendi audiat. VINCENZO CENTO Guardare indietro Qualche volta c'è un modo cli guardare indietro che as– somiglia maledettamente al desiderio di tm modo di guar– dare avanti. Ecco perchè mi sono indugiato -un po' a rileg– gere queste parole scritte da Giuseppe Paganelli nel primo bel numero di Società Nuova, i11 sede cli recensione ciel– i'« Espiazione Socialista» di Mazzali e sul tema elci primi 011-nidella lotta antifascista: « Lasciamo pttr da parte la tattica, sempre troppo soggetta a discussioni, ma i11 quanto alla teoria, e cioè alla strategia, facile è oggi i11vero pe11sare che una efficace politica antifascista potesse essere svolta su./ pi<ìno intenwzionale, accanto e diciamo pure in funzione d.eUapolit-ica estera della Unione Sovietica ». Queste parole meritano di essere attentamente co11Si• clerate per rilevarne gli evidenti errori riguardo all'ieri e le evidenti nostalgie rispetto al domani il cui problema è, probabilmente, tutto lì. Che oggi sia « facile pensare» che la strategia clell'an– tifascismo nel periodo 1922-26 dovesse essere ù1 fu11;:;ione della poli.tica estera russa, crediamo appaia soltanto a Paga– nelli. Basta riflettere che in quegli anni la Russia - tesa nello sforzo cli ricostruzione interiore - badava accurata– mente acl evitare ogni troppo brusco contatto ali'estero e ad allacciare, se mai, rapporti amichevoli con tutti, anche col fascismo (si ricordi il Trattato cli commercio e namgazione, 7 febbraio 1924) per accorgersi che .il Paganelli è •sta.to vittima di un errore frequente che consiste nel guardare al paSliato con gli occhi del prese11te; anzi ICOII gli occhi del clesiclerio del futu.ro. Ed è questo che rende interessante il brano sopra. citato, la volontà a ,pparen.te di 1Jorre la pol-itica generale futura cl.ell'Italia « accanto e diciamo pure in fun– zione della politica estera dell'Unione Sovietica». Giova ag– giungere che, essendo la nostra. una interpretazione estensiva, il Paganelli può ben. 'Smentirla. Ma se l'estensi011e 11011 è anelata a scap-ito della erottezza aggiungiamo che così si è avuto il merito di porre a fuoco - sia ptire -indirettamente - il quesito essenziale che l'Italia dovrà risolvere. E che noi 110n accettiamo la soluzione vagheggiata dal. Paganelli. VITTOR

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