Lo Stato Moderno - anno II - n.18 - 20 ottobre 1945

LQ !TA'ro MODlUtNO La democratizzazione del credito Scriveva il Lampert!co nel 1884 che nel credito gli economisti si compiacciono di designare la qualità distintiva dell'economia odierna. Si suol dire che all'economia in na– tura abbia tenuto dietro quella in contante e che a questa sia successa e le tenga ormai il campo l'economia del creditc. Ma lo scrittore avvertiva che ciò è inesatto, perchè i pro– gressi dell'economia del credito sono proporzionali a quelli di tutta l'economia. Non era 'che esiguo, timido, incerto quando scarse erano le comunicazioni, povere le industrie, malfidi i commerci. E' divenuto poderosissimo, baldo ed esperto dacchè si sono venute svolgendo e sono cresciute idulte tutte ,le forze economiche, meravigliose non solo in ,iuell'azione che esercitano in grande, ma forse ancor più nella loro attività giornaliera che penetra da per tutto. (F. Lampertico: Il credito. - Treves, 1884, pag. 3). Ed invero non si può non rimanere entusiasti delle 6 randi opere pubbliche e dello sv;luppo della produzione e del commercio, sia interno che internazionale, che sono stati resi possibili mercè i potenti strumenti del credito. L'entusiasmo per i risultati raggiunti non ci deve, però, esimere dal chiederci se il credito - specialmente in Italia - adempia ad una funzione democratica, cioè se del suo ausilio siano in grado di giovarsi anche le classi lavoratrici ed in genere quelle meno abbienti, non ai fini assistenziali, perchè non è questo che c'interessa, ma a quelli più importanti del finanziamento di loro. eventuali utili iniziative. In altri ter– mini, ci chiediamo se le banche (adoperiamo questa deno– minazione in senso lato) siano disposte, nello stato attuale Jell'evoluzione del credito in Italia, a consentire dei prestiti, in misura sufficiente, a persone d'ingegno o intraprendenti, che abbiano interessanti iniziative da realizzare, ma non mezzi da offrire in garanzia. La risposta non può essere che negativa, perchè non ci risulta che si possa attualmente ottenere credito dalle banche se non si è in grado di dimostrare di possedere oltre le qua– lità morali, una sostanza almeno parecchie volte superiore alla somma richiesta in prestito. Ora, si parla di democratizzare le banche e la mozione recentemente approvata dal C.L.N .A.I. deve ritenersi op– portuna e tempestiva, ma non bisogna perder di vista che esiste anche un problema assai più complesso ed importante, che è quello della democratizzazione della funzione del credito. Desideriamo non essere fraintesi. Democratizzare il credito non vuol sigi1ificare che le banche debbano offrirlo a chiunque, ma semplicemente riconoscere come non sia giusto restringerne la concessione solo a favore delle classi abbienti. Non bisogna nascondersi che il nuovo sistema r:– chiederebbe da parte delle banche una elasticità ch'esse at– tualmente non hanno ed una preparazione tecnica che po– trebbero, riteniamo, raggiungere senza eccessive difficoltà, ma che non esiste allo stato delle cose. Giova a questo proposito ricordare che nell'athiale sistema bancario italiano tutte le aziende di credito sono sottoposte - in una forma o nel- 1' altra - al controllo dello Stato. Un gran numero di esse (istituto di emissione, istituto di credito ùi diritto pubblico, banche d'interesse nazionale, casse di risparmio) subiscono questo controllo in forma diretta, ma tutte rientrano poi nella generale sorveglianza da parte dell'Ispettorato per la difesa_ del risparmio e l'esercizio del credito, creato dal fascismo nel 1936. Aver sottoposto al controllo tutta l'attività creditizia ha portato alla conseguenza di una migliore tutela del rispar– ntio affidato dal pubblico alle banche, risparmio spesso çosti- tuito da poche migliaia di lire sottratte stentamente al consu– mo da lavoratori previdenti, attraverso duri sacrifici, ma, d'al– tra parte, ha fatto allontanare le banche da quella che do– vrebbe essere propriamente la loro funzione, di organi cioè propulsori e potenziatori di ogni sana iniziativa capace di contribuire all'incremento della produzione o ad aprire nuovi sbocchi al commercio o ad avvantaggiare altre forme di at– tività economiche, trasformandosi in organi poco agili, che affrontano il problema della concessione e della distribu– zione del credito secondo criteri burocratici, stabiliti dalle proprie direzioni centrali, che valgono in genere per tutte le filiali, anche se operanti in zone economicamente assai diverse. Il fascismo, inoltre, trasformando brutalmente tutta l'economia del Paese ai suoi fini autarchici e della guerra, che andava preparando, non poteva non far sì che venisse sna– turata la delicata funzione del credito somministrato dalle banche. Ed infatti queste vennero praticamente indotte a dedicarsi sempre più alla raccolta del risparmio, non tanto per accrescere i finanziamenti all'economia privata, quanto per venire incontro alle molteplici esigenze della pubblica finanza. Lo Stato medesimo, attraverso le casse di risparmio postali, controllate dalla Cassa Depositi e Prestiti, racco– glieva e raccoglie, in sleale concorrenza colle banche, note– voli masse di risparmio, delle quali il fascismo si serviva per il raggiunginlento dei suoi non sempre leciti fini. Le banche hanno cosi trasformato, almeno in parte, la loro funzione in quella di un rentier, che taglia le sue ce– dole ogni sei mesi, senza noie e con rischi trascurabili. Mano mano che cominciava a lavorare per lo Stato e ad essere sottoposto al suo controllo, il banchiere si è tra• sformato in un funzionario, col risultato eh' egli, per evitare responsabilità, tende a limitare al minimo i rischi inerenti al suo lavoro. Lo Stato aveva interesse a che le banche sottoscrivessero in proprio ai prestiti eh' esso emetteva a getto continuo e che versassero una parte delle loro disponibilità nei conti correnti col Tesoro, ed i banchieri hanno finito, non soltanto coll'ubbidirgli, ma col trovare in definitiva comodo il sistema di avere come grosso cliente il Governo. Ora, dal punto di vista del credito, non vediamo come sia possibile sfociare, sia pure gradualmente, in uno stato democratico progressista senza che le banche ritornino a fare i banchieri, professione questa senza dubbio assai più diffi– cile di quella del funzionario. Le qualità che si richiedono, infatti, ad un banchiere sono molteplici e vanno dal fiuto alla conoscenza degli uomini, nonchè dell'economia del pro– prio e degli altri Paesi, per poter giudicare agevolmente della serietà e delle prospettive di successo delle iniziative che gli vengono presentate colla richiesta del finanziamento. La sua particolare sensibilità ed il suo intuito lo renderanno subito avvertito delle iniziative che non abbiano seria consistenza o buone probabilità di riuscita; il suo fiuto farà sì eh' egli, coli'ausilio delle informazioni che riuscirà a procurarsi, si renderà conto se si trova in presenza di gente seria, che me– rita di essere aiutata, ovvero di avventurieri o peggio ancora di maniaci, dalle cento iniziative, che vorrebbero rifare il mondo. Quella del banchiere è, in fondo, un'arte che si affina continuamente coli'esperienza. La democratizzazione del credito, non bisogna nascon– derselo, farebbe aumentare la responsabilità delle banche, perchè anche le più serie iniziative non sempre sarebbero coronate dal successo; ma se le banche riuscissero a fare davvero i banchieri, non v'è dubbio che questi maggiori ri– -,chi potrebbe,o es,ere tra.,curabili.

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