Lo Stato Moderno - anno II - n.18 - 20 ottobre 1945

LO STATO MODERNO 255 IL CAMBIODELLA MONETA Il cambio della moneta era (ed è tuttora) una grande spe– ranza di chi, pensoso del miglioramento economico del Paese, si preoccupa, in modo particolare, delle condizioni del bi– lancio statale, premessa e conseguenza, nel tempo stesso, di tale miglioramento. E' d'uopo, ora, operare in modo che tale speranza non vada delusa. E a_questo proposito, non deve certo esser sfuggito ali'attento lettore il recente stillicidio di notizie su questa operazione. Notizie dalle quali grosso modo si desume, scoprendo il velame di frasi più o meno oscure, che J' operazione è rimandata a primavera; che sarà legata all'imposta straordinaria sul patrimonio; che forse non richie– derà una dichiarazione nominativa del detentore di moneta. L'operazione del cambio -della moneta non è più ormai un segreto per alcuno. E' stato, a mio avviso, grave errore aver svelato o lasciato svelare il segreto, in quanto questa operazione presenta una intrinseca natura di « catenaccio »: e tale natura bisognava mantenere sul terreno dell'applica– zione concreta. (Tra parentesi posso dire che il segreto è stato rivelato per l'indiscrezione di un giornalista statunitense il quale pubblicò che il Governo italiano stava trattando per la stampa delle nuove banconote negli Stati Uniti. Fu anche in seguito a questo che si decise di stamparle in Italia). Di– fatti l'annuncio del cambio ha indotto i detentori di grosse somme di moneta a disfarsene in fretta acquistando preci- . pitosamente beni e titoli rappresentativi di beni. Poco male se questa fuga della moneta è orientata verso l'acquisto di titoli di Stato. Ciò porterebbe ad un inalzamento dei prezzi · di questi titoli con svariati benefici effetti. Molto male, in– vece, se la fuga è diretta verso l'acquisto di beni strumentali e di consumo. I prezzi sono già tanto elevati che non c'è proprio bisogno di influssi monetari di tal natura. Ma tant'è: è inutile ora recriminare sul passato. Si pren– dano le cose come sono e si cerchi, almeno, di trarre da un errore il massimo vantaggio possibile per le finanze dello Stato. Per ben comprendere le proposte che più sotto farò, sempre a proposito del cambio della moneta, è d'uopo pre– mettere alcune indicazioni sui possibili procedimenti, neces– sariamente legati ai fini, per· attuare questa operazione. Non è ancor forse ben chiaro a tutti che mediante il cambio delle banconote si possono raggiungere due fini non sempre coin– cidenti. Un fine di carattere prevalentemente monetario ed un fine di carattere prevalentemente fiscale. Il primo non impone un cambio nominativo; il secondo indubbiamente lo impone. Mi spiego meglio. In un paese, in un dato momento, come ad esempio in Italia oggi, può esservi una circolazione cao– tica: non controllata nè controllabile per quanto riguarda la entità dell'emissione, con forti quantitativi di biglietti all'este– ro per circostanze anormali, con banconote di diversa specie e logorìo, e così via. E' d'uopo, allora, affrontare il problema del cambio, vero e proprio censimento della moneta, in modo da risanare la circolazione. Si capisce che in questo caso non c'è bisogno di chiedere le generalità a chi presenta moneta per il cambio. I biglietti vecchi vengono sostituiti con nuovi, eventualmente richiedendo il pagamento di una tangente più o meno forte per le spese del cambio. L'operazione di censi– mento può anche avere un significato deflazionistico in quan– to molti biglietti sono in tal modo automaticamente eliminati. Deve essere chiaro, però, che questi biglietti praticamente non agiscono sui prezzi in quanto, nascosti o tesoreggiati, hanno una velocità di circolazione nulla. Può avere anche un sussidiario e straordinario significato fiscale se la tangente pai:;ata dal detentore di moneta non solo permette di coprire le spese del cambio, ma lascia pure un certo margine a favore dell'erario. li cambio delle banconote ha, invece, prevalente significato fiscale allorchè non tanto si vuole censire la moneta quanto i rispettivi detentori, assumendo la moneta come indice di ricchezza. Di solito, in tempi normali, vi è un rapporto ab– bastanza stabile tra investimento in beni reali e investimento in beni monetari. Cosicché se la macchina fiscale funziona, attraverso l'aècertamento dei beni reali, si ba pure una vi– sione abbastanza precisa del patrimonio complessivo dei sin– goli contribuenti. Ma oggi, in Italia, non viviamo certo in tempi normali. Una inflazione abbastanza spinta ha modifi– cato sostanzialmente il rapporto dianzi accennato. Vi sono contribuenti che posseggono solo beni reali, ve ne sono altri che posseggono solo beni monetari. Mutamenti improvvisi di ricchezza si sono verificati. Patrimoni si sono liquefatti. Altri sono sorti dal nulla. Con diverse parolft: il panorama fiscale italiano odierno è radicalmente diverso da quello prebellico. Non ho certo bisogno di soffermarmi su questa questione: come e perchè si sia giunti alla situazione odierna è noto a tutti. Vediamo piuttosto se e come è possibile sanarla dal punto di vista fiscale. E' evidente che si vogliono conoscere i nuovi ricchi, i quali mantengono liquido il loro gruzzolo, magari assoggettandosi, senza saperlo, alla tosatura della pro– gressiva inflazione, è d'uopo regolare il cambio delle ban– conote in modo che ne resti traccia: sia per quanto riguarda la generalità del detentore, sia per quanto riguarda l'entità dei biglietti cambiati. 11 pro)Jlema del cambio della moneta acquista oggi, qui da noi, particolare significato in quanto s'intendono nello stesso tempo raggiungere fini monetari e fini fiscali. Ho dianzi pre– sentato concettualmente disgiunti i due fini. E' raro, però, che nella pratica essi lo siano. Si vuole, in altre parole, final- . mente censire e risanare la circolazione ma, nel tempo stesso, si vuole col braccio secolare del fisco raggiungere e colpire i detentori di patrimoni liquidi. E' ciò soprattutto in occa– sione della annunciata imposizione straordinaria sul patri– monio. Intendiamoci: i detentori di moneta non devono te– mere un trattamento più sfavorevole rispetto agli altri de– tentori di ricchezza. Devono solo pagare nella proporzione degli altri. E' questa una assicurazione che li deve mettere tranquilli a frenare acquisti che potrebbero ritorcersi a loro danno. La leva sul capitale è operazione che sempre conclude fi– nanziariamente un conflitto: lo Stato deve far fronte a tutte le spese inerenti al passaggio dalla guerra alla pace. Chi deve pagare? Chi ha, evidentemente. D'accordo. Ma chi ha? Ecco una domanda alla quale il fisco è attualmente impotente a rispondere, diciamolo subito e francamente. A meno che ri– sponda fondandosi sugli accertamenti prebellici. Mn questa risposta sarebbe arbitraria, per non dire ingiusta. Non sono tanto i vecchi contribuenti, da tempo inscritti nei ruoli del fisco, quelli che probabilmente hanno visto moltiplicarsi red– diti e patrimoni per effetto della congiuntura bellica. Coloro che avevano case, terreni, negozi ed industrie al sole hanno avuto, almeno in parte, i redditi vincolati dalla legge o sono stati danneggiati dai bombardamenti. E' Einaudi che lo dice e gli possiamo senz'altro credere. Per contro, moltissimi traf– ficanti assenti dai ruoli hanno potuto accumulare in questi ultimi anni ingenti sostanze liquide e cercano ora, con tutti i mezzi, di sfuggire all'onere fiscale. ' Dopo quello che bo detto risulta chiaro che il cambio della moneta d11ve essere nominativo: deve, cioè, essere strumento

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