Lo Stato Moderno - anno II - n.18 - 20 ottobre 1945

:180 LO STAT8 MODE~Ne L'"ERRORE STORICO,, DI PARRI Il discorso di Parri alla Consulta ha suscitato animate di– .cussioni e 'vivaci polemiche. E questo è, per ogni verso, un buon segno. Ma è strano però - o non è affatto strano - che quelle discussioni e quel!e polemiche si siano polarizzate intorno a un passo del discorso (quello della e democrazia pre– fascista >), e sia stata accolta, senza nemmeno un commento, una· frase certamente poco felice, anche se del tutto retorica, e che ne richiama un'altra di analogo suono e lugubramente famosa. Se periscono i partiti la patria non si salva; s'instaura invece la dittatura, e la dittatura, da chiunque esercitata, è sempre dittatura. Ma Parri non pensava certamente a que– sto, ·anche se talune frasi non hanno giustificazione alcuna. L'altro punto del discorso ebbe, tra l'altro, a conseguenza una ovazione all'on. Orlando e un discorso di Benedetto L'applauso era di certo diretto all'Orlando animatore, nel 1917, della resistenza; ma accanto a questo c'è l'altro Orlando: guelfo che nel '24 figurò a capo di quel listone ministerale che conferì al fascismo in Sicilia quel prestigio che di certo, fino a quel momento, non aveva. Io non dico che il primo Orlando sia da stimarsi e il secondo no. Nell'un caso e nel– l'altro !'on. Orlando agi certamente seguendo gli impuh,i della propria coscienza, la sola che, ad uomini di tanta sta– tura, può suggerire ciò che è bene e ciò che è male nel su– premo interesse del paese; dico soltanto, deducendolo ex re– bu.s ipsis, che la vecchia democrazia aveva ahneno due anime, e nell'una c'erano tutte le belle cose che con tono cosi nobile e sommesso il Croce ha rievocate, e nell'altra cornvano le condizioni favorevoli per il nascere ed il crescere del fascismo. Non m'intendo di politica e quindi non posso entrare in merito alla opportunità del passaggio di Parri; ma una volta che quell'apprezzamento dal piano politico, e in modo tanto alto e solenne, è stato portato su quello storico, ci sia con– sentito dJ dire che respingerlo così decisamente è per molti lati eccessivo, a meno che non si voglia sostenere - ed è tesi molto comoda così per i professionisti del fascismo come per quelli dell'antifascismo - che il fascismo sia nato e sia morto per decreto reale; sia stato insomma una e parentesi » neHa vita nazionale, che ora riprende ilare e gioiosa, leggera e bacchica, come se nulla fosse accaduto. Ma ricordo che il Croce, discorrendo di e liberalismo puro >, ebbe a fare delle caute riserve sul significato e sul valore della vecchia demo– crazia italiana, da lui pure, in altri tempi, fieramente comba t– tuta. Citò allora un detto di Goethe: sempre i figli debbono riconquistarsi l'eredità dei padri: e l'eredità non riconquistata era appunto il sentimento della libertà, vivissimo invece negli anni che videro il compimento dell'unità e con esso l'assestarsi de;!'ltalia nel quadro ampio, intrecciato e malfido della poli– tica europea. Esisteva dunque in Italia una democrazia, ma gran parte di essa aveva a poco a poco perduto il lievito libe– rale e s'era largamente intinta di nazionalismo (il metro delle conquiste italiane fu, nel fatto, per lungo tempo quello degli ingrandimenti territoriali); una democrazia che aveva a poco a poco perduto il sentimento della storia e per la quale la libertà s'era trasforrnata, ripiegando su posizioni superate, in un im– moto presupposto ideologico, in un diritto di natura, e non era più il ritmo stesso delta vita morale, di tutta la vita, e quindi anche della vita politica; una democrazia che di ri– forrna in riforma sarebbe pure arrivata ad anticipare il piano Beveridge (un piano s'intende non liberale), ma non per que– sto avrebbe modificato la sua struttura e inciso sul costume. Il decadentismo italiano, la retorica italiana, furono le tradu– zioni letterarie e filologiche di quella statica democrazia. L'eredjtAc»I padri m riconqul3tatf. $Qtto il fllscismo e con- tro il fascismo; ed è la grande ora di Croce, quella per cui la sua opera grandeggia nei nostri animi e riscatta gli anni bui della storia più recente. Questa è la nuow democrazia che Parri contrapponeva all'antica; nuova democrazia ricca non -Pure d'un significato politico ma soprattutto d'un significato morale. Ed oggi, non senza conseguenze, queste due ment:i. lità non già si incontrano ma s~ scontrano e attardano la ri– presa della vita italiana. Discorso troppo grosso questo, e da rimandare ad altro occasione. STEFANO BOTT ARI U consenso che Stefano Bottari - rprafessore di storia deU' arte ali' Università pi Catania e assertore convinto di quel nuovo Uberalismo che così vivi contatti !crea con un nUOV socwlismo e quindi con qu.ella nuova democmzia che « Lo Stato Moderno> intende appunto disegnare e cooruire - dimostra che tra gli applausi di un Parlamento e la pacata riflessione degli studiosi l'accordo i,wn è sempre facile. Lo verità è che i tempi incalzano e la grande architettura di un nuooo partrto democratico si tnnalza 01lù nelle coscienze dei migliori se non ancora nel p /au.so dei pitì. VE DA LE 1. Ugo Arcuno, reddtore capo di Nord Sud, pokmit:%4 eon Flora a proposito di un articdlo da quest'ultimo pubblicato ml Corriere d'inforrnazione. Flora sostiene, in contrasto col Croce, la tesi che dalla guerra ci si possa, oJ.t,recchè ci si debba, liberare. Egli non crede, imomma, alla « fatalità > della guer. ra; a debel.larl.agiova sviluppare intensamente in noi 'fumano, e che è mente e carità>. Ugo Arcuno dice che gli occhi coo cui vede il Flora sono « occhi metafisici>, mentre egli, l'Ar– cuno, si on-0-radi vedere con gli e occhi aperti>, ovvero can occhi che bad.mw di più alle cose nella loro bru.ta realtà. Noi non entriamo ,iel merito. L'aspirazione del Flora e, più iche aspirazione, obbiettiva convinzione è tanto 'legittima quanto l'altra del Croce che al fome della -storia conchiude essere le guerre inf'rinseche alla natura dell'uomo. E' a questa intrinse– cità di cosa barbara nell'uomo civile che j/. Flora sì ribella. Ci interessa, invece, sapere perchè vaJ:gonodi più ,gli occhi di un operaio della F iat di .quelli di un professore di fil,osofia ( è lo tesi di Arcuno). Forse perchè g/.i operai della Fio:t applaudi– rono al regime, a Mu.ssolini, all'auta,rchia ecc. ecc. - Vista corta essi ,ebbero, anche se con occhi aperti - ed i! profes– sore di filosofia no. E l' Arctmo termina: e O vera democrazia o guerra~- Ciò. Mi viene in mente quel banchiere milanese, si chiamaoa COI· talardo, noto per la sua fedeltà ad una eleganza da Gran PrÌJC- tight, cilindro grigio, bastone col pomo d'avorio - Il quale se ne stava, intorno alle giornate radiose del 1915, rigido ed assorto nel soave ozio del ricco che osseroa il passeggio elegante, all'angolo del Cova. Una dimostrazione di nazio· nalisti si snodava per via Manzoni, capeggiata da quel Fer• ruccio Vecchi futurista, sçul.tore ecc., impugnante una ban– diera, chiome al vento, volto acceso. Quando il Vecchi oide il banchiere così aristocraticamente l'Olo e distaccato, si rivoùò e gli andò incontro ~gitando la bandiera. Standosene il ban· chiere trasognato come se nulla foose, il Vecchi gli gridò sul mfl3o: e Guerra o rivoluzione/>. Ed il banchiere, con un im· percettibiui inchino: « Veda lei, purcM faccia una cosa pu- lita... ". G. B.

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