Lo Stato Moderno - anno II - n.17 - 5 ottobre 1945

LO STATO MODERNO 239 DAL PROCESSO DI RIOM ,, AL PROCESSO PETAIN S. - La Rivoluzione e la Collaborazione Pétain capo dello Stato, Lavai vicepresidente del Consiglio. la Francia ufficiale è sistemata e i vichysois proclamano che la nuova Francia è nata. La nuova Francia al:a quale Vichy progetta di dare un carattere attraverso quell'educazione pomposamente denominata rivoluzione nazionale. Ma a que– sto nome violento che sa di polvere e di sangue, corrisponde una ben diversa realtà, poichè da Vichy comincia a spirare sulla zona non occupata - la zona non-o verrà detta con appellativo che ha l'andamento della ninna-nanna - un'aria lene e dolciastra, odorante di stantio e di sacristia, essendo l'aio troppo vecchio e la sua visione della realtà viziata da idee preconcette. Già nel messaggio 20 luglio 1940 Pétain aveva designato quella che, secondo lui, era la causa del di– sastro francese: « Depuis la victoire, l'esprit de iouissance l'a• emporté sur l'esprit de sacrifice >. E il 25 ammoniva: « E' alla rigenerazione intel:ettuale e morale che vi esorto ». Interpre– tata la sconfitta militare come una conseguenza della degene– razione morale del paese - del popolo tutto e non della classe dirigente - la formula del rinnovamento fu: lavoro, famiglia, patria - lavoro contro lo spirito di godimento; famiglia con– tro la denatalità conseguenza. della fuga di fronte agli oneri e alle responsabilità che quella comporta; patria come simbo:o dei sacrifici da compiersi in nome dell'ideale e della collet• tività. Un trinomio in cui si risolveva il grande idolo di Vichy: la tradizione. Ma era questa tradizione, conviene subito av– vertir'.o, una tradizione intesa staticamente come un paradigma che, realizzatosi nel passato, si doveva ora restaurare, e non già come un sano elemento che dovesse confluire nel pre– sente e, permeandolo, radicarlo nella continuità. Ma tradi– zione inerte e statica che si risolveva quindi in una reazione: in politica s'era su per giù monarchici vagheggiando una mo– narchia quanto più assoluta le circostanze attuali l'avrebbero permesso; nel:'amministrazione si voleva ritornare, cancellando come non avvenuta la ripartizione napoleonica della Francia in dipartimenti, alle provincie, con a capo governatori, « così l'amministrazione sarà e accentrata e decentrata. I funzionari non saranno più ostacolati nella loro funzione da regolamenti troppo angusti e da troppo numerosi controlli. Saranno re– sponsabili dei loro errori:> (Pétain, Messaggio dell' 11-7-40) (1). Nei rapporti dello stato con la chiesa la stretta amicizia del maresciallo Pétain con il nunzio apostolico Mons. Valeri, non era che un simbolo delle tendenze del nuovo governo, la cui ninfa Egeria era Char:es Maurras e l'organo ufficioso l'Action Française. La riforma della scuola non si limitava a correggere i difetti che ai programmi derivavano dal settari– smo radicale, ma a una partigianeria se ne sostituiva un'altra di segno contrario. Finalmente i rapporti tra governo e popolo erano intesi secondo un rinnovato paternalismo, al quale pa– reva mancasse solo la consacrazione ufficiale de!la formula del sovrano che « per grazia di Dio», parla ai suoi « buoni sudditi». Questa era la rivoluzione nazionale secondo lo spi– rito di Pétain e del suo gruppo, costituito quasi esclusiva– mente da alti ufficiali e da funzionari di grado elevato, un (1) Contro questa riforma e In difesa del dipartimento napo– leonico Insorgerà persino un ministro di Vichy, Joseph Barth~le– my: Province,, Grasse!. 1941. La conseguenza Immediata dell'au– tonomia accordata da Vichy ai prefetti fu l'affamamento dt!-lpaese, perchè ciascuno di essi s'affrettò a Impedire l'esportazione dell• derrate alimentari dal proprio tfil'rll-Orlo. ambiente cioè, per sua tradizione, ultra conservatore e reazio– nario, il quale nonostante tutti i mutamenti politici e i trionfi delle sinistre, era rimasto sq per giù qual era stato, succe– dendo i padri ai nonni e i figli ai padri, ai tempi del secondo impero. Ben diversi però erano gli intenti di Lavai e del gruppo che a lui faceva capo. Egli, uomo nuovo in tutto il senso della parola, venuto dal nu:la, non aveva tradizioni a cui lo legas– sero affetti o ricordi. Egli s'era fatto di Mussolini un modello, e la rivoluzione, secondo lui, doveva maturare due risultati ~>rincipali: instaurare all'interno una dittatura di tipo fasci– sta di cui egli fosse il capo, e inquadrare il paese nel nuovo ordine europeo: niente ideale monarchico, nessun interesse (se onn anche antipatia) per il problema dei rapporti con la chie– sa; un programma di riforme arieggianti al corporativismo, e, come aspirazione per la futura Francia nel campo internazio– nale, il grado di alleata della Germania, di un'alleata in sot– t' ordine (come l'Italia), alla quale forse, in premio della buona volontà di cui ora avrebbe <lato prova, il dittatore tedesco avrebbe accordato il primo posto tra gli stati vassalli a sca– pito dell'altra potenza dell'Asse. Progran,ma che rendeva ora necessaria la più incondizionata collaborazione con l'occu– pante. Questo il duplice volto di quel mondo di Vichy, irco– cervo nato non dall'amore per un'idea comune, ma dal co– mune odio per la democrazia, il quale doveva. abbattuto il nemico, necessariamente risolversi in discordia e in un giuoco di interessi antitetici. Sul tema delle riforme interne Lava) per il momento non faceva difficoltà. Nessuno meglio di lui sapeva quanto scarso credito godesse la rivo'.uzione nazionale, della quale persino un suo fautore doveva confessare: « il capo decreta la rivo– luzione nazionale, ma tra lui e il popolo non ci sono che atti legislativi, messaggi scritti o pronunciati e un grande senti– mento. Non ci sono, o quasi, rivoluzionari nazionali» (Jean Gattino, Essai sur la Révoluti<m Natwna/e, Grasset, Parigi 1941, p. 39). D'altra parte il lavoro che agli occhi di Lavai aveva maggior valore era già stato fatto: lo schema dello stato autoritario e totalitario esisteva, la costituzione nuova - che non si sarebbe certo potuto prolungare tanto presto - avrebbe provveduto al resto. L'essenziale era adesso tes- sere saldamente la tela dei rapporti franco-tedeschi, dando alla Germania un apporto reale onde ottenere vantaggi sif– fatti che, vincendo l'attuale apatia del paese, lo inclinassero alla collaborazione. Ma ancora una volta conveniva far pre– sto, forzare gli animi resi ma:leabili dall' inattesa catastrofe, piegarli a quel capovolgimento di valori e di rapporti che la nuova situazione avrebbe richiesto, prima che riuscissero a riprendersi, a tornare padroni di sè, prima che si :rrigidissero in un atteggiamento ostile. Ma Lavai incontrava nella rea– lizzazione di questo compito una duplice difficoltà: da un lato, la Germania, desiderosa sì di attirare la Francia ne!la propria orbita, di giungere a una collaborazione, ma che, non riuscendo neppur ora che la rivale era sconfitta ai suoi piedi, a liberarsi da) tradizionale complesso d'inferiorità, diffidava pur sempre e non era disposta a concedere nulla senza un corrispettivo tangibile; dall'a!tro Pétain e il suo mondo chau– vinista e nazionalista che non potevano accettare se non a denti stretti un accordo col nemico di oggi, di ieri, di sempre. E il paese?

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