Lo Stato Moderno - anno II - n.16 - 20 settembre 1945

LO STATO.MODERNO 2i7 e· bloccati, tanto meglio perchè la rivalutazione comporta di pe; sè un aumento del sal~rio-reale. Concepita in questo modo, la deflazione (1) è tutt'altra cosa da quella avente per punto di partenza il mantenimento del blocco dei salari e degli stipendi con l'attuale moneta svalutatissima; e così concepita può essere operata con i'. parziale annullamento, della .carta moneta nelle mani di chi la possiede. Con questo sistema un certo risanamento monetario potrà essere raggiunto senza condannare per lunghi anni i lavoratori italiani all'attuale cosi povero tenore di vita. Il Keynes, l'economista che fu delegato del Tesoro in– glese alla Conferenza della pace a Parigi, nel suo libro ~ Le conseguenze economiche della pace», ricerc:mdo dopo Ver– sailles i rimedi per rimettere l'Europa sulla s.trada della rinascita, non esitò ad affermare: « Per quanto riguarda il de– bito interno, io sono tra quelli che credono essere necessaria premessa di una sana finanza quella di ricorrere, in ognuno dei paesi europei belligerànti, •ad un pre1evamento di capi– tale per !"estinzione del debito». Keynes non fece allora questa proposta per aprire le strade d'Europa alla rivolu– zi~ne contro la proprietà e l'iniziativa privata, ma per evitare (1) L'inflazione e la deflazione rappresentano il gioco con cui la Tesoreria mira alla :formazione ed allo sviluppo del capitale. La deflazione classica ha per base 1 tributi che Io Stato impone su ogni forma di reddito; e stccomè li reddito deriva tutto dalla terra o dalle ottictne, la deflazione classica grava totalmente sul lavoro. la decadenza dell'Europa e salvare contemporaneamente i capitalisti ed addirittura gli stessi profiteers, che egli defi– niva « l'elemento più attivo e costruttivo della proprietà capitalistica>. Un prelevamento di capitale come quello proposto dal Keynes per estinguere il debito pubblico, è un provvedi– mento più radicale di quanto non lo sia la deflazione della carta moneta in circolazione mediante la sua parziale espro– priazione. Questa è soltanto un'operazione che risana In valuta; chiunque ne possieda è chiamato ad accettare una ,riduzione nella misura della moneta posseduta in cambio di un miglioramento nella quali:tà, vale a dire del suo potere d'acquisto; a chi possiede beni, poco importa di poterli scambiare per una somma maggiore o minore a seconda del reale valore della moneta. A cb.e cosa mirano coloro che sono contrari alla defla– zione della lira da attuarsi mediante la. sua parziale espropria- . zione? Mirano a vedere rivalutarsi nelle proprie mani le lire che hanno accumulato vendendo beni a prezzi gonfiati dal– l'inflazione; vogliono la deflazione compiuta interamente a spese del lavoro, dei bassi sa!ari, attendendosi, se ·dobbiamp fare un esempio, di potere, col denaro ricavato oggi dalla vendita d'un bue, fra alcuni anni, quando la deflazione avesse dato i suoi frutti, di poterne acquistare una mandria intera! GIOVANNI GIARDINA ' LA -"SOCIETA DEL·-PEZZETTO,, Ad un genovese, poco prima della liberazione, chiesi notizie di Ansaldo. Sì, del giornalista Giovanni Ansaldo. Non sapeva darmene. Ma mi di$se, metà per scherzo, metà sul {,erio, che a Genova -stavano costituendo u.nd « socletà del pezzetto»: cwè una socie.tll tra tutti coloro che volevano 1m pezzetto di Ansaldo . . Questa -risposta mi viene in mente tutte le volte che, sui giornali od in privati conversari, vedo affiorare tendenze che credevo definitioomente morte: le ferrO'IYieai fe-rrolYieri,gli stabilimenti ai dipendenti che vi lavorano, i tram munici,palizzati ,ai tranvieri che li guidano, le case agli inquilini, i telefoni agli utenti, e così via. In altre parole gli italiani si sono inconsapevolmente costituiti in u.na grande, colossale « società del pezzetto »: ogni appartenente a questa società intende a1Jere un pezzetto di questa ridotta ricchezza italiana. Naturalmente ognuno vuole avere il pezzetto che pitì gli aggrada; con questa sola condizione: che la ricchezza da tagliare appartenga agli altri. Leggete, a questo proposito, un beU'aneddoto stampato sul– l'ultimo numero di Il Ponte. Un contadino toscano, coi risparmi accumulati in questi anni di mercato nero, ha com– prato due poderi. Ma continua a lavorm-e come mezzadro nel podere del padrone,. Nei due poderi comprati è lui il padrone dei suoi mezzadri. Al fattore che lo va a trooare afferma con brusco ci,piglio che presto aorà tre poderi. Come? Due li ha già comprati ed uno Be I.o pigUerà: la terra a chi la laooral Ma il fattore gli fa osservare che anche quei due poderi comperati andranno ai contadini che li coltivano. « Che c'entra?» risponde il mezzadro-proprietario. « Quelli li ho pagati coi miei qtlllÙrini ». L'episodio è autentico e non da ridere, afferma chi ce lo racconta. Lo credo bene. Perchè questi, rigurgiti sinda– calistici frammisti. a detriti di varia origine hanno un solo significatq: l'incomprensione dei più per le esigenze di una moderna economia sempre più sociale e complessa, sempre meno individualisti.ca ed artigianale. Tutti 'Siamo d'accordo, in Italia, ,sulla necessità di nazionalizzare dlicuni gruppi indu– striali con particolari caratteristiche: aà e-sempio le i.ndustrie m01wpolistiche. Ma nazionalizzarle, se non ~•intende traoisare il sig11ificato delle parole, vuol dire passarle tn proprietà di tutti gli. italiani e non soltanto di quelli che 'vi lavorano: · questi potranno ar;ere, forse, un interesse maggtvre degli altri alla produzione; ma questo ·interesse 110n può concre– tarsi in un loro assoluto dominio della produzione. Invece di aoere un gruppo monopolistico di capitalisti avremmo tm gruppo monopolistico di dipendenti: ma il risultato, per i consumatori, sarebbe identico, se non peggiore. Il controllo, ben s'intende, lo deve fare lo stnt.o che sintetizza fino a prova contraria l'interesse di tutti e non dei soli dipendenti. Altro analogo problema: l'lttdia è all'avanguardia per quanto ·riguarda la nazionalizzazione delle imprese bancarie. industriali, e così via. Si fa tanto scalpore per la nazionaliz– zazione, in Gran Bretagria, della banca centrale, delle fer– rovie, delle miniere. Ma in Italia non solo la Banca d'Italia è statale do tanto tempo, ma .anche le grandi banche di interesse nazionale. Le ferrovie tutti sanno che son.o dello stato. Pareochie miniere, ad esempio quelle di carbone, sono pure dello stato. Si ~pplauda pure ai futuri prqvvedimenti inglesi. Ma contemporaneamente illOn si facciano voti f!/– finchè, a.cl ,esempio, le 11ziende deU'l.R.l. (che è_l'ente finan– ziario dello stato, per chi non lo sappia) siano poste a dispo– sizione dei dipendenti. Ma non si capisce che così si torna indietro? Per concludere, dato che questa chiacchierata dbbia bisogno di una conclusione: bisogna reagtre energicamente contra le forze centripete che tendono a sgretol.are l'edificio unitario della rn>straeconomia. E' d'uopo un.iene e non sepa– razione di interessi. Non, dunque, u.n pezzetto di ricchezza a tutti (che vuol dire poi solo un pezzetto ai pi tì furbi ed ai pitì svelti), bensì un reddito nazionale distribtdto con la maggiore equanimità possibile tra tutti i membri ,della collet– tività, tra di loro cooperanti e non in egoistica competizione, che molto spesso VtWl dire sopraffa~ione. . I,. L.

RkJQdWJsaXNoZXIy