Lo Stato Moderno - anno II - n.16 - 20 settembre 1945

• LO STATO MODERNO 216 RITORNOAD UNA STRUTTURANATURALE DELL'ECONOMIA ITALIANA L'economia del tempo dell'ogpressione nazifascista era, si può dire, doppiamente artificiale. Senza volerci schierare da una parte o dall'altra nella disputa sul carattere di attività economica da riconoscersi o meno alla condotta generale della guerra, è un fatto incontestabile che, agli effetti del reddito na– zionale, l'economia di guerra è economia artificiale. Essa, in– fatti, tende a sostituire una produzione fuori commercio a una produzione •per il mercato e un potere d'acquisto sempre più nominale a un potere d'acquisto effettivo. Con il risultato che le cifre relative alla vita economica del paese non rappresenta– no una realtà, ma fenomeni apparenti. L'economia fascista di guerra eta artificiale come ogni eco– nomia di guerra; ma lo era anche in forza de!lo straordinario disordine imperante in ogni sfera economica del paese. Per cui, il fenomeno dello sdoppiamento dei mercati raggiungeva inten– sità non riscontrate in nessun'altra nazione (tranne la Grecia}. Quindi, i prezzi ufficiali nell'economia nazifascista erano stra– ordinariamente « artificiali », come apparve chiaro il giorno in cui liberi (almeno di fatto) di salire, raggiunsero d'un colpo livelli altissimi, pari o superiori ai prezzi neri dell'epoca prece– dente. Ha ridato la liberazione alla nostra economia un carat– tere di naturalezza e, perciò, di non-artificialità? Se ne può du– bitare. Intanto, occorre riconoscere ohe funificazione dei prezzi non è raggiunta neppur oggi, anche se il prezzo ufficiale viene calcolato con Jllinor scostamento dal costo di produzione. Que– sto fatto, della non unificazione, permane fin che persiste la inadeguatezza dell'offerta o fin che l'autorità non riesce ad jm– pedire il com~ercio illegale. Per questo, anche l'economia ita– liana di oggi, sebbene in grado minore, presenta un aspetto di artificialità. Ma vi è di più. L'economia italiana di oggi è artificiale per– chè finora si sono 1'atti calcoli di possibilità tecniche e non di convenienza economica. Ed eccone la spiegazione. Appena do– po là cacciata degli oppressori ci si è messi di grande impegno a redigere l'inventario, aziendale e nazionale, di quanto non è slatto distrutto dalla guerra ed a preventivare il necessario per la ricostruzione; cioè, si è preventivato quanto occorre per con– sentire all'organizzazione produttiva di offrire merci e servizi fino a un dato volume che si ritiene indispensabile nelle attuali contingenze. Ma, da un lato, non si è tenuto conto di quanto sarebbe costata la riorganizzazione dell'apparato produttivo, perchè si è calcolato di fare ricorso agli aiuti alleati in materie prime, mezzi di trasporto e disponibilità finanziarie, aiuti da ottenersi come controprestazione di speciali forniture italiane (non tutte rinnovabili: ad esempio, determinate requisizioni). Dall'altro lato non si sono fatti calcoli di convenienza economica, in ispe– cie di vendibilità dei prodotti ottenibili dall'organizzazione pro– duttiva italiana, una volta riattivata; e ciò perchè, priva com'e la nostra popolazione di beni d'uso e di consumo ed essendo avide d'ogni bene strumentale le nostre aziende, si calcola, in generale, che il me~cato interno non dovrebbe fare questione di prezzo, ma assorbire tutto quanto gli venga offerto. · In realtà, in quanto la produ'.l:ioneè sicuramente scambia– bile con altra produzione, si può dire che ·oggi non è il caso che gli imprenditori perdano tempo a impostare calcoli di con– venienza economica delle loro produzioni. Ma ciò J!OO vale per il mer<:ato dei beni di consumo e vale soltanto fino a un certo punto per la stessa produzione di beni strumentali., sempre che ,non si affermino imprese monopolis~che di fa':(o. Perchè i con- sumatori, quando non· si tratti di beni a domanda rig.ida, t\OO sono costretti a comperare quanto vorrebbero i produttori; e perchè nello scambio delle produzioni fra di loro, quando per ogni tipo di produzione vi sia p!uralità di offerta, vi è possibi– lità di concorrenza, vi è raffronto di prezzi; per di più uncon: fronto viene fatto dal prodÙttore-acquirente tra il prezzo d' ac– quisto della produzione altrui e la sua possibilità finanziaria di acquistare, rappresentatij dalla possibilità di colJocamento deUa propria produzione. Concetti elementari, questi; eppure facilmente obliabili quando, nell'ardore quasi frenetico della ricostruzione, in w1 ambiente che è esattamente l'opposto di quello di sovraprodu– zione e di prezzi declinanti, ad ogni produzione sembra debba arridere il successo finanziario. La cosa si fa più seria allorchè si considerino i rapporti tra economia italiana ed economia estera, specialmente le eco– nomie dei paesi vincitori e neutrali. Certamente è possibile - ed è augurabile - che gli aiuti esteri all'Italia continuino. Ma è evidente che tali aiuti vengono ora concessi per impedire che l'Italia cada in un'estrema miseria, le cui conseguenze sociali e politiche sono facilmente immaginabili, con dannose riper– cussioni sull'intera famiglia mondiale delle nazioni. Cioè, non è pensabile che, a un certo momento, non si ponga il problema di pagare i rifornimenti esteri ai prezzi normali e con mezzi di pagamento normali. In quel momento tutta la produzione ltalianll deve venir considhata sotto l'aspetto della sua conve– nienza economica e non soltanto della sua effettuabi!Hà tec– nica. Il non tener conto di questo fondamentale elemento di giudizio significherebbe açcentuare il grado attuale di artifi– cialità del!'economia italiana. Non sembri questa una preoccupazione infondata; perchè, se è vero che l'inesistenza di un cambio normale imperusce il confronto internazionale di costi e di prezzi, non è meno reale il pericolo che, fondandosi su un cambio ipotetico o astraendo addirittura da qualsiasi cambio, gli imprenditori possano la– sciarsi_attrarre dalla prospettiva di 1;tabilire piani di produziq– ne da destinarsi ai mercati esteri, senza accorgersi che la loro produzione comporta costi con l'elevatezza tipica... dei tempi autarchici ed è quindi destinabile soltanto a un mercato tenuto ermeticamente chiuso. Lo stesso pericolo incombe ai dirigenti del Paese, qua1)do concertano la politica economica interna e la politica ccmmer– ciale. I: orse, una prima rudimentale comparazione di costi a un cambio non troppo irreale - tentata finora sporarucamen– te - 9arebbe una chiara conferma a .quanti oggi considerano senza eccessivi ottimismi le possibilità dell'economia produttiva italiana sul mercato mondiale, almeno in un domani immediato. Allora, si dovrebbe forse propendere per un sistema di eco– nomia autarchica, considerando l'elevatezza attuale dei nostri costi di produzione? Una decisione del genere vorrebbe dire sostanzialmente due cose: 1) il perdurare a lungo di una situa– zione di dura compressione dei consumi, per consentire la rico– struzione dei beni capitali; 2) l'impossibilHà, anche dopo chiuso il periodo di concentramento della produzione sui beni capi– tali, di innalzare il livello dei consumi fino al punto raggiungi– bile invece mediante gli scambi con l'estero, data la deficienza ·italiana di materie prime. Evidentemente, anche soltanto questi due rilievi sono suf– ficienti per far considerare l'inopportunità di una pçilitica eco– nomica autarchica, soprattutto trattandosi di un paese che esce

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