Lo Stato Moderno - anno II - n.15 - 5 settembre 1945

190 LO STATO MODERNO finiti tra i capi degli Stati Maggiori americano e britannico i piani della campagna risolutiva contro il Giappone. L'U. R. S. S., come rivelò poi Churchill, si era impegnata ad intervenire tre mesi dopo la cessazione delle ostilità in Europa; e evidentemente sulle questioni sorgenti dall'imminente scioglimento del conflitto ,d'Estremo Oriente vertevano' le conversazioni da tempo in corso a Mosca tra Stalin e il Primo ministro cinese T. V. Soong. Tokio 0011 credette di poter accedere all'intimazione dei « Grandi » di Potsdam e attese la burrasca. La quale si scatenò il 6 agosto sotto forma della prima bomba a disgregazione ato– mica - la grande scoperta di questa guerra delle sorprese - -che devastò Hiroslùma. La bomba, questo nuovo, imprevedibile quanto tremendo, ordigno di guerra, offriva ai dirigenti di Tokio il modo di salvare, per quanto ancora possibile, la faccia, anche se era clùaro che la guerra era già ·perduta in ogni caso: ond'essi non avrebbero dovuto questa volta tardare ad accettare le con– dizioni alleate. Ma essi non avevano forse ancora avuto iJ tempo di rendersi conto di quant'era avvenuto che interveniva 1"8 la òìclùarazione d: guerra dell'U. R. S. S., • con lo scopo di acce– lerare la fine della guerra e ridurre cosi il numero delle vittime»; l'indomani gli eserciti sovietici e della Mongolia esterna invade– vano da più parti la Manciuria, e un bomba atomica più potente della precedente distruggeva un terzo di Nagasaki. Fu cosi che il 10, per tramite dei Governi svizzero e svedese, il Governo giapponese si dichiarava disposto ad accettare le con– dizioni di Potsdam, con l'intesa che esse non contenessero • do– manda alcuna atta a pregiudicare le prerogative di Sua Maestà come sovrano regnante»; 1'11 il Segretario di Stato americano a nome dei quattro Governi alleati notificava le condizioni a cui la resa poteva essere accettata, in primo luogo la subordinazione ,dell'Imperatore e del Governo nipponico all'autorità del coman– <lante supremo delle Potenze alleate; il 14, con un ritardo dovuto non si sa se a manovre dilatorie degli elementi responsabili o alla necessità di vincere determinate ostilità, il Tenno e il Governo accettavano di sottoporsi alle condizioni alleate, e gli Anglo-ame– ricani disponevano la sospensione di ogni azione offensiva; il 15 1firo Rito ordinava la cessazione su tutti i fronti delle ostili~. che io Manciuria si protraevano tuttavia fino al 19. Pure il 19 avevano luogo a Manila i primi contatti fra i delegati delle due parti, e, finalmente l'armistizio veniva sottoscritto nella baia di Tokio il 2 settembre (1 ° settembre per l'emisfero occidentale). Cosi, dopo otto anni e due mesi, ha avuto termine la guerra in Estremo Oriente. Ma i problemi del ritorno ad una situazione· di pace, dell'assestamento definitivo dei territori e dei rapporti fra i popoli di quella vasta parte di mondo sono numerosi, e non ,è detto fino a che punto le loro soluzioni siano stata concordate f~a i vincitori. Il Giappone perde l'im.Pero, ma resta con tutto il nucleo del territorio metropolitano, forte di 75 milioni di abi– tanti, cui pure bisogna che le Potenze vincitrici assicurino la possibilità di vita: problema non facile per una popolazione am– massata in ragione cli quasi 200 abitanti per kmq., in un terri– torio di cui solo il 16 per cento è coltivato, e che dispone sol– tanto di modeste risorse minerarie. La Cina riprende, a tenore degli aocordi del Cairo, i territori perduti in epoche diverse, e ottiene, in base a convenzioni di questi ultimi anni, la disponi– bilità di quasi tulle le concessioni già attribuite a Potenze euro– pee, mentre accorda alcune situazioni particolari all'U. R. S. S. L 1nghilterra riavrà i territori già di sna pertinenza occupati dal Giappone durante l'attuale guerra, salvo le concessioni sponta– neamente retrocesse alla Cina (non è escluso che in un secondo tempo retroceda anche Kow-loon) e l'influenza economica in quel- 1e province della Cina in cui già l'esercitava prima dell'aggres– sione giapponese. Gli Stati Uniti hanno già rioccupato il terri– torio che avevano perduto durante la guerra, manterranno rap– porti speciali con le Filippine delle quali hanno ormai ricono– sciuto l'indipendenza, e erediteranno forse parte dell'influenza -economica che il Giappone esercitava in Cina; ad essi infine, cui -spetta la parte di gran lunga maggiore nella vittoria contro il Giappone, sarà verosimilmente affidata l'amministrazione fidu– -ciaria degli arcipelaghi micronesiani che il Giappone aveva avuto in mandato dalla Società delle Nazioni. L'U. R. S. S. dal canto suo riavrà certamente la parte meridionale dell'isola di Sakhalin ceduta al Giappone col trattato di Portsmouth del 1905, rivendica 1'arcipelago giapponese delle Curili che ha occupato, ottiene dalla Cina (trattato del 14 agosto) la gestione comune della Ferrpvia Orientale Cinese venduta nel 1935 alla Manciuria e della Ferrovia Sud-manciuriana già di proprietà giapponese, l'utili2:zazione in comune della base navale di Port Arthur, la costituzione di Dai– ren in porto franco internazionale, la rinuncia al Tanno Tuva, li riconoscimento dell'indipendenza - leggi dell'inclusione nella sfe– ra d'Influenza sovietica - della Mongolia esterna, concessioni di considerevole entità nel Turkestan orientale; e, mentre col pre– detto trattato ha rinunciato ad ogni altra ingerenza in Manciuria, sembra nutra aspirazioni nei confronti della Corea di cui ha iotra. preso l'occupazione militare. Quelle dei rapporti tra U. R. S. S. e Cina è uno dei problemi più gravi sollevati dalla conclusione della guerra in Estremo O– riente, e il giuoco è complicato dalla presenza in Cina di un esercito comunista cinese autonomo che può essere variamente manovrato. E' confortante notare come il couflitto ciao-sovietico abbia potuto essere risolto da un trattato trentennale tra i due paesi interessati proprio il giorno stesso della cessazione delle osti– lità col Giappone, ma l'attuazione della gestione comune per trent'anni cela pur sempre una incognita per l'avvenire, come un'incognita continua ad essere il problema dei comunisti di Mao Tse-tsung, « Stato nello Stato» cinese. Uoa rivoluzione sociale s'innesta gai a interferire con i problemi di politica internazionale; e non è esclnso che uo profondo rivolgimento interno - anche se là non si tratterà di comunismo - abbia a verificarsi in Giap– pone. Eoco un altro aspetto dell'immane complesso di problemi aperti, o acutizzati, dalla capitolazione di Tokio, che rappresenta già di per se stessa una profonda rivoluzione nell'Asia. orientale. ANTONIO BASSO Dal dire al fare. ... c'è di mezzo iJ solito mare. Un mare quanto mai tempe8tosO, oggi, che sconvolge e travolge le fragili naVi– celle cartacee che cercano cli recare in porto proposte anche giudiziose, iniziative ardite, riforme audaci. Bisogna adat– tarsi a tale concreto mare, bordeggiare, traccheggiare: in: somma, per uscire dalla metafora, è d'uopo a~e ben chiare e precise le m-0lte limitazioni che impediscono la piena attuazione cli parecchie rifomw. Qualche caso? Ma ve ne posso citare fin che volete. Un esempio tipico: quello ciel/a '1'icostruzio11e economica del paese. lfutti si sentono i11 grado di dare consigli: e fin qui va bene. Ma tutti, purtroppo, si rivolgono allo stato come se lo stato potesse in questo momento far molto. Lo -stato deve fare qoosto, lo stato deve fare quello: uno stato onnipresente e onnipossente. Ora basta. avere anche una minima sensi– bilità per capire che lo stato italiano in questo momento è m-0lto, molto ammalato, e di anemia perniciosa. Perciò non gli si può chiedere più di quan.ta è in grado di dare. Un al.tro esempio: la riforma tributaria. Tutti concordano sulla necessità di una pronta e rapida e giusta riforma che assicuri allo stato i mezzi, al.meno, per far f'ronte alle attuali necessità ordinarle e straordinarie del paese. Si sente par– lare a tutto spiane di oocertamenti rigorosi, di imposte ma– ordinarie sul patrimonio, di avocazioni di profitti di regime, di pene draconiane per i renitenti fiscali. Naturalmente le masse si inebriano a queste proposte e pensaoo che da w1 momento all'altro si possa ritornare ad una relativa felicità ecmunnica: basta che i ricchi paghino. Ma non basta, in– vece; quello è il «dire». Per «fare> è d'uopo, primà di tutto, rifoggiare lo strumento fiscale, cioè il meccanismo che per– metta di incassare imposte e tasse. Può sembrare, questa, una veritil lapalissiana; ma provatevi a sussurrare un dub– bio, a chi vi parla, infervorato, di provvedimenti fiscali, da attuare subito, sui due piedi, naturalmente. Il meno che vi 1J06SD capitare è quello di essere accusati •di reazionarismo. OccON'e invece convincersi che l'economia italiana oggi si può tJOlvare,a fatica, soltanto con provvedimenti che, su un terreno sanamente empirico, abbiano ispirazione di immediata e razionale concretezza. L. L. -

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