Lo Stato Moderno - anno II - n.14 - 20 agosto 1945

LO STATO MODERNO · 159 del Gentile aveva lanciato, con non eccessiva fortuna anche entro il partito. Le relazioni fra i partiti erano, nel C.L.N., relativamente buone. I comunisti non avevano ancora una rigida disci– plina. Erano uomini da poco usciti dalle galere fascistiche e dal confino, assetati di libertà e· si comportavano con mode– razione; i socialjsti andavano ricostituendo il loro vecchio partito, trovavano non poco vantaggio nella loro vecchia tradizione. Il partito d'azione faticava ad uscire dalle sue abitudini cospiratorie e a ordinarsi nelle forme democratiche. La democrazia del lavoro poggiava sopra tutto sulla espe– rienza parlamentare di qualche suo membro. Tutti questi nuclei si trovarono aggrediti dalla stampa e dalla propaganda brindisina. La monarchia si fece forte del vecchio disprezzo borbonico-fascistico per chi si occupa di politica e accusò i partiti di dimenticare le sventure del popolo, di abbandonarlo senza governo, preda alla fame e al;a miseria. Qualéhe giornalista napoletano rincarò la dose. 11 maresciallo Badoglio attaccò direttamente il Croce e lo Sforza che gli avevano rifiutato la collaborazione. Doveva tirar avanti con un governuccio di sottosegretari, reclutato fra alcuni vecchi compagni provinciali di lotte elettorali di Gio– vanni Amendola e qualche ambizioso impaziente. Anche al– cuni mesi dopo - quando tentò di creare un ministero rego– lare - i suoi agenti girarono per Napoli offrendo portafogli e tu,tti ricusarono. Il prestigio del governo brindisino era nullo, le responsabilità finivano a cadere quasi tutte sul- 1' A.M.G. Gli alleati s'infastidivano e premevano per una qualche soluzione. Quando alla fine di novembre l'offensiva del Badoglio si sferrò contro il Croce e lo Sforza, non c'era quasi mezzo pubblico per replicare; pareva di esser tornati sotto il fa– scismo. Allora a nome dell'Università invitai la cittadinanza a rendere omaggio a Benedetto Croce nel chiostro univer– sitarto di San Marcellino. Ci si adunò ali'ombra della vecchia Università, con poca soddisfazione dei liberali monarchici uno dei quali, uomo molto pratico di manovre e d'intrighi, andò brontolando che io ero il Ciccio Cocozza della situa– zione. (Per chi non lo sapesse Ciccio Cocozza era ai bei tempi prefascistici l'unico anarchico di Napoli che in tutte le cerimonie compariva o con lo stendardo dell'anarchia o della società degli atei o di altri sodalizi. immaginari). Nel!'atrio di San Marcellino si tenne il primo libero comizio, in cui il Croce, lo Sforza, Mario Palermo, l'organizzatore operaio En– rico ·Russo ed io, rispondemmo al maresciallo e alla corte brindisina. Le parole di Benedetto Oroce furono singolar– mente severe nei riguardi di Vittorio Emanuele III. Il comjzio ebbe risonanza anche nella stampa alleata, e irritò non poco la polizia italiana. (Continua) ADOLFO OMODEO STATO E DEMOCRAZIA III L'antitesi dello stato entificato è lo stato democratico. Lo stato, in una concezione rig(jl-osamente e coerentemente de– mocratica, non è un idolo a cui si debba ubbidire in qualsiasi circostanza, non è una macchina di cui ci si serva per qualsiasi uso, ma è unicame);ite il punto d'incontro, o meglio i diversi e molteplici piloti d'incontro, delle volontà dei singoli in ordi– ne al problema, che a tutti ugualmente si affaccia, della con– vivenza sociale. Non è soprattutto un ente collettivo personifi– cato, ma un complesso ili relazioni di persone individuali. Non è al di sopra di noi, nè al di sotto di noi; non è qual– cosa che sussista al di fuori di noi; ma è il punto in cui la mia volontà s'incontra con quella dell'altro e diventa volontà sociale. Le concezioni che staccano lo stato dall'individuo, attribuendogli una personalità superiore a quella degli uomini o negandogli ogni espressione umana, non hanno altro scopo che quello di giustificare la divisione degli individui in due gruppi contrapposti e incomunicabili, la classe ili coloro che sono lo stato e la classe di coloro che non hanno lo stato. La democrazia soltanto, riavvicinando gli individui allo stato, tende a sopprimere il rapporto di oppressione o di schiavitù che sussiste là dove gli individui sono costretti ad adorare lo stato come un feticcio, o ad esserne strito– lati co~e da una macchina, e riporta lo stato alla sua funzione essenziale, che è quella di essere la manifestazione più completa e più ampia, più diretta e genuina della volontà sociale. La concezione democratica dello stato, insomma, abbassando lo stato dal piano ilivino ed elevandolo dal piano strumentale, e riportandolo in entrambi i casi sopra il piano degli individui associati, è quella concezione che umanizza lo stato, fa dello stato un'opera, anch'essa, della costante e inin– terrotta costruttività degli uomini, che creano col loro inge– gno e col loro lavoro il progresso civile. Nè sr creda che qui si voglia intendere l'umanizzazione dello stato nel senso di un vecchio e nuovo umanesimo, o peggio di un vecchio e· nuovo umanitarismo, data l'inevitabile tonalità moralistica che l'uno e l'altro accompagna e vincolerebbe il nostro proposito ai ceppi di una formula, non migliore nè peggiore, io quanto formula, di tutte le infinite altre che il dottrinarismo mora– listico è andato nel corso dei secoli escogitando; qui si vuol parlare semplicemente dello stato degli uomini, nel senso più sobrio e più limpido della parola, dello stato che, ess~ndo l'edificio che gli stessi uomini si sono costruiti per abitarvi, non deve essere per loro nè un castello incantato nè una prigione. Lo stato non è un ente a cui si possano attribuire opinioni o passioni; non è un congegno a cui si possa trasmettere o da cui si possa ricevere·un moto: lo stato è la volontà domi– nante nell'atto di far leggi, cioè nell'atto ili esercitare la sua ·sovranità. Le opinioni e le passioni sono della classe dom,i– nante; il moto trasmesso è quello che parte dalla classe domi– nante e s'imprime alla classe dei dominati. Ogni entificazione dello stato è dottrinalmente una giustificazione comoda delle– passioni che si voglion far trionfare, delle opinioni che si vogliono imporre: è un paravento dietro cui si nasconde la: casta che vuol dominare o è esso stesso lo strumento di domi~ nazione. Nello stato entificato, come un Leviatano ilivoratore o come una macchina distruttrice, celebra il suo trionfo l'umana volontà di dominio; esso è la manifestazione più alta e più tremenda di quella libido dominandi, · che l'uomo, qual– siasi uomo, sia esso l'essere barbaro non ancora incivilito, sia l'essere decaduto non ancora redento, accoglie 10 se stessò come un segno ed un ammonimento della propria miseria. Solo quando la volontà dominante coincide con la volontà generale, lo stato non ha più bisogno di essere entificato, per– chè non vi è più una morale dello stato di cui debba essere dimostrata l'eccellenza sopra la morale, non vi è più un' opi– nione ufficiale che si debba far prevalere sull'opionone pub– blica. La morale di stato, l'opinione ufficiale sono il principio del dispotismo. Il costume e l'opinione pubblica sono lo spec– chio e la garanzia della democrazia, per la quale lo stato è il complesso delle istituzioni in cui la volontà dei singoli trova la via per trasformarsi in volontà generale, e in cui quindi tra l'espressione della volontà di ciascuno e la for– mazione della volontà domjnante non vi è intervallo che permetta la solidificazione della volontà di alcuni come vo-

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