Lo Stato Moderno - anno II - n.14 - 20 agosto 1945

LO STATO MODERNO 167 PER UN NUOVO TEATRO Una concezione politica basata sui compromessi, sugli equi– voci, non può influire che in maniera negativa sul teatro: non solo per il repertorio e per il modo della rappresentazione, ma anche per tutto il complesso organizzativo. Può sembrare un paradosso: un regime, fondato solo sul ge– sto, inteso però in modo esteriore, è stato tutto teatrale; divise, parate, messinscena, palchi, declamazioni: eppure ha soffocato il teatro, lo ha reso inerte. (Da questo si può dedurre che il teatro non nasce dal gesto esteriore, ma dalla vita più profonda; e che il gesto non può essere retorico, ma deriva da una vitalità interiore). Tuttavia, non questo qui interessa: a parte qualsiasi consi– derazione estetica, occorre qui fare un bilancio: che cosa ci ha dato il teatro in Italia in questi ultimi venti anni, quali sono stati gli equivoci, che cosa si può ancora fare. 1) Uno degli errori fondamentali è stato quello della autarchia e censura teatrale. Era una conseguenza, del resto in malafede, di una concezione politica sbagliata: chiudere le porte a tutto ciò che fuori d'Italia si è fatto. Si è visto invece che non si può dare valore a una nazione isolandola: sarebbe contrario a qualsiasi esigenza di progresso. Ciò chè si fa in America o in Russia o in Francia o altrove non deve essere ignorato da altri che stiano in un'altra regione. Un italiano non sarà più italiano se si isola, ma se sta a contatto con altri paesi: le sue origini, indirettamente, non potranno essere del tutto annullate, ma affioreranno nella concretezza dell'opera. Tuttavia il suo gusto non sarà provinciale: la sua cultura, la sua concezione della vita saranno libere da qualsiasi legame provin– ciale. I contatti serviranno d'incitamento perchè il suo linguaggio possa essere sempre più vivo. Insomma non si è più puri igno– rando, ma conoscendo e superando. La cultura del mondo è una sola: non esistono culture in compartimenti chiusi. Antonello da Messina, tanto per. citare un esempio, se fosse rimasto in Sicilia, non avrebbe avuto una funzione storica nell'evoluzione del gusto del '400: andò fuori della Sicilia, fu a contatto con le scuole mi– gliori del '400 internazionale (Napoli, Venezia, Fiandre) influì sul gusto degli altri, e tuttavia conservò le sue caratteristiche di siciliano. 2) La conseguenza necessaria di una tale premessa è stata quella cli favorire in Italia una cricca sparuta di commediografi mestieranti, e non poeti: vedi le varie commediole dei Gherardi, Viola, Tieri, De S~efani, ecc. Teatro piccolo borghese, provincialissip)o, senza ampio re– spiro: non si poteva nemmeno parlare di italianità, ma di defi– cienza spirituale. (Pirandello è stato apprezzato prima ali'estero, poi in Italia). Si fecero, ad un certo momento, delle riprese di opere del passato, famose: ma il modo della rappresentazione restava an– cora legato ad un gusto provinciale, non sempre rinnovato con iinpegno. Si rispondeva sempre alle esigenze cli un pubblico di ricchi. 3) La critica, d'altra parte, non poteva essere libera. Del resto, in linea generale, è mancata una vera metodologia di critica teatrale; c'è stata, e molto chiara, nel campo della cri– tica figurativa (nessun criterio che si rispetti si rifà solo al bel soggetto, al di là dei valori ritmici), c'è stata nella critica lette– raria: manca una metodologia di critica teatrale. Di solito, questa si è limitata in Italia a raccontare l'intreccio, il contenuto delle commedie e, solo alla fine dell'articolo, appare un breve commento sul modo della rappresentazione, con qualche rarissimo accenno alla scenografia. Ma una critica impostata ancora sul contenuto, o solo sui. motivi psicologici o comunque d'intreccio, -non può che essere equivoca. Non può formare un gusto vivo, nè spinge gli attori, i registi, gli scenografi ad appro– fondire i loro mezzi espressivi; e, quando è generica, non riesce ad orientare il pubblico. (Mancano anzi dei lavori per una metodologia teatrale, la quale viene spesso affidata a critici improvvisati) . Comunque, non si può certo dire che in questi venti anni la critica teatrale abbia avuto una funzione: a parte i compro– messi, i favoritismi, non è stata approfondita la ricerca per un concreto orientamento della rappresentazione e del pubblico. 4) Di qui, vari equivoci. Si volle venire incontro all'idea di un teatro per il popolo, cercando cli formare un teatro di massa: in un primo tempo la massa fu intesa addirittura snlle scene (vedi tentativo 18 BL a Fire.nze), poi nel pubblico di die– ci mj)a o ventimila spettatori. Si è visto invece che, sulle scene, non significa niente un teatro cli massa: può esserci anche con 20 o 25 personaggi, quando questi siano visti come momenti corali; e del resto, Shakespeare è teatro per il popolo, o Aristofane o Plauto o qualsiasi altro moderno che abbia qualcosa da dire in modo da interessare il pubblico. E si è visto anche che, per la 1>rosa,non occorre affatto un pubblico cli ventimila spettatori: anche un teatro di mille o due– mila persone può ess\lre teatro per il popolo. Ormai questo è ovvio: purchè le opere e i prezzi non siano solo per i ricclù. 5) Nè mancarono, si capisce, i sostenHori di un teatro di propaganda: vari furono i tentativi, più o meno camuffati (vedi Forzano), col massimo insuccesso sia perchè non c'era un'idea positiva su cui poggiare per la propaganda, sia perchè il teatro di propaganda, inteso soprattutto nel suo valore di contenuto, ovvio: purchè le opere e i prezzi non siano solo per i ricclù. Ci si è accorti che la propaganda migliore è sempre quella indiretta, che nasce qu;ndi da tutta una concezione cli vita sentita dall'autore e fatta diventare azione viva. Senza contare che il teatro non è cattedra: e acquista un valore sociale non per· il motivo propagandistico, ma soprattutto quando diverte: un pub– blico, per esempio cli lavoratori, ha diritto, nelle ore di riposo, di distrarsi. Per questo il più popolare teatro russo, quello dello esercito rosso, ha in repertorio lavori varissimi, anche leggeri, da Shakespe.are a Sheridan, Goldoni, Ostrovski, Molière, Cecov, Gorki, ecc. 6) Tuttavia, perchè in Italia il teatro potesse, di tanto in tanto, avere un certo respiro di avanguardia, attraverso qualche iniziativa individuale, si andò verso il teatro di eccezione (vedi alcune rappresentazioni dei G. U. F. o di altri teatri sperimentali). Mancando però una vera educazione artistica, si otteneva spesso un teatro dilettantesco. D'altra parte ci si accorse che il teatro, malgrado qualche rappresentazione veramente buona (vedi Teatro dell'Accademia di Arte drammatica), continuava inerte per la sua strada clùusa. Non influi mai - nè d'altra parte ne aveva la possibilità - su un nuovo, deciso orientamento cli tutto il teatro italiano. Restava un teatro per pochi iniziati. Le basi, su cui poggiava l'organizzazione, erano inaccessibili a qualsiasi vera rivoluzione teatrale. 7) Su che cosa poggiavano queste basi, sostenute anche dalla Direzione generale del teatro? Su che cosa poggiano an– cora oggi? La risposta è semplice: su una cricca di industriali, di spe– culatori: i quali, mediante il teatro di prosa, vogliono guadagnare. Questo è il punto. Fincbè il teatro resta in mano agli speculatori e deve essere quindi una fonte di guadagnò, si è sempre in un circolo vizioso. Gli speculatori infatti, io un modo del resto coerente (dal loro punto di vista speculativo chi può dare loro torto?) dicono:' - Io sovvenziono questa compagnia, rischio un capitale. Che lavori date? Che nomi ci sono in ditta? Chi!'guadagno pesso farci? Ne è nato cosi, per inerzia, un tacito accordo tra impresari della compagnia (capocomici) e proprietari del teatro: l'attore, anche se famoso - quando non sia lui stesso il capocomico - non è libero. L'attore, a parte il suo valore, deve fare cassetta: deve rispondere più che alle esigenze dell'arte, alle esigenze dei sovvenzionatori capitalisti; deve fare cioè spettacoli che rendano. Ma quali sono in Italia gli spettacoli che rendono? Anche qui la risposta è semplice. Poichè il nostro pubblico è formato pur-

RkJQdWJsaXNoZXIy