Lo Stato Moderno - anno II - n.14 - 20 agosto 1945

LO STATO MODERNO 1iana•o degli Stabilimenti di Dalmine, per esempio, i privati che posseggono azioni di queste società possono intervenirvi -e di solito v'intervengono, con facoltà di discutere la rela– czione presentata -dal consiglio d'amministrazione, il bilancio e qualsiasi mozione, nonchè di presentare essi stessi delle pro– poste, ma è evidente che sarà il possessore del pacchetto di maggioranza, cioè !1 dire lo Stato, a dire l'ultima parola. Ora, noi riteniamo che per la nazionalizzazione dei grandi complessi monopoli~tici, quale viene auspicata dal Partito ,d'Azione, sarebbe conveniente seguire la stessa via a suo tempo sperimentata attraverso l'I. R. I. L'intervento di que– sto Istituto, destinato a fare da cuscinetto tra le imprese na– zionalizzate e lo Stato, ci sembra assai utile al fine special– mente di evitare dirette e nocive interferenze burocratiche su aziende che è bene conservino tutta l'elasticità propria delle aziende private, onde far sì che la nazionalizzazione non ab' bia a tradursi in un peggioramento delle qualità del servizio reso in regime privatistico. Vorremmo aggiungere che agire diversamente poti·ebbe es– sere inutile da un punto di vista e dannoso da un altro. Inu– tile, perchè non si comprende quale interesse possa avere lo Stato ad espropriare, per esempio, il possessore delle cin– quanta o cento azioni di una qualsiasi società elettrica, sia pure dietro equo compenso, urtando, senza che ciò gli riesca utile, il legittimo desiderio che possono avere tanti piccoli azionisti di rimanere in possesso dei loro titoli; dannoso, per– chè è da ritenere che in un regime ,di sana democrazia sia consigliabile lasciar sussistere le minoranze, che, in definitiva, .apportano, con vantaggio non trascurabile, critiche costnit- tive ed un controllo sulla gestione dell'azienda che, per quanto limitato possa essere, provenendo da parte di per– sone cui premono ragioni d'interesse, non potrebbe non riu– scire di una qualche efficacia. L'esistenza di minoranze azionarie in mano di privati fa– rebbe sì che l'andamento dei titoli, dei quali continuerebbe la quotaz.ione di borsa, sarebbe di non poca utilità per la pubblica opinione e per gli stessi organi responsabili, poichè darebbe, almeno in parte, l'ù1dicazione dell'apprezzamento da parte dei privati risparmiatori dei sistemi con civ la gestione delle imprese nazionalizzate viene condotta. Per concludere noi siamo favorevoli: a) alla limitazione della nazionalizzazione ai soli com– plessi monopolistici, come dalla mozione presentata dal Par– tito d'Azione; b) alla espropriazione dei soli pacchetti di maggioranza, faqilmente reperibili, lasciando le minoranze in mani pri– vate; cl a mettere tra lo Stato e le aziende nazionalizzate un ente-cuscinetto, che potrebbe essere !'I. R. I. o altro. istituto del genere, al fine di evitare che le imprese abbiano a subire la diretta influenza della burocrazia statale. In definitiva non bisognerà perdere di vista che la nazio– nalizzazione dei complessi monopolistici avrà senso se, evi– tando sprechi e dispersioni di energie, consentirà alle im– prese di adottare tariffe inferiori a quelle che sarebbero state da loro stesse praticate se fossero rimaste sotto regime pri– vatistico. GIUSEPPE LANZARONE Autarchie provinciali Regolarmente, con una o~ti·nazione cerkl degna di mi– glior causa, i dirigenti (o, almeno, alcuni dirigenti) della cosa pubblica, di fronte a certe difficoltà economiche non sanno reagìre che con gli stessi P.TOvvedimenti.già bersaglio degli strali ironici di generazioni e generazioni di economisti. Criticme dilJenta una noia. Eppure non si può fame a meno, tanto patente è l'errOf'e e tanto grave è il danno che scon– siderati provvedimenti possono recare all'economia comples– siva del paese. Ade.sso è ancora la volta delle autonomie ec<J'l1011liche locali. Di fronte all'esiste,nza di governi militari alleati, alle difficoltà dei trasporti, al guazzabuglio dei prezzi, al1.e deficienze della produzione, e cwi via, ,wn ·si trova altra .soluzione che quella di chiudersi nei ristretti fortilizi delle autarchie provinciali, per non di;re cittadine. Alcuni prefetti nommat·i dal C.L.N.A.I., anzichè reagire vigorosamente contro questa tendenza, l'assecondano, proni ad angusti interessi locali. Non è certo un bell'esperimento w decen– tramento amministrativo, quello al quale stiamo assistendo. Possiamo ben tuonare contro i prefetti di c<m'ie1'a, i prefetti del cosiddetto stato napoleonico: ma almeno quelli obbedi– scono, volenti o inolenti, al!' autOf'ità centrale; e non osano contrastarla apertamente. Qui, i:nvece, si vede il prefetto della prol.lincia A che blocca manufatti finiti o generi .ali– mentari e tratta compensazioni con il prefetto della pro– vincia B; il prefetto della proVÌJ1WiaB, poi, che cerca di stornare tradizionali correnti cli traffico e vuol far lavorare in conto, nella provincia C, materie prime prodotte nella sua giurisdizùme, ritirando la merce finita. Il prefetto della prooincia C, infine, che si difende imponendo balu/Ji sulle esp01'tazioni di alcune merci della sua provincia. E la casi– stica potrebbe continuare. Non si creda che questi provvedimenti siano una no– vità: ho già detto che sono oecchi qllllil,tO il mondo. E vec- chie pure le critiche ad essi. Ma conl.liene ripeterle per i sorw. Questi divieti al oommercw interno spesso si giustifi– cano con ragioni di Of'dine pubblico. Se una provincia rimane spoglia di certi prodotti si possono verificare disordini. Ma basta pensa,re che, vietando a certe cose cli uscire, implici– tamente si vieta ad al,tre cose cli entrare, per capire l' assur– dità del ragwnamento. Può darsi che nella provincia si pa– ghiino meno le cose di produzione locale ma si deoono certo pagare di più le cose di produzione forestiera; con un danno grave per tutti. Altra giustificazione è la necessità di rispar– mia,re trasporti. Ora è ridicolo pensare che vi sia gente éhe p01'ti in giro merce senza motivo. - Tralasciamo pure di considerare l'illogicità e l'immOf'a– lità di tutti i provvedimenti che frenano i naturali scambi di prodotti tra le province italiane; consideriamone solo i danni: i:ntanto si squilibra domanda ed offerta nazionale con conse– guente effetto sui prezzi; poi si ha sciupìo di godimenti pe-rchè gli abitanti di oerte province devono consumare merci, magari controvoglia, e non possono ottenere quelle di altre località. Ancora vi sono arbitrari spostamenti di ricchezza: per l'imeli11tmllbileconflitto tra consumatOf'e e produttOf'e della stessa provincia. Infine vi sono deperimenti, disOf'ganizza– zione di tradizionali attività economiche, corruzioni e così via. Fe,mocio Parri, quakhe domenica fa, ha chiaramente fatto intendere ai prefetti dell'Italia settentrionale che non è più lecito continuare su questa via dello 'Sbriciolamento del– l'autorità ·statale; allo scopo di rinsaldare i. legami che avvin– cono le varie regwni del Nord è stato appunto costituito il Consiglio industriale Alta Italia (C.1.A.I.). Speriamo, dunque, che tutti intendano l'imp01'tanza della questione. Agli ita– liani basterebbe una sola repubblica: centinaia di repubbli– che, sempre più chiuse e 'Sempre più povere, sono eviden-– temente troppe. L. L.

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