Lo Stato Moderno - anno II - n.13 - 5 agosto 1945

cizio, non si .sono e,aurtte nell'anno fi– nanziario cui ai Tiferivano. Ed a noi sem– bra un bene che agli 011C1ani preposti alla approvazione dei bHanci preventivi si ,ot– topongia ognl anno la situazione completa di tutti gU oneri che lo Stato deve affron– tare e siano chiamati ogni· anno a dare ta loro approvazione. Ci sembra che que1to vantaggio 1ia tale da compensare larga– mente qualsiasi altro inconveniente for– male che il sistema da noi propugnato poua comportare. Se è vera che « la ,pesa è fatta quando H debito è contratto» i pure vero Ghe inserendo - come deve essere fatto con • U sistema del bilancio di cassa - tale debito nei bilanci preventivi presentati all'approvazione in ciascun anno, si dà la pos.stbilità agli organi preposti al controHo ed alt'approvazione, di. giudicaTe rapidamente senza poutbilitd di enoTi, della situazione pTecisa e deH'ammontare dello sforzo finanziario che il Paeae deve sostenere nel cor&o dell'esercizio. Que.tto vantaggiio ci sembra elimini l'inconvenien– te prospetta.to dal Cambi circa U consunti– vo nel quale il sistema di cassa espone solo le somme pagate di fatto e non tiene conto di quelle rimaste da pagare. Esse Tiemergono infatti nei bilanci preventivi successivi e se i vero che avnmno il semplice carattere di una sistemazione, è LO STATO MODERNO anche vero che 1'icompaTendo nel bilancio successivo concorrono a dare l'idea chia– ra ed esatta e completa degli impegni del Paese per l'esercizio che deve euere approvato. E del Testo, per quanto concerne n bi– lancio consuntivo, non poufamo che fare nostre le pa.role del Repaci: « lo studio « dei rendiconti consuntivi dovrebbe es– « sere l'espressione definitiva e compiuta « della gestione fiMnziaria di cia.,cun • esercizio, ma cosl non è dato il bilancio « di competenza"· E cosi non può euere perchè dal consuntivo (nel bilancio di competenza) è escluso U -computo dei vec– chi residui. che ne possono completamente ca.povolgere i risultati. Una considerazione d'altronde che il Cambi stesso porta a soM.egno de11a sua teEI ci convince ancora di più della bontà del sistema da noi propugnato. Affermo infatti il Cambi che « riversando i residui passivi sul bilancio successivo, si darebbe alla gestione che questo bilancio riflette, un aspetto a,ggravato ». Ma è ben questo che noi vogliamo. Se per effetto della bcrizfone dei residui pas– sivi la situazione del bilancio risulta ag– gravata, perchè nasconderlo al Paese? E non ci si dica che questo aggravamento sia il risultato di un arti.flcio contabile perchè se le quote di residui passivi pos- 147 sono es.sere, come scrive il Cambi, « equi.– valenti ai presunti residui pautvi futuri" questa è sempre una presunzione che può non rispondere alla realtd. dei fatti, ma data come vera l'ipotesi che U re.ti.duo passivo di tm esercizio possa venire com– pensato con queUo di un e1ercizio succea– sivo, la compensazione non si può mai avere quando la mole dei residui pa..Jrivt si va accumulando in modo pauroso per parecchi e,ucizi, come si è verificato nel nostro Paese e come è fatale che si ueri– ftcht con il sistema dei residui. Dopo quanto abbiamo detto conveniamo con il Cambi che le nostre brevi conside– razioni non possono esaurire H tema anai complesso e meritevole di più profondo esame. Essi hanno avuto •lo scopo di accennare ut problema. e se tale accenno poteue ot– tenere di soHevare la queatione e rimet– terla in discussione, ne ,aremmo liettuimi, pcnunsi come siamo che sia neU'interene del Paese riprendere in esame anche la questione della forma del bilancio dello Stato, alla quale va da.ta ogni posribile chiarezza perchè t( Paese ed i ,uol orga– ni di controllo possano gtudlcare 'con la completa conoscenza di tutti i .ruot ele– menti. NICOLA RUSSO Documentazione CENNI STORICI SULL'INDUSTRIA AUTOMOBILISTICA ITALIANA Nel 1899 sorgeva in Torino con 50 ope– rai e 800.000 lire di capitale la prir:,a ,ab– brlca italiana di automobili, la « Fiat • che tentava la produzione di un mezzo di trasporto, la cui prima applicazione pratica, con motori a scoppio, era avve– nuta Pochi anni pl'ima, nel 1891. I primi passi deU'industria automobili– stica furono quanto mal .aspri non solo per le difficoltà -inerenti alfa costruzione, che nei primi anni era in rapidissima evoluzione, ma anche per il fatto che il suo sviluppo presupponeva quello di altri rami dell'·industria meccanica. Questa condizione si verificava com– pletamente quando sorsero in Italia le prime !abb'riche di automobili, le quali dovettero perciò addestrare un numero notevole di tecnici e di operài a lavora– zioni di accuratezza e di precisione dap– prima poco diffuse, e spronare a continui perfezionamenti le fondelrie di ghisa comune, di ghisa malleabile, di acciaio, le officine di stampatura ed .imbottitura ed altre lavorazioni. Primo periodo (1900-1914/ Trattandosi di un'attività nuova anche nei paesi industrialmente più progrediti, non cl trovavamo a dover lottare contro la concorrenza di potenti organismi di produzione, già da ,tempo affermatisi al– l'estero e bene attrezzati commercialmente per questa lotta. Questa fu certo la ra– gione dei più confortevoli risultati con– seguiti in questo piuttosto che in alcun altro ramo della produzione. Fino al 1903 si contavano appena 4 imprese che mettevano sul mercato 1380 vetture all'anno, con progresso del qua– druplo sul 1901: nell'anno successivo ne venivano fondate altre 6. Al principio del 1907 esi!itevano invece 66 società co– strut.tr- ici con un capitale complessivo di lire 88.595.000: di queste 20 avevano la loro sede in Torino con- un capitale di 38 milioni. Delle 19 fabbriche di carroz– zerie per rautomobili, 6 si formarono nella capitale del Piemonte. Il sorgere delle grandi aziende ha avu– to anche per eifetto di moltiplicare in– torno a loro una pleiade di piccole oUi– cine, viventi della vita di quelle, a cui pfovvedevano pezzi ed accessori. L'espansione della nuova industria, che costituì certo l' aspetto più caratteristico della vita economica italiana fra il 1905 ed il 1907, diede luogo ad una intensa speculazione. La crisi di borsa - acuita da quella economica generale - servi a riorganiz– zare l'industria eliminando gli organismi più deboli, mentre le vit~orie nelle corse mondiali attir.avano dei clienti stranieri, sicchè l'esportazione arrivava già nel 1907 (1283 autoveicoli) a superare quanto era importato dall'estero (1111 autoveicoli). Nel 1908 il quantitativo delle macchine prodotte si aggirava sulle 18.000. Nel 1913 su 12 mila operai, che si cal– colava trovassero lavoro in questa indu– stria, ben 9 mila si concentravano nella sola Torino, dove esistevano 50 ofiicine {comprese le accessorie): molte tuttavia non arrivavano a produrre 50 telai al– l'anno, ma alcune superavano i 3000. Già allora la Fiat rappresentava un'impresa meccanica di primaria importanza: nel 1908 questa aveva perduto oltre sette mi– lioni su un capitale di nove, subito rico– stituito, con nuoVi versamenti e portato attraverso tre aumenti nel 1912 a 17 mi– lioni. Nel 1913 essa occupava nelle sue officine da 4 a 5 mila operai. Nel 1912 l'esportazione regist~ava un massimo di 7335 autoveicoli, resa possibile dalla ri– duzione alla metà dei prezzi delle vet– ture in un decennio. Per 15 società {e– scluse quelle di carrozzerie e accessori), aventi nel 1913 un capitale di 41 milioni il dividendo è stato del 5,75 per cento nel 1913, del 5,43 per cento nel 1912 e del 4,30 per cento nel 1911: fra le dette società non hanno distribuito dividendo 5 nel 1913, 5 nel 1912 e 6 nel 1911. Secondo periodo (1914~11119 / All'inizio del 1914 la situazione dell'in– dustria automobilistica era molto più chia– ra di quel che non fosse cinque anni prima. Quando i privati non comprarono più, allo scoppio della guerra nel 1914 vennero i Governi con le loro ordina– zioni di autocarri, vetture e motoscafi. Le modeste forniture per la guerra di Libia avevano servito in un certo modo, di allenamento economico e tecnico. Pri– ma della fine del 1915 la sola Flat aveva già consegnato all' eSercito Italiano oltre 2000 autocarri, 100 vetture, 100 gruppi fotoelettrici, trattrici, motori e numero– sissimi aeròplanl, mentre 700 autocarri e 400 vetture venivano inviati agli alleati. L'incalzare del bisogno spinse rapida– mente la produzione ad -altezze vertigi– nose; durante il solo mese di ottobre 1917 la grande fabbrica consegna 2023 auto– mezzi con una media cioè di 75 al gior– no. E tale cifra è ancora largamente sor– passata in seguito, quando il Governo italiano chiede all'industria il miracolo di riparare fulmineamente l'ingente ma– teriale perduto nella ritirata di Caporet– to. Le consegne giornaliere salgono al– lora febbrilmente fino al massimo di 176 veicoli collaudati il 31 dicembre: risul– tato che ha del prodigio, ove si pensi che quelle macchine erano costruite, in ogni più minuta parte, tranne le gomme, nella grande officina. Con tali cifre la Fiat raggiungeva il 96 per cento de1la produzione automobi– listica italiana, portandosi in prima linea fra le fabbriche consorelle del mondo intiero. I mezzi eccezionali forniti dalla straordinaria espansione le avevano a– perta la possibilità di unire a sè, con vincoli di integrazione sempre più saldi, imprese ausiliarie di ogni specie, fra cui importantissimi impianti siderurgici. Emer– ge però per genialità di cre8Zione la fabbrica di cuscinetti a sfere di Vilar Perosa, che emancipò la produzione ita– liana dalla dipendenza estera per un accessorio indispensabile. Nel frattempo. il capitale sociale era stato portato a 200 milioni di lire. Teno periodo (1920-11130] La repentina cessazione delle ostilttà Bi ripercuote sulla industria in misu,ra più sensibile là ·dove più grand!oso ne era stato lo sforzo di adattamento aa-li ecce– zionali bisogni di tre anni di guerra. Ma alla sfavorevole corrente l'industria auto– mobilistica resiste con successo, in parte perchè ancora fornita di precedenti ordi– nazioni, in parte anche perchè la sua pro– duzione è ricercata per la grande noto– rietà di una marca, come la Ftat. Questa tenta pure animosamente nuove vte, atu ..

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