Lo Stato Moderno - anno II - n.7 - 1 maggio 1945

16 LO STATO MODERNO, 1° MAGGIO 1945 CHE FARE DELLA "SOCIALIZZAZIONE" NEO-FASCISTA? L'intento di tanta repentina furia neo-fascista nel campo clcll-.a sedicente « socializzazione» era chiari.,simo. Spesso anzi confessato, con ammiccare furbesco. La socializzaziouc lJUal– che cosa di serio, di effettivo, di durevole, che potesse concre– tamente «marciare» e 11011 fare semplicemente <la lustra? Ma nient'affatto! A prenderla in seria considerazione non ci potevano cascare che gli allocchi ... o i CionP. Inv_cro (a non voler supporre un caso di pazzia collettiva) le a11torit,ì neo-fasciste non potevano essere cosi sconsiderate da pre– tendere di attuare praticamente e realisticamente una cosi capitale riforma - i11a11ditu altera pars ossia le masse lavoratrici, anzi addirittura con la loro riconosciuta av\'er– sione - proprio nel momento più catastrofico di una cata– strofica guerra, resesi ormai precarie e la vita economica del dilaniato Paese e la stessa esistenza materiale ed economica delle imprese socializzancle. (Che poi con ciò si compromet– tesse la sorte stessa della socializzazione a tutto profitto delle fone conservatrici, lo abbiamo altra volta denunciato). Non si intendeva affatto realizzare una imponente riforma che il fascismo nei suoi vent'anni cli dispotico potere aveva non solo omesso sempre dal ventilare, bensì condannata come «bolscevica», e che il neo-fascismo aveva mal scopiazzata dai programmi dei partiti di sinistra. L'intento era più machiavellico: prettamente politico, an– zi addirittura bellico. Si trattava cioè di apprestare per il « poi " una « mina " - una esplosivissima e rovinosa mina - in cui sarebbero fatalmente incappate le autorità anglo-ame– ricane d'occupazione e lJUelle promananti dai C. d. L. -li ra– gionamento era semplice, e molto più lungimirante che il mero accattivarsi la simpatia delle masse con uno sbandie– ramento demagogico, mutuato da altri. Escluso infatti che dette autorità intendessero dar ulteriore corso ai provvedi– menti adottati' e poichè, a riparo di una situazione caotica, di fatto e di diritto, derivante da una socializzazio11e in cor– so di attuazione, esse non avrebbero saputo trovare altro rimedio che « far piazza pulita » e cioè abrogare tutte le di– sposizioni fasciste in tema di « socializzazione », con rela– tivo ripristino delle posizioni e privilegi padronali e capita– listici, le masse lavoratrici, deluse e frustrate in quella che indiscutibilmente è loro primaria aspirazione, si sarebbero ri– voltate o avrebbero serbato nei loro confronti un atteggia– mento ostile, riottoso, agitatorio. moltiplicandone le difficoltà e compromettendone la stabilità. Quanto meno, sarebbero a più o meno breve scadenza germinate nelle tanto avverse masse operaie quelle « nostalgie per il fascismo " a cui - sia in relazione con la fiacchezza dell'epurazione, sia col per– sistere della tradizionale compagine statale - il fascismo rac– comanda la sua spirituale sopravvivenza ed il suo rinascere sotto altri aspetti e con altro nome. Bisogna riconoscere che il calcolo, tipicamente fascista e mussoliniano, era sballato. Le masse lavoratrici non si sono lasciate gabbare. Dando indiscutibile prova cli intuito e di maturità, esse hanno tosto preso posizione contro la sedicente « socializzazione» neo-fascista. Ciò non soltanto perchè ne scorgernno la rncuità demagogica di misura destinata a « re– star sulla carta»; non soltanto perchè si trattarn di problema non da affrontarsi sbrigath·amente con qualche decreto, ma da prepararsi sistematicamente; non soltanto perchè trova– vano }°ora e le condizioni sfavorevoli al successo, ma soprat– tutto perchè avernno capito che, meschinissimo trucco, quel- la neo-fascista ... non era affatto «socializzazione"· La vera ed effettiva socializzazione s'impernia infatti su due premesse che la legge neo-fascista completamente igno– rava. La prima è l'espropriazione (sia pure i11dennizzata) del capitale privato aziendale. Essa è indispensabile per realiz– zare il postulato principe della socializzazione: ossia la ge– stione dell'impresa senza ingerenze cd interessenze dell'inte: resse capitalistico privato. Volere stabilire, come intendeva la legge neo-fascista, un'« armonica» coesistenza nell'azienda del Capitale e dcb Lavoro su basi paritetiche, giustapponen– doli (il che significava e/e facto conferire potere arbitratore assoluto al capo deH'impresa), è utopistico. Proclamare che « d'ora innanzi dovrà essere il capitale a servire al lavoro, e non viceversa" è demagogia, quando e sinchè il secondo non può fare a meno del primo, neb suo aspetto di proprietà pri– vata, e in un modo o nell'altro deve sottostare alla sua volon– tà, direttiva o dispositiva che sia. La seconda premessa è il trasferimento dell'impresa socializzata alla collettività, per es– sere gestita nell'interesse generale di questa. Non si tratta quindi di assegnare il potere gestorio e dispositivo esclusiva– mente alla categoria dei lavoratori aziendali, ma ad organi di diritto pubblico - poichè pubblico diventerebbe il capi– tale espropriato - rispettosi dell'autonomia amministrativa dell'impresa, nei quali il mondo del lavoro (operai, tecnici, impiegati) abbia bensì larga ed essenziale rappresentanza ma non un'autorità dispositiva assoluta. Invece nella « socializza– zione » neo-fascista, presupponente, nel migliore dei casi, una stretta intesa (pronta a tramutarsi in connivenza) tra capi– tale e lavoro, nulla garantiva che la gestione, anche quando, senza troppi intralci da parte dei capitalisti, fosse passata in mano dei lavoratori, si effettuasse nell'interesse collettiv_o, an– zichè esasperare - a tutto detrimento dei consumatori e della collettività - la corsa ai profitti, rafforzando i sistemi protezionistici, monopolistici e parassitari, cari al capitalismo nostrano. E' ben chiaro che una socializzazione così intesa - ed è la sola ed autentica socializzazione - non può avere che un ambito limitato. Essa può applicarsi solo a vasti complessi industriali ed aziendali, non a piccole o a medie imprese, sal– vo casi speciali e sporadici. Volerla attuare sulla scala che il neo-fascismo intendeva dare alla « sua » socializzazione si– gnificherebbe intralciare ed appesantire, a tutto danno della collettività, la marcia economica del Paese. Bisogna d'altronde riconoscere come, non per un'unica via, con unico metro, con uniforme istituzione dovrà attuarsi, tanto con trasformazione di imprese oggi private, quanto con la organizzazione di nuove imprese, l'incremento di organi– smi economici perseguenti un'utilità collettiva e non più mos– ·si dal principio del profitto privato, ch'è movente ultimo della socializzazione. Per certe imprese e servizi si renderà opportuna la statizzazione, sia pur dotandol 1 i di un' opportu– na autonomia; per altri la municipalizzazione o la... regiona– lizzazione; primario sviluppo avnì la cooperazione in tutte le forme, sino alla possibile gestione per mezzo di coopera– tive di lavoratori di imprese ex-private espropriate, la cui nu– da proprietà resterà allo Stato, dietro corresponsione di un canone; si potranno avere infine esperimenti di azionariato privato, ecc. · Ma tutto questo - e le masse lavoratrici sono troppo intelligenti e tempestive per non comprenderlo perfettamente

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