su DUE PROGRAMMI J L cri1ico si pone di fronte all'opera d'arte in LIII duplice atteggiamento, quando dav~ vero il suo impegno è totale e il suo inte1cssc 1111i\·ersale. Nel momento assoluto 1 egli illumina con la sua interpretazione il fallo poetico, rifrangendo aura\'erso il suo spirito la inwizione dell'artisrn. Qui, non altro •compito•, egli si riconosce che quello di una sintesi estetica sulla conseguila o fallita poeticità dell'atto creativo, ossia una valutazione della I i rie i t à, che la distingua prima da una non-poesia, poi da tutte le altre liricità. Jn questo senso, il critico non conosce per cosi cifre se non l'opera d'arte che esami.na; può disinteressarsi non solo dei sociali o st0rici o letterari concomitanti. ma finanche delle altre opere d'ar• te del poeta stesso. Se è vero, come ci pare con la critica idealistica, che l'opera d'arte è un mondo compiuto, una creazione originale cd autonoma. t. g.uesta anche la spiegazione :1 posteriori della famosa u n i versa J i • 1 ii della poesia, che è la sua ingenuità infinita e la sua pura semp1icità. Ma non è inibito al critico un altro momento ,·alntativo, quello che chiameremo sto r i e o . E:. pur vero che storia dell'arte è storia delle opere d'arte, ma non è meno esatto che questa concezione se fosse meccanica sarcbhc inaccettabile. Fuori di ogni pretesa illuminista di progresso o daniinia• na di evoluzione, bisogna pur ammettere 11ua unità spirituale delle opere d'arte, tutte diverse certo - come assoluta condizione della loro validità - tutte nuove, ma tllt• te vòltc ad un medesimo interesse. Nè te· miamo accuse di contenutismo, quando tra• duciamo questo termine di • interesse • (che è il • sentimento • della estetica idealistica) con l'ahro di vi t a. Anche se accettassimo la presenza di una natura come atto creativo dello spirito. ~mrehbe sempre valida que~ sra posizione della aitica, di volere tessere una sLOria delle opere d'arte come una tra• ma u11itaria di soluzioni della vita. :e: qui che il contenuto, nella sua astratta determinazione isolata e retorica, riappare come sostanza dell'impegno sentimentale, un grado vago e preliminare della forma, un moment~ preistorico dell'attività poetica. Ed è qui che sc-Jturisce la giustificazione deU'indagine storica del critico, che si rivolga - al di 1~ della , forma , , unica, dell'opera - alla sua sostanza sentimentale, persino a quella di opere fallite, quando esse serbino un minimo di interesse psicologico, e insomma umano. (Del resto, mai le storie di estetica prdtica, che è )a critica, si son potute liberare da una valutazione comparativa, appunto assurda dal punto di vista formale, cioè poetico. E cosi la più valida estetica monadistica, che su11e rovine del positivismo asserisce una sua ind.ifferenza per la socialità dei motivi genetici dell'arte, ri- ';,l'nosce una possibilità di storia dell'arte f"me storia della critica, e giunge senza volere ad ammettere che in fondo una storia siffatta è l'analisi degli sta ti d •animo dei poeti, collegati sul nastro comune della storia umana). Erano indispensabli queste premesse, per chiarire a noi stessi la ragione di certe po· lemiche altrui e di certo interesse nostro per due avvenimenti critici di questi ultimi tempi, che piì, sopra abbiamo chiamato due Fondazione Ruffilli - Forlì programmi teatrali. Ogni galantuomo anebl>e potuto rilevarci la frivolezza di una tliscussione, sul piano estetico, di due pro• grammi, teatrali letterari o che aJLro non importa. E, come i programmi son quelli di Diego Fabbri. e di Beniamino lòppolo - Necessità delle intenzioni, sul n. 1 di " Speuacolo • del dicembre 1941 e Nutu sul ,wsti-o tet1tro sul n. 9-10 di • Pattuglia• del luglio-agos10 1942 - il galantuomo di cui si è accennato, potrebbe ironicamente osservarci che Fabbri e lòppolo son autori di 1cat10. e che qui'ld~ i! cn::.,o deve l1111itarsi a valutare le loro opere poetiche, la loro forma conseguita o mancata, ht loro solu- ;,iorw lirica insomma; e non i programmi. Questo (ora è chiaro) non ha più su1sc,, quando lo si voglia aggiogare al collo del· l'esegèta rome mm sua unica po~ibilità di ,ndagine. Q1.1ici interessano non le comme• die di Fabbri o di lòppolo, ma la posizione storica che e implicita nei loro programmi. I quali, magari, e augurabilmente, sono superati o scontati nelle loro opere, e perfino contraddetti dove le individuali ,agioni delJa poesi:l prendono la mano a convinziom intellettuali. Ma che ci interessano come puntualiuazione della nostra civiltà teatra le, e infine come introduzione ad una intelligenza delle loro penonalità, anche se putacaso solo aj fini di un sarcastico rilievo di incoerenza. Diremo anche che nè noi nè i due autori si è parlato di • manifesti •, e noi stessi soltanto di programmi, esclusivamente perchè riteniamo superare certe festose e pubblicitarie denominazioni che son gelos_o retaggio del futurismo marinettiano. E p_nrna di accostarci al nostro argomento, ch1ariremo che tuttavia il discorso ci si è ri• stre110 a Fabl>ri e lòppolo solo per ragioni pratiche di autodelimitazione. Forse alla scelta dei due nomi non è stata estranea la coscienza di una loro dialettica antinomia che è l'ottima cond~zione alla comprensione reciproca. Mentre altri nomi, pur storicamcr1te notevoli e magari statisticamente più accreditati. hanno minore energia critica, come pili fioco segnacolo di esigenze corali. Persino troppo immediata è la consta. razione che i doe programmi impongono a prima vista, diciamo del mero con te n ut i s m o, di Fabbri e del mero formalismo di Jòppolo. Noi stessi, in una breve nota, osservammo a propos~to del secondo come fosse malsicura la posizione quasi retorica cli Jòppolo, quando voleva suggerire la tecnica stessa della creazione teatrale; e di Fabbri 1alvolta si potrebbe dire che il suo contenutismo è addirittura scandaloso. :\fa una pili meditata elaborazione dei loro concetti porta ad avvertire la comunione profonda dei loro interessi. L'antitesi, be• ninleso, resta: ma non come opposizione estetica, piuttosto - assai acuta - come dialettica di soluzioni storiche, incompatibilit:'i assoluta di interpretazione delle vie umane. E sarebbe anche efflIIlero parlare di eticità di un Fabbri o di estetismo d1 un lòppolo; poichè il problema è_ diveno, o meglio è più sottile. Gli elementi "li rileveremo da1J'ana1isi dei rispettivi punti di vista, fatica a cui il critico si dispone sempre con un iniziale fastidio, che è la no4 sralgia della sua interiore intuizione, ma che finisce col dargli una più comprensiva Bozzetto per • Frana allo scalo nord., di Ugo Betti - Realizzato nel Teatro della Università per il Gul Roma - Bozzetto di Ugo Blattler 3
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