Spettacolo : Via Consolare - anno III - n. 2-3 - mar.-apr. 1942

e a porgere così immediatamente la pericolosa debolezza della sua situazione. Jl suo "sciogliersi nella ritmica,, troppo evi• dentemente tende a rimuovere e rinnegare i nostri motivi vitali, ad eliminarne il seritimento. Finisce col cred;re esauriente la propria esercitazione, ed inutile una nuova libertà di astrazione : l' astrazione essendo appunto iuvece, se vitale, il sentimento per eccellenza di una ideale ambieutabilità; il luogo degli individuati sentimenti. Dice Appia ché sulla scena, musica architettura luce e colore vigono a contatto della vivente mobilità assunta dalla scena, mentre il testo e la pittura significano, danno cioè un contenuto, concedendo allo spettacolo una durata vivente. Anche questa ci sembra a parer nostro, una errata illazione. Il fatto teatrale si concretizza solo come fatto di puro equilibrio, solo come reale accordo fra gli elementi confusi e mescolati - ma sempre connessi - che sono all' interno del fatto stesso. Dalla diversità degli spettacoli potrà certamente originarsi un diverso ordine di quegli elementi; ma questa facoltà, questa pura condizione di possibile 'favore conferma ap• punto quanto categorizzare e gerarchizzare quegli elementi risul~i dommatico e deterioramente idealistico - nel condurci da uria soluzione personale di poetica alla solita risoluzione falsamente universale del1' estetica. Del resto come Appia, e forse meno giustificatamente di Appia, da cin• quanta anni a questa parte tutti gli uomini di teatro hanno voluto dare una particolare soluzione al rapporto esistente tra gli ele• menti dello spettacolo, e tutti, con l' imporre la propria poetica come est~tica, hanno creduto di compiere delle rivoluzioni artistiche (mentre in realtà non hanno fatto che rinunciare ad una propria felicità artistica, pur di giustificarsi teoricamente. Questo errore fu d'altronde la loro condizione di vita). Sprovvisti come erano di argomenti fi. losofìci, non si accorsero e non si accorse neppure Appia, dei limiti di una qualaiasi teoresi, dell'impossibilità, per una teoresi, di valutare una certa determinante situazione personale e temporale. Oltrepas8ata la caratteristica polemica simbolista • wagneriana sul valore raggiunto nel dramma dal1' espressione oltre ogni significato, e la sua conseguente rivendicazione della forma an• che in teatro - rivendicazione allora attuale e vivificatrice; le meditazioni di Appia toc• cano il loro intimo acme nell'identificare a prima ragione dello spettacolo la sua durata vivente, in quanto' ne può unicizzare i frammenti di tempo e ne può personalizzare i momenti, dando così una vita ininterrotta al succedersi delle battute e delle scene, e quindi all'organicizzarsi etesso della recitazione. lo Appia la vita del teatro vige con la durata bergsoniana nell'intuitività del tempo e del tempo musicale. Eppure, oltre al tempo ed allo spazio, altre cale• gorie, le noumeniche, si raffigur~no come esistenti ed efficamente scioglientesi nei desideri e nei sentimenti • cioè l' equivalenza vissuta dei desideri .. che la psiche svolge 6 Fondazione Ruffilli - Forlì in teatro. Solo alla sostanza, alle eidos cioè, può appuntò affidarsi il dramma ; fra le eidos spontaneamente liberate e condotte dalla esistenza alla non esistenza attraverso i propri atteggiamenti etici, sorge il dramma. Il dramma proposto in funzione dell'idea • intesa filosoficamente - ci spiega Appia : ma come può ·appunto questa· idea conciliarsi con una durata vivente? Il tempo di una idea non può essere ohe un tempo singo• lare, ricostruito e così separato da.Il' altro tempo di altre idee, da mancare ormai delle peculiari caratteristiche del tempo stesso come fu finora definito. Ci si scompone quindi in una continua alterità : che è poi ricomposta dal filo del desiderio, dell' inte• resse appassionato, e che appunto raggiunge susseguentemente ogni alterità ed ogni eidos. Lo svolgersi di questi sentimenti è un dramma, un momento storico; un dramma rappresentato sarà così l'occasione del vero dramma : lo scenico, come ambiente e funzionalità dello storico; lo scenico come preparazione, prepararsi ali' azione; e come conclusività. Il dramma • non come testo letterario - ma nella spiegazione filosofica che abbiamo inteso darne - come ritualità mediatrice e in certo senso lenonica ; ma, al tempo stesso, culminante: r acme di ogni situazione - che non è poi il suo svolgersi. Appia cercò di sviluppare un possibile senso di drammatizzazione. Ma • a queste possibilità mancavano le basi di un sicuro dirigersi nella propria azione civile e sociale; una netta coscienza etica. O forse, ne mancavano i tempi. O, meglio ancora, troppo naturalmente, quei tempi mancavano di quella coscienza etica che oggi ci è assolutamente necessaria. Nè di questo si può far colpa ad Appia ed ai tempi di Appia. li nostro è cresciuto con gli unanimisti, nella religione di Walt Wbitman. Da Wagner a Walt Wbitman: procedimento a prima vista brusco e contratto: ma in Appia, e in Dalcroze, dettato dalle ragioni del cuore, da ragioni di fede, e quindi piena• mente fecondo. "'L'arte vivente - dice Ap· pia - è un atteggiamento personale che deve aspirare a divenire comune a tutti ff• Questo fu anche il credo dell' Abbaye de Crétell ; con risultati però spesso dubbiosi, ed ora, nel 1941, riprovevoli. Jules Romains, Georges Duhamel, Jean Richard Bloch, furono appunto tra gli uomini rappresentativi della Francia 1940; e per questa qualità tra i maggiori e più detestati responsabili del disastro. Ma tra la giovane e la vecchia generazione c'era non solo l' incomprensione, ma, qualche volta l'odio. Ai giovani fu imposta la guerra, e i giovani si rifiutarono di obbedire, come voleva Giono. I giovani tenevano all'eticità del proprio costume civile. L'epoca di Appia e degli u• nanimisti - eh' è poi l'epoca di certe classi dirigenti dell'Europa di oggi • manc8va, o voleva mancare, di una preciea nozione del costume e cioè del dovere quotidiano, empirico, strettamente sociale, anzi, civile. Tutta una generazione artistica si è adagiata nel comodo supporre l'arte e la fantasia come forme totali di vita. Solo dopo aver compiuto i propri doveri civili -. che poi da civili si allargano in etici e come etici danno ali' eHistere un legittimo contenuto di esperienze definitive e finali - è permesso ali' uomo godere degli ozi artistici • anche nel loro finalismo. L' ingegno, il talento, iJ genio, come dir si voglia, non hanno e non possono aver nessun conto nel giudizio etico : sopratutto quando ai fini e per il bene dell'uomo urgano beo altri mezzi e ben altre opere. Nei nostri tempi - e non siamo purtroppo in grado di gi.udicare altri tempi, secoli d' oro e via di seguito - il sentimento artistico • di fronte alla spaventosa gravità della situazione - è per sè stesso sconsolatamente insufficiente, denuncia dinanzi ai nostri maggiori compiti umani una insoppriaiibile carenza d'impegno: sopratutto perchè finora individuale, e non personale e popolare. Quando sia popolare allora raggiunge una necessità di ritualità mediatrice : è un dramma, non è più arte, e tanto meno l'arte di Appia, che pure tenta una popolarità. · L'arte tende al limite infinito del dramma e dello storico, appunto nel tentare di acquietarsi una popolarità. Caratteristico degli unanimisti, e con loro di una certa trascorsa civiltà, era il lasciare ai propri priucipii etici un puro compito di deduzione che desse modo di applicarli con infinite possibilità di compromesso ; il non· mettere il proprio atteggiamento a diretto confronto con la penosa problematica dei fatti, con le verità effettuali del momento. Noi ci guardiamo bene, tuttavia, dal condannare un' epoca. Condanniamo soltanto i residui e i veleni di quell'epoca. Del resto Appia fu per molte cose preveggente. Ad Appia si deve il primo tentativo di tecnicizzare strettamente l'arte del teatro, a mezzo di una tecnica strettamente cosciente di esserlo e ben agganciata alla propria poetica. Non giunse Appia a comprendere come la singolarità di una tecnica, attraverso la singolarità di un'arte e di un atteggiamento, potesse risolvere i singoli momenti e loro movimento. Nè a questo, nè a molto altro che abbiamo esposto, nè a tanto, nè a tutto il nostro tempo : ma a tutto il nostro tempo sappiamo non mancherebbe l'assenso di Appia : perchè anche il nostro tempo, nonostante ogni apparenza, procede tenacemente verso il compimento del regno dei fini, verso una possibile felicità : nella stessa strada che fu percorsa da Appia: la strada dei giusti. (Non è lontano il giorno della luce e delle vergini sagge). .. . Il capitolo che facciamo seguire, fu tratto dalla prima opera di Appia "'La mise en ecène du drame Wagnérien ff pubblicata a Parigi nel 1896 : e ci dà una immagine singolarmente viva e precisa del• le prime indagini teoretiche, delle "'origini ff, per così dire, di un teatro cootem• poraneo. VITO PANDOLFI

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