Il Socialismo - Anno II - n. 15 - 25 settembre 1903

IL SOCIALISMO 229 Tutto ciò - beninteso - prescindendo dal!' ele– mento storico sociale del valore della forza lavoro, che nella teoria marxista gioca una parte così impor– tante e sempre più decisiva con lo sviluppo della pro– duzione e della resistenza organizzata della classe operaia. Secondo. Non si comprese neanche la portata delle leggi dinamiche del Ricardo. Nell'ipotesi ricardiana, essendo costanti la gran– dezza e 1' intensità della giornata di lavoro e supposto p11re ùrvarinbife ii va/01-e della moneta - la grandezza assoluta del profitto in termini di valore non può di– minuire senza aumentare quella del salario e viceversa. Nondimeno, con la crescente produttività del lavoro, lo stesso valore di scambio corrispondendo ad una quan– tità maggiore di prodotti, la grandezza assoluta dei prodotti corrispondente al salario può aumentare con– te1J1poranearnente alla grandezza assoluta dei prodotti di Spetta,~za del profitto. 1 Non solo, ma supponendo che lo sviluppo de.Ila produttività del lavoro si generalizzi su tutti i prodotti della società, e quindi anclie sulla merce moneta, ecco che, in base alla stessa ipotesi di Ricardo, il profitto cd il salario possono aumentare l'uno accanto ali' altro altresì in misura monetaria. 2 Ad esempio, se un ope– raio - a giornata estensiva ed intensiva costante - produce IO lire di merce moneta (oro), invece di 6; dato che prima il valore fosse diviso per metà tra l'operaio e il capitalista, e che ciò rimanga invariabile, ceco che il salario ed il profitto aumentano l'uno ac– canto all'altro da 3 a 5 lire (5 + s = ro). Si verifica così - in base alla teoria ricarcliana - apparentemente pure in termini di valore, essendo la moneta la realizzazione concreta, nel regime borghese, del valore di scambio secondo il lavoro, l'aumento simultaneo del salario e del profitto. Questo dimostra ancora con un'evidenza meridiana quanto la misura del valore col lavoro sia necessaria per colpire l'economia capitalista, perchè nel!' ipotesi che la produttività del lavoro si generalizzi ugual– mente su tutta la società, i valori in moneta non cam– biano, mentre è pur cambiato il tempo di lavoro oc– corrente per la produzione cli una deterininata quan– tità di merce. Un metro di tela, ad esempio, si scambia contro la stessa quantità di moneta di prima; ma sia l'uno che l'altra ora sono proòotti da una minore quantità cli lavoro. • nella gr11111ie:ua,utt11siva 11 intensiva, del bvoro modifica, al contrnrio, il • ,·:.lore dell;, foua lavoro, allorchl: se 11,· acce\er:1 l'usum,,. Cafit11/, I, pag. :n6, colonna 2. ' C11fil11l, I, pag. 225-:1:26. 2 Ct1pif11l, I, pag. 73.226. Luigi Negro. · Polemica sulla circoscrizione dei collegi politici in Italia.' L'on. Mirabelli, l'ultimo che si occupò, per quanto brevemente, dei due sistemi elettorali che l'egregio Nicolini trova preferibili alla proposta da me fatta, cioè i sistemi di D' Hondt e di Genala, è benevolo all'uno ed all'altro, ma contro l'uno e contro l'altro anch'egli trova la necessità cli gravi appunti. lo non ripeterò cose sapute; solo osserverò che il Niccolini augura -che si adotti il sistema d' Hondt a liste concorrenti, mentre è ap– punto la libera concorrenza di lista che il Mirabelli cita come il principale difetto di sistema; oppure augura si 1 Vedi: G1r-:o TR1,;sr101.1, Prr mm circ11scrir.:J11ne dt'i colle~i politici, fase. 10 e 25 giugno, e l'RRIWCCIU N1cco1.1x1, Sulla riforma ddlt: circo· scririicmi rll'florali, fase. 25 luglio di S11cia/is1110. adotti la proposta Genala, come quella che assicuri meglio la rappresentanza della minoranza, mentre è appunto principale difetto del sbtema Genala quello di prefinire la rapp1·esentanza di una minorità, il cui valore è ignoto. I due pregi sono dunque, ripeto, i due maggiori di– fetti, ed ecco perchè insistendo nella mia proposta, credo doveroso rispondere alle varie obbiezioni mossemi da Ferruccio Niccolini. Egli dice che col sistema da me presentato non sa– rebbe garantita la proporzionalità, e dimentica che tale garanzia è falsata dal voto limitato puro e semplice, come dimostrarono Globet d' Alviella e De Jear, sì che la prova fattane diede tali risultati da costringere il le– gislatore ad abolire ovunque - tranne in Ispagna e nel Portogallo - il voto limitato, che non effigia (come non la effigiano il voto cumulativo, il voto unico, la concorrenza delle liste, la lista libera, ecc.) la proporzionalità. Dice il Niccolini che se un par– tito disponesse in un dipartimento due terzi dei voti potrebbe ottenere tutti e quattro i deputati; ma non lo dimostra. Facciamo un esempio: nel dipartimento A domina il partito B che dispone di ro mila voti, seguono i partiti C con 4 mila voti e D con 3 mila; gli elettori scrivono sulla scheda due nomi e necessa• riamente vincono i due candidati del partito B; chi sarà il candidato che avrà avuto immediatamente dopo i due primi il maggior numero di,voti? Quello del par– tito C, a meno che il partito B non abbia fatto il pericoloso gioco di distribuire schede con l'uno e con l'altro nome dei suoi candidati sostituito a un terzo nome: in tal caso nulla di più facile che il candidato C trionfi di uno dei tre candidati di B, e allora siamo ancora nel caso di dover proclamare vittoriosi due candidati di B e un candidato di C. Piuttosto la lotta del partito B si farà accanita per conquistare la minoranza e vincere il partito D, impotente quando il partito B possa senza pericolo fare il predetto gioco. E ammesso che questo gli riesca, si avranno 3 eletti di B e uno di C, e cioè 14 mila elettori avranno i loro rappresentanti, mentre 3 mila no. Ma, avanti tutto, credo sarà molto meglio un tale stato di cose che non come oggidì avviene, che IO mila elettori abbiano il dominio e 7 mila siano senza rap– presentanti; secondo, ben di rado potrà essere possibile il giochetto senza che il partito B metta a repentaglio !a vittoria, altrimenti certa, di uno dei suoi candidati, a meno che il partito D non sia così esiguo da non avere possibilità neanche lontana di vittoria; e in tal caso è necessario che esso soccomba, non essendo deside– rabile affatto la vittoria di esigue minoranze, le quali d'altra parte possono essere rappresentate da candidati dello stesso partito D, in altri dipartimenti forte, e per– ciò vincente. li mio egregio avversario trova oscuro che io af– fermi dover essere ogni deputato rappresentante bensi dell'intero dipartimento, ma in modo speciale di uno dei tre collegi collegati. Non penso sia in modo asso– luto necessario che i vari rappresentanti non si dicano deputati piuttosto dell'uno che di altro collegio; esem– pio: i candidati B, C e D, sebbene cli partito diverso, riescono eletti, ma ciascuno d'essi, per un concorso di cause svariatissime, può essere ed è preferito dal corpo elettorale d'un collegio, piuttosto che di un altro; non mi pare quindi contrario alla logica - dopo aver so– stenuti i pregi del collegio uninominale - dire che B, il quale ottenne la vittoria in grazia specialmente della maggioranza avuta in un dato collegio, si elica, e sia tassativamente stabilito dalla legge, rappresentante di quel collegio pur essendo rappresentante dell' intero dipartimento; così dicasi degli altri eletti. Può verifi– carsi il caso - molto difficile del resto - che Ce D abbiano ugual numero massimo di voti in uno stesso collegio? E in tal caso il numero minore di voti rac-

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