Il Socialismo - Anno II - n. 10 - 10 luglio 1903

lL SOCIALISMO primitiva e caratteristica essenza, sibbene in quella che risultò dall'assorbiment0 dei fatt0ri nuovi della vita sociale. QuestO processo di assorbimentO, attivo per parte delle ,·ecchie energie, passivo per parte delle nuove, ha posto la società su una base enormemente in• \'.onsisrcnte,costituita da tante contraddizioni quanti sono gli istituti della vita sociale. I fattori nuo,·i della quale hanno in sè tanto immane potere, che le loro prime esplicazioni sono bastate a rompere l'equi– librio antico degli interessi e delle psicologie, ma non si sono ancora esplicati abbastanza da resti– tuire alla socitt:'1 un equilibrio stabile. Traendo ad esempio l'istitutO della propriet:I, noi troviamo che ,·' era, prima, un equilibrio tra il di– ritto assoluto di usare ed abusare, come di non usare, della proprietà, da parte del padrone, e l'assenza di ogni diritto e di ogni guarentigia, da parte del lavo– rat0re. E l'equilibrio sociale era ancora garantito dalla diffusione e dalla saldezza della piccola pro– prietà, della piccola industria e dell'artigianatO. La morale religiosa sanziona~• questo modo di essere della proprietà e del lavoro: le scienze sociali, nella lor culla secolare - chè soltanto il positivismo in– fuse loro, poi, un rapido e ampio sviluppo - bal– bettavano pur esse la loro sanzione. Siffatto equilibrio, cosi nei rapporti economici, come nei rapporti morali, fu rotto dai fattori nuovi della vita sociale. Il larnro, associato alla scienza, non pote,·a pii, es– sere priYo di dignità civile e di diritti e di guaren– tigie: la proprietà diYentaYa una funzione sociale, e il proprietario Yedeva limitata, marginata, ordinata dalla legge e dall'imperio dello Stato, ogni manife– stazione del suo diritto. Incominci6 a risultare come fossero ~angiati, cosi, entrambi i termini del rapporto « lavoro-propriet:ì ». La piccola propriet:1, la piccola industria, l'artigianatO, erano minati alla base, e l'antico equilibrio degli in– teressi e delle psicologie non era pii, possibile: tale fu l'effetto primo e immediato dei fattori nuovi della civiltà. Ma l'istituto della proprietà privata aveva ed ha ancora tanta radice nella struttura economica della società, e nell'opinione tradizionale della gente, che la sua forza d'inerzia supera ancora e vince b forza di espansione di questi fatt0ri. La macchina che è il prodotto dell'associazione tra scienza e lavoro, ed è quindi il pii, spiccatO esponente di questi fattori, fu assimilata dallo istituto della ·proprietà privata, di,·enne suo strumento, e subisce tuttora passi\'a– mente questo processo di assorbimento: è la pro– prietà pri,·,na che tiene ancora il campo, ma non pii, nella sua essenza primitiva, e neanche pii, nella sua forma caratteristica: il proprietario non rappre– senta più nessuna funzione a lui specifica nella pro– duzione della ricchezza: i direttori tecnici lo hanno sostituito, ed egli o fa. gli affari, o non fa niente, perchè la funzione degli affari non richiede la qua– lità di proprietario: tantO che il capitale diventa ano– ' nimo, e la figura del C"f)italista, come esercitante personalmente la funzione della proprietà, sparisce. Cosi, mentre, per effetto della macchi,1a, il lavoro è diventato collettivo, nelle grandi officine sosti– tuite alla botteguccia dell'artigiano, lavoratore in– dividuale - nelle grandi aziende della agricoltura industrializzata sostituite al campicello del piccolo proprietario, lavorat0re individuale - nelle grandi linee di comunicazione ferroviarie, tramviarie e ma– rittime, sostituite alla diligenza, al barroccio, al pic– colo veliero - mentre il lavoro di ogni uomo 11011 è pii, condizionatO dalla individuale ,:o!ontà di lui, ma dalla volontà collettiva che muove il grande in– granaggio sociale di cui ogni individuo è come un dente - mentre il lavoro è cosi diventato collettivo, la proprietà medesima ha perduto la ragione, il ca– rattere, la necessità della forma individuale. Ma in tale forma vige tuttora. L' istitutO della proprietà individuale, assorbendo i fattori nuovi della civiltà, perchè preesistente ad essi, e sinora pi(, forte, ha subito alla sua volta il loro influsso, ed è uscito in una duplice contraddi– zione: contraddizione col lavoro, diventato collet– tivo; contraddizione con sè stesso, perchè costretto, prima, a diventare una funzione sociale, e poi a so– pravvivere al dileguarsi della propria necessità storica, della propria ragion d'essere. Ecco il disquilibrio che sta al fondo della società contemporanea, e che si trova in ogni campo e in ogni momento della sua vita, e deµa vita di ogni individuo. Ogni. altro istituto della vita sociale - lo Stato, la famiglia, gli istituti del diritto e pubblico e pri– vato, la scuola - tutto - poggia su un equilibrio instabile, per la mancanza di un principio unitario, di un nucleo organico attorno a cui gli spiriti e le forme della vita individuale e collettiva possano disporsi. Questa condizione della vita sociale non è aA:itto permanente. Essa - lo abbiamo veduto - è la risultante, con– tingente al tempo nostro, del rapporto tra i fattori nuovi della vita sociale e gli istituti lor preesistenti. I due termini di questO rapporto si modificano continuamente. L'u1~0 cresce ininterrottamente di f(?rza di espansione, e l'altro diminuisce di forza di resistenza: e diminuisce di tanto, di quanto l'altro si accresce. Quindi, il rapporto tra essi è necessariamente un rapporto transitorio - per quanto luogo possa essere il periodo della sua <Ìurata - e meglio si potrebbe dire che la societàpresente è il p1111to di i11cidenz.a frn due forze co11tmried opposteche procedonoin ragione inversamenteproporz.io11ale. I fattori nuovi della vita sociale, nel loro coti– diano ingigantire, tendono a prendere il sopravvent0 sugli istituti preesistenti. Tendono, cioè, a passare

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