Il Socialismo - Anno I - n. 5 - 25 aprile 1902

IL SOCIALISMO e Arpagone finisce per amare l'oro per sè stesso. tosi il campione del militarismo perde la nozione della forza ar– mata e del senso di quel simbolo che è una truppa organizzata, e finisce per amare e ammirare l'esercito per sè stesso. Bisogna non perdere cli vista il vero significato delle cose. li militarismo è l'ultimo termine di una serie lo– gica di deduzioni, di cui la prima - il punto di par– tenza - è l'approvazione, l'ammirazione dell'ordine economico, sociale, politico esistente. E la lotta contro il militarismo è senza senso se non è una lotta contro il principio stesso che è la base di questo ordine. Si vuole l'Autorità? Allora ecco la forza, ecco la baionetta, e finalmente il militarismo. Un'Autorità senza sanzione concreta non potrebbe sostenersi. li regime capitalista senza militarismo marcia dritto e rapida– mente verso lo sfacelo. Perchè una società civile possa esistere senza mili– tarismo, è necessario che si basi su altra cosa che non sia l'autorità. Ora afi'infuori deLL'auton:tà, non vi è elle un altro principio, un altro solo, capace di creare e di conservare degli organismi collettivi umani: ed è fa solidarie/ti. 11 militarismo non è che un paravento, e noi sco– priamo che dietro di esso si agitano quelle forze ele– mentari, la lotta tra le quali determina l'evoluzione della storia, e che si possono chiamare autorità e solidarietà - o egoismo e altruismo - o, più semplicemente, violenza e amore. Max Nordau. Note sparse sulla guerra. Tizio non parla che di guerre e di battaglie, di corpi d'armata, di invasioni, di bandiere e di baionette. Egli vuole sette anni di servizio, perchè tutta la popolazione valida sia sotto le armi. Ogni risparmio non deve ser– vire che a fabbricare della polvere, a preparare dei nuovi fucili, ad allestire dei nuovi reggimenti. Occorre che il paese spenda tutto il suo oro per la grande guerra ch'egli invoca con tutti i suoi voti. Certamente Tizio non andrà a battersi: egli è troppo prudente per esporre la sua pelle, che è sacra, come quella di tutti i pa– triotti. Ma egli si galvanizza al!' idea che la sera ciel combattimento ci saranno centomila suoi concittadini caduti nella polvere, livido il volto, centomila madri che piangeranno un figlio, centomila famiglie immerse nel lutto. Ben piccola cosa, questa, se egli avrà la gloria di una bella battaglia! In verità c'è una proba– bilità su due che questa bella battaglia sia una irrime– diabile disfatta, sia la fine della Francia, di questa sventurata Francia che lo straniero smembrerebbe, met– terebbe a fuoco e a sangue, ruinerebbe da capo a fondo. Poco importa! Tizio è un patriotta. È l'uomo che sa amare la sua patria. Caio dice che il contadino deve vivere, libero e felice) nella sua terra. Egli vuole I' integrità della Francia, e il pensiero di una nuova invasione e cli un nuovo smembramento lo fa fremere. Egli è abba– stanza semplice per aver pietà della madre che avrebbe l'adorato figlio squarciato nel ventre da una palla, o fracassato il cranio da un obice. Egli s' intrattiene a pensare a tutti i poveri giovani che sarebbero con– dotti davanti al cannone. Sono i suoi compatriotti) i suoi concittadini, i suoi amici, i suoi fratelli, e una grande pietà lo assale quando pensa agli inutili dolori che una guerra infliggerebbe a tutte le famiglie fran– cesi. Poco importa! Caio è un nemico del paese, un cattivo cittadino. Egli è un senza-patria! Sempronio è piccolo e gracile. Le sue mani cli gior– nalista sono troppo deboli per maneggiare la sciabola, ed egli non ha mai portato il più piccolo sacco sulle sue spalle strette. Ma egli ha sempre invidiato i bei B b o ec 1 Giro B1anc campagnoli robusti, vestiti da soldati, che vanno a zonzo per le strade, dondolando i loro grandi corpi, e portando a spasso per la città la loro forza fisica im– produttiva. E' così che Sempronio comprende la patria: un artigliere co' suoi stivali incerati, un corazziere con la sua corazza luccicante, un dragone con l'elmo dal crine fluttuante, gli inspirano un'ammirazione quasi religiosa. Egli non sa che questi bravi giovinotti, im– barazzati dentro al loro costume, sospirano la libera– zione e contano i giorni che ne li separano. Ma i loro sentimenti non toccano Sempronio: il quale, nel suo bellicoso entusiasmo, vuol gettare questi poveri diavoli nelle più grandi avventure. Egli ha un giornale, dove tutte le mattine distribuisce grandi colpi di sciabola. Egli lancia invettive contro l'Inghilterra, insulti contro la Germania, parole dì disprezzo contro l'Italia: gente, ben inteso, che non affronterà mai la guerra - sono delle canaglie o degli imbecilli, a loro scelta. La faccia grottesca della guerra non è conosciuta. Non si vede che la faccia orribile. Si incontrano a volte per le strade, nei giorni del Carnevale, dei ragazzi di cinque anni con degli elmi di carta dorata e delle corazze di cartone: il loro petto è costellato di decorazioni gigantesche. Se questi mar– mocchi, invece di succiare pacificamente il loro bravo zucchero d'orzo, si prendessero a graffi, a morsi e a calci fra di loro, si andrebbe subito a levar loro lo zucchero d'orzo, e a somministrare qualche sculacciata. Non si potrebbe fare altrettanto ai giornalisti di bassa estrazione che vorrebbero trasformare le nature umane in caricature così insopportabili? . * * La sola ragione che si possa far valere a favore della guerra è ch'essa sia un male necessario. L'argo– mento è generale, e si applica anche alla tubercolosi, al colera, all'alcoolismo e alla prostituzione. Ecco come lo storico del XXI secolo parlerà della civiltà di questi nostri giorni: « Sebbene avessero la pretesa cli avere del tutto abbandonato lo stato selvaggio, gli uomini del xx se– colo avevano conservato il marchio distintivo della bar– barie, poichè era ancora la violenza quella che giudi– cava dei conflitti internazionali. Essi prelevavano sui più poveri delle imposte formidabili per pagare degli uomini vigorosi, perchè questi non facessero niente, e fossero anzi dal lavoro distolti. Tutti i giovani dell'Eu– ropa, vestiti di uniformi diverse erano, per un periodo di tre anni rinchiusi a grandi masse in pestilenziali caserme, lontani dal laboratorio, dall'officina e dall'a– ratro. In questi tre anni si ii1segnava loro ad uccidere e ad essere uccisi. Fortunatamente il grande sforzo era il più delle volte sterile. Ma qualche volta essi arriva– vano a delle grandi battaglie, e in poche ore ricchezze favolose e frutti di un lungo lavoro erano gettati al vento: vite umane erano sacrificate a migliaia. Dopo la battaglia la miseria e il lutto innondavano vastissime plaghe. I vinti erano asserviti a dei padroni che essi detestavano, e i vincitori, decimati e affamati, non erano meno infelici dei vinti. Quel che vi ha di più strano si è che questo stato sociale infame, e più stupido an– cora che infame, non trovava che degli ammiratori. Quasi nessuno osava indignarsene. Ma voi non dovete meravigliarvi di questa universale aberrazione dei nostri padri. I progressi sono lenti a venire. Due secoli avanti, la tortura e la schiavitù erano riguardate come neces– sarie. I pregiudizi governano il mondo; ed anche ora

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