Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XIV - n. 3 - 15 febbraio 1908

RIVISTA POPOLARE 67 noto il disagio che li opprime, assegnandone, crudalmente, la responsabilità a chi spetta. - E non è a meravigliarsi - è umano - se in questa lotta tra l'indifferenza o ... l'insipienza, da un canto, e il bisogno prepotente di uscire da una situazione umiliante, dall'altro, qualcuno, sedotto oltre misura ~ialla giustezza dei fini, ovvero provocato da atti rnconsulti dell'autorità, v ,rchi i limiti imposti dai p_recetti d~sc_ìplinar~ e lanci - per meglio impressionare - 11frutto d1 una momentanea esaltazione del proprio spirito, come pensiero di una collettività. - Di guisachè, non si è punto autorizzati a condannare all'ignominia e a deferire al magistrato il Ran~i, come non si può condannare al vituperio e al. disonore una eletta schiera di ufficiali, senza aver prima dimostrate insussistenti le cause della loro agitazione. Ed il diritto ad accusare e condannare manca assolutamente e si rischia cti cadere in contraddizione, allorquando si riconosce l'esistenza dei mali e si nega, a chi n'è vittima, il mezzo adeguato per denunziarli alle autorità C'..:isµetta di curarli. Nel caso in esame, un solo diritto ed un solo vero dovere, rimangono allo stlldioso obbiettivo e al critico sincero: chiedere energicamente al governo e al Parlamento che coadiuvati dai militari illuminati, compiano l'opera di giustizia e di provvidenza loro commessa. Quel diritto e quel dovere t:10n manca di esercita~e e compiere il Di Giorgio, tacendo opera vantagg10sa per l' e.sercito e per la causa degli ufficiali e dei sottufficiali. ALTARIVA Perlanostpraoliticcoaloniale I fatti dolorosi di Lugh, le promesse di Menelik, i nnovi fondi che chiede il Ministro Tittoni, alcune discussioni del partito socialista - sopratutto queste -- m'inducano a ritornare più che sulla politica coloniale in genere , sulla politica coloniale ital iana. Non lo faccio con piacere, perchè, sebbene repelita juvant, il ripetersi annoia chi parla e chi ascolta; ed io ~ulla politica coloniale, o meglio contro la medesima, dal 1885 in poi ho scritto e parlato tanto che ho ben poca voglia di ritornare sull'argomento. Ciò che avviene o è avvenuto nelle colonie italiane e in quelle degli altri Stati mi conferma sempre più e meglio nell'avversione profonda che ho per la politica coloniale a base di conquista e di violenza. Non ho da modifìcare una sillaba a ciò che ho scritto nel libro : Politica coloniale, nel Secolo, nell'Isola, da oltre dodici anni in questa Rivista e in questi ultimi giorni nella Ragione di Roma. Rimango convinto avversario di una siffatta politica coloniale per ragioni politiche, economii:he e umanitarie; la teoria e la pratica m'inducano senza il menomo dubbio a respingerla ed a respingere tutti i sofismi coi quali la si vorrebbe sostenere (1). Chi parla di civiltà da apportare ai popoli barbari mentisce o s'illude. Si civilizzano forse gli uomini spogliandoli , massacrandoli , sfruttandoli iniquamente, non potendoli più ridurre alla schiavitù per mancanza di convenienza dopo che sono stati chiusi i mercati degli schiavi? (1) Nella Rivista delle riviste di questo numero i lettori troveranno espoi.ti gli speciosi argomenti coi quali nella Revue politique et parlementaire è stata difesa la politica coloniale. Ho risposto nella Ragione. E non si tratta di scelleratez:ze antiche: basta leggere la discussione ultima sul Congo, avvenuta nella Camera dei Deputati del Belgio, che l'amico Ghisleri ha riprodotto nella Ragione , per convincersene. Ma io se alla politica coloniale degli altri mi oppongo in nome della civiltà e della umanità, a quella italiana sono avverso per ragioni di convenienza economica. Datemi un Impero indiano da sfruttare coi suoi 300 milioni di abitanti e coi 700 milioni dilire all'anno da strappare a quei disgraziati, che a milioni muoiono per fame, ed arrivo a comprendere la politica coloniale ed il brigantaggio collettivo dell'Inghilterra. Che si tratti di briga1-1taggio gli amici lettori ricorderanno che qui stesso fu dimostrato con un articolo di Hyndmann ; e l'Hobson ha· rincarato la dose con ampia e serena discussione in qùel suo magnifìco libro : Imperialism. E come nn brigantaggio, in sostanza, considerò il dominio inglese nell'India un eroe auten • tico inglese: Gordon. Ma per noi lo sfruttamento è al rovescio: è l'Eritrea, è la Somalia che sfrutta l'Italia. L'Italia povera; l'Italia che ha un sistema tributario iniquo, piL1gravoso di quello di tutti gli altri popoli civili di Europa; l'Italia che deve lesinare le centinaia di migliaia di lire per combattere la pellagra; l' Italia che vede emigrare a centinaia di migliaia in ogni anno i propri fìgli perchè non possono proficuamente coltivare le terre, che avrebbero bisogno di drenaggi , di rimboschimento, di strade -- questa Italia , che è la più povera tra le nazioni di Europa ha speso inutilmente circa 600 milioni nell'Eritrea; ne spende ogni anno una decina e tcstè l'on. Tittoni è venuto a chiedere altri crediti. Con qual prò? Quale corrente di emigrazione si è volta verso l'Eritrea? Quali capitali vi hanno trovato utile impiego? Ah I la vieta rettorica parla di una grande Italia da far sorgere volgendo la nostra emigrazione verso le colonie. Ma la illusione balorda o disonesta si dilegua di fronte alla triste realtà. Con quale coscienza si possono ancora ingannare le nostre popolazioni facendo loro vedere il miraggio di terre che aspettano le braccia dei nostri lavoratori per essere fecondate? Non è istruttivo e senza replica il fatto che qui s~esso ricordai? Lo ripeto: un mio elettore, di Villarosa, vendette tutto per andarsene nell' Eritrea. L'incauto non potè andar oltre Messina, perchè là gli negarono l'imbarco. Intervenni io; scrissi, pregai il ministro degli Esteri perchè gli concedessero di raggiungere laggiù alcuni suoi congiunti. Invano l Si rispose che 110n c'era posto nell'Eritrea per gli emigrati. Nemmeno pe1· un solo..... Nessuno osa dire che potremo colonizzare il Benadir, la Somalia: suolo e clima respingono gli Europei, checchè ne dica il signor XXX nella Nuova Antologia (1° Febbraio). . In Tripolitania ci sono zone nelle quali 1 nostri prospererebbero; è vero. Ma per importarvi l'emigrazione di un solo anno, occorrerebbero almeno almeno venti anni. Per mettere in valore quelle terre occorrono capitali per dieci volte magglori di quelli necessari per intensiiìcare l'agricoltura in casa nostra. E i capitali? Nè si rimpianga la Tunisia sfuggi taci per opera del brigan t~ggio della Francia. La Tunisia nelle nostre mam sarebbe stata una Calabria, una Basilicata; la Tunisia per mezzo dei copiosi capitali francesi si trasforma: c'erano 15 mila italiani nel 1881 alla vigilia della invenzione dei Crumiri; ce ne sono 100,000 adesso. Nè si di~a che il capitale francese così copioso ]

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