66 RIVISTA POPOLARE riferiscono al personale e a tutto il complesso organismo mili tare. Il Di Giorgio avrebbe ragione di essere· tanto severo contro il Ranzi , solo nel caso che questi avesse parlato di una quistione militare non esistente e da lui artifìciosamente creata per servire ai suoi fini personali. Ma è ormai noto a tutti che la quistione, anzi le quistioni militari, purtroppo, esistono e sono gravissime. I più autorevoli nomi della milizia lo hanno testè affermato in pubbliche dichiarazioni e in interviste ; e lo hanno altresì confermato illuminati e competenti uomini politici, in .Parlamento e fuori. Il Ranzi avrà forse il torto di averlo gridato con brutale franchezza , con tono di voce forse troppo aspra o violenta. Ma il Di Giorgio comprende benissimo che se, i dirigenti militari , in tanti anni di discussione ( r), non· sono riusciti a nulla, o a ben poca cosa; sia la ben venuta e bene augurata, quella « rimozione i>del Ranzi, la quale ha potuto suscitare tale impeto di passioni, tanto ardore di analisi, da imporre il problema militare alla· considerazione e all'interessamento sincero e vigoroso della Nazione. In ciò sta, secondo noi , l' essenza del cosidetto Caso Ranzi e non nei venti o trenta passi e pet'iodi che il Di Giorgio stralcia dal « Pensiero militare » a giustificazione delle sue accuse contro iJ Ranzi. ♦ Ma come abbiamo visto innanzi, non del solo Ranzi, il Di Giorgio si occupa. Egli denunzia e condanna al disprezzo anche quel gruppo o quella massa di affìciali che segue il Ranzi. Il Di Giorgio è tanto stimato nell'esercito da essere ritenuto persona di meriti eccezionali. Noi conosciamo assai bene il Capitano Verri , promosso per « meriti eccezionali », da Tenente a Capitano, e se i meriti del Di Giorgio sono - come noi riteniamo - pari o superiori a quelli del Verri, abbiamo ragione di credere che l'esercito nostro deve essere orgoglioso di averlo nel suo seno e tra i privilegiati. Egli, nel 1904 acclamò al programma del Pensiero militare e spontaneamente pensò di .:ooperare alla sua esistenza. Solo quando vide comparire, su quel giornale, un articolo intitolato Pane e carriera, eh' egli stimò indecoroso per gli ufficiali, il Di Giorgio si ritrasse dalla collaborazione. Ma può in cuor suo il Di Giorgio escludere che gli altri ufficiali che per la stessa ragione , non si ritrassero dalla cooperazione al « P~nsiero militare i> fossero ottimi ufficiali capaci di pensare , alto e nobile al par di lui ? No, certo! Ed erano tali infatti, e tali sono ancora, moltissimi degli ufficiali che collaboravano al giornale dì Ranzi ; era ed è tale la quasi totalità degli ufficiali che frequentavano e frequentano le sale della redazione, e che segue ancora simpaticamente il Ranzi. E quale ragione di ritirarsi dal cooperare alla vita del «Pensiero militare>>,potevano avere coloro che, salve le parole pane e can·iera, chiedevano un pò di giustizia distributiva a un più equo ed umano trattamento? Erano ufficiali e tali ancor sono, che godevano la migliore stima dei colleghi e dei superiori, ufficiali valenti che , per ragioni di età , o per poco edificanti esempi di bocciature toccate a colleghi ritenuti meritevoli, od anche per prevenzioni esagerate, non tentarono la via della Scuola (1) Opere del Marselli-Rivista di Fanteria, Rivista militare, Opera del Ranzi della prima maniera , Opere e discorsi del Marazzi, Relazioni di Deputati etc. di Guerra, ufficiali pieni di buona e soda cultura, virtuosissimi, che facevano e fanno bella prova sia al contatto della truppa sia nella trattazione di~discipline sociali ovvero di argo men ti che interessano il diritto mi:itare ed il governo degli uomini, e che solo desideravano e desiderano di vedere svecchiati i quadri per non chiudere la loro carriera (dopo 30 anni di servizio laborioso ed on,~sto) ...:olgrado di Capitano. ♦ Nè ci sembra fosse ragione sufficiente di abbandonare la campagna del « Pensiero militare i>, il fatto che qualche esaltato, ovvero qualche incauto entusiasta, sia pure lo stesso Direttore, urtò contro la lettera di un paragrafo di regolamento di disciplina ovvero di un articolo del codice penale militare. L'essenza della campagna era talmente grave ed importante, in ordine ai fini di giustizia e di bene cui mirava, che essa sola - anche senza l'intervento di altri fattori - bastava a mantenere quegli ufficiali saldi attorno al cc Pensiero i>e al suo direttore. Essi hanno accompagnato fin qui il Ranzi non già per gettado conie un limone spremuto alla prima occasione, ma per vedere compiuta l'opera di rinnovamento militare richiesta dai tempi, e quella doverosa e riparatrice, a pro dell' ufticialità inferiore. Quegli ufficiali non sono i predestinati alla rimozione dal grado, non sono affatto la presunta feccia dell'ufficialità, no, s,Jno uomini che hanno la torza morale del Barone e dell' Ambrosini. E se non ne imitarono la condotta mirabile cd esemplare, si fu perchè essi non avevano ..... uguale probabilità o certezza di procurarsi i mezz.i di sussistenza nel caso, non improbabile, fosse loro toccata la perdita del grado e dell'impiego. Chi sa? Forse fra i sostenitori del « Pensiero militare» esiste qualche elemento indegno di rivestire le insegne stesse del soldato ! Ma il Di Giorgio può rassicurarsi che la sua accusa contro i « modernisti i>,è infondata; e a convincersene basterebbe la conoscenza personale di essi. Aggiungiamo anzi che lo scrivente avrebbe continuato ad assistere di buon grado l'opera loro - quella essenzia·mente benefica all'esercito - se il Ranzi si fosse mantenuto estraneo alle µericolose competizioni politiche. + Certo è deplorevole che la disciplina militare, sia pure quella fonnale, sia stata lesa da qualche utEcialc, ovvero da un gruppo di ufficiali. E noi siamo pienamente cl' accordo col Di Giorgio , nel giudicare di somma, improrogabile urgenza il ripristino integro e completo di essa. Ma da questo a rovesciare, su quegli ufficiali, contumelie e fra~i disonorevoli, ci corre ! - Domandiamo : il torto prevalente da quale parte sta ? - . Giustizia da rendere ed equità da far trionfare ce n' è. E' noto, e lo stesso Di Giorgio lo afferma. La disciplina militare e supreme ragioni di Stato vietano agli ufficiali di associarsi per far valere le loro ragioni. Chi deve provvedere, a che la giustizia e le giuste ragioni dei danneggiati trionfino, è bene appunto lo Stato, il quale deve agire di sua iniziativa e con preJJidente larghezza. Ma se lo Stato tarda, se una grossa falange di ufficiali e sottufficiali attende invano, più anni ovvero ottiene stentatamente benefìzi irrisori ; quale altro mezzo rimane agli interessati per far valere le proprie ragioni? La risposta non può esse-re dubbia: essi sono costretti a rivolgersi, alla pubblica opinione per fare
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