RIVISTA POPOLARE 159 chezza che abbaglia e ci riporta ai paesi di Oriente. Il Lombroso riferisce stranissimi riti propri di popoli primitivi, come il ratto della donna nelle nozze, la distribuzione del latte da parte de' padroni di greggi nel di dell'Assunzione, l'offerta che le fanciulle fanno di pane bianco e di grano bollito ai poveri nel giorno dei Morti , ecc., costumanze che oggi sono quasi del tutto scomparse. Esuberante e fresca, come nelle colonie greche dell'Aspromonte, vi fiorisce tuttora l'arte del poetare e l' amore pel canto. Ma seguitiamo il cammino. La strada traversa un bosco rado di querci che negli spiazzi è semiuato a grano. Ecco Saracena, celebre per i suoi vini, ìassù in alto piantata sotto un picco roccioso. In generale la coltivazione della campagna è mista e irregolare; ulivi. fichi , seminati ; in mezzo ai campi non si vede una casa. Raccolti a mangiare pasta e fagioli sotto un grande ulivo magro, scorgiamo una donna e due uomini col cappello a cono, il classico cervimi che s' incontra ancora frequente nel circondario di Castrovillari, specie fra i vecchi. C'intratteniamo a parlare con questi contadini scesi da Saracena per lavorare i campi tenuti a fitto. Sulla stoppia seminano il grano con una semplice zappa fatta a mò di piccone, dal manico corto che vuole curve le terga e fa un lavoro profondo non più ditre dita. Al padrone pagano un tomolo di grano per ogni tomolata di terra: si noti che la massima produzione del frumento non dà mai in questa località cinque volte la sementa. Sulle piante lagnose, sull' ulivo per esempio, come del resto in quasi tutta la Calabria, il fittavolo, o il cosi detto mezzadro, non ha diritto alcuno : il padrone si riserva di· concedergli 1/4 delle olive per compensarlo della raccolta e del trasporto fino al t1·appeto. I contrà tti magri, la scarsa produttività delle terre coltivate con l' aratro chiodo, e con la zappa, l' usura, mantengono il contadino in un deprimente disagio economico oggi acuito dai flagelli del terremoto e delle alluvioni. Cosi l'emigrazione ha fatto i suoi vuoti anche su queste colline che si presterebbero facilmente alla cultura intensi va e specificata, sì da permettere anche il patto di vera 111ezzadria toscana. Anche qui, come per tutta la Calabria ormai, si lamenta la scarsezza della mano d'opera, che, se ha rialzato i salari agricoli sino a lire 1,50, ha d'altra parte costretto i proprietari, in ispecie i piccoli, poveri e smunti dalle tasse, ad abbandonare del tutto le terre, dando così nuovo impulso alla fuga. A mezza costa dell'Appennino, ecco si vedono - le case di Lungro e verso oriente quelle di Firmo aggruppate sur una collina all'alte;~za di 370 metri, circondate da querci. Ma noi prendiamo la via che dirama. a destrn verso le saline di Lungro, e sulla catena Appenninica vediamo Acquaformosa, Altomonte che domina tutto il vallo di Cosenza. Traversiamo una regione irta di colline grigio azzurre, senza un albero, desolate: siamo nella zona della miniera salifera di Lungro, e sotto a noi, nelle viscere della terra , si dirama.no le gallerie della Salina. L' amministrazione demaniale ci manda due guide albanesi , di cui ricordo sempre le faccia pallide , gli zigomi pronunciati , gli occhi piccoli come di suini. Alla luce fumigante di due lampade da minatori, si comincia a scendere per una scala scavata nel minerale grigio-piombo ... si 8cende , si scende se J1pre, ... come in un incubo di soguo. Ecco la prima galleria, ampia, dalla volta rivestita di quercia, gli strati di sale ondulati come agata , e il luccicare dei cristalli di salgemma. Un gruppo di vecchietti seduti a circolo, col loro cervuni in testa, sono iutenti a martellare le grosse schegge del minerale per toglierne le impurità. C' inoltriamo ancora.: nomini discinti vanno col piccone verso l'avanzamento, bei giovanotti dalle ossa forti, ma dal volto pallido e magro. Laggiù in una grotta al lume scarso, due torsi nudi stan curvi a forare, con nna sorta di enorme trapano, il minerale per le mine. Un altro gruppo di giovanotti è intento a caricare le grosse scaglie grigie sui vagoncini che fanno capo al pozzo dell'ascensore. Scendi.amo ancora fino a 200 m sotterra: alcuni uomini curvi sotto le pietre salgono a fatica i gradini. In questa galleria ferve un' incalzar di lavoro per sbrigare il _ca.rico dei vagoncini, perchè sono quasi le due e a quell' ora la minierit si chiude. A sorvegliare la comitiva troviamo un impiegato molto gentile che ci dà informazioni dettagli.ate sugli operai e sulle condizioni loro. Nella miniera, da cui si estraggono annualmente circa 6000 tonnellate di sale, lavorano 300 operai, tutti albanesi, ed hanno un salario che va dalle 2 lire alle 3,40; i trasportatori del materiale su per la scala,(ne portano a spalla50 kg. per volta) possono lucrare da 1,80 a 2,60, ma il lavoro è molto gravoso. Tuttavia fra gli operai delle saline è rara eccezione trovare alcuno che emigri. Il huon uomo, amato come fratello dai sottoposti che rinfrancava al lavoro nella sua parlata albanese cinguettante ed aspra , ci raccontava che sarebbe ben agevole ampliare l'escavazione delle saline, e dare maggior lavoro ai paesi vicini ; che inoltre sarebbe utile applicare alle gallerie la .luce elettrica, mentre i lumi a olio insozzano l' aria che laggiù si respira a fatica. Quando tornammo a riveder la luce, una frotta di donne in veste caratteristica, usci va da un piccolo edificio ove sono adibite a impacchettare il safe fine. La sottana rialzata e avvolta in nodo dietro la vita, come le pacchiane calabresi, la camicia biancheggiante, a sboffi, dai lacci del giubbetto, le ampie scollature che lasciano vedere il collo forte e il seno esuberante, i capelli divisi sulla fronte e stretti alla nuca nella candida chèsa: le donne, quasi tutte belle, si fanno rosse in viso alla vista dei forestieri, e si affrettano a salire per un viottolo serpeggiante fra le colline grigie e nude. Il buon ispettore Albanese se ne tornava a casa, a Firmo, e fu invitato a prender posto nella .nostra carrozza. Per via ci racconta va interessanti notizie intorno all' agricoltura locale, all'emigrazione. Una delle più grandi tenute è quella del Mondino, le cui terre vengono distribuite a fitto, escludendo però le piante legnose. Il Barone G. concede terre boschive in enfiteusi ai contadini che le riducono a vigneto. Molti di questi poi vanno in Ame-
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