Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno XI - n. 17 - 15 settembre 1905

506 RIVISTA PO POLARE sieno decisivt: m ordine a questo criterio , che confonde le ragioni, gli impulsi della genesi storica di taluni istituti cooperativi con i principi teoretici che stanno a base di tutti. Ed ecco che il campo ritorna vergine, e la cooperazione resta ancora indett:rminata nei suoi principi teorici fondamentali. A me pare che non sia difficil~ giungere a risultati davvero positivi, quando si prescinda per poco dalle particolarità empiriche del fenomeno. Molte condizioni generali ( che si possono riassumere in una sola precipua, cioè l' ambiente capitalistico in cui sorgono le cooperative), e speciali, di tempo e di luogo, come abbiarn visto sopra, tendono a modificare la forma tipica della cooperazione , ad ostacolarne il raggiungimento della forma ideale e schematica. A tal uopo la distinzione fa cooperative tipo e coopc:rative non tipo, pure t: non pure, non mi sembra che debba rigettarsi. Lo scienziato deve prescindere dalle interfert!nze che si verificano in pratica, ed aggiungo che può, a scopo di ricercare le cause e le leggi dei fatti , far uso di ipotesi, le quali àel resto non sono molto lontane dalla realtà nel caso nostro, nè inattuabili o inattuate. ' Facciamo una prima ipotesi: dieci operai conferiscono quok eguali di capitale e di lavoro , esercitano insieme una produzione determinata, ed ottengono in fine un certo utile, il quale, date le condizioni suesposte , deve ripartirsi in dieci quote eguali da distribuirsi ai dieci soci. Il Pantaleoni va m cerca del mercato speculativo per determinare il riparto del reddito finale fra salario , profitto, inte .. resse. Ma dov' è nt:lla nostra ipotesi il salario, dove il profitto, dove l'interesse'? In ciascuna quota percepita da ciascuno dei dieci soci io non so scorgere una diversità di redditi corrispondenti ad una pluralità di soggetti economici , che sieno proprietari dei vari elementi della produzione. Ogni socio ha fornito il capitale ed il lavoro; ognun d' essi è un capitalistalavoratore. Facciamo un' altra ipotesi : dieci consumato.ri di paste alimentari si riuniscono in società ed acquistano la quantità di paste dl cui hanno bisogno direttamente dal produttore, invece che dal commerciante al dettaglio o all'ingrosso. Qui naturalmente , nei rapporti dei consumatori col produttore , le lt:ggi del valore e dello scambio nell'economia capitalista rimangono immutate. È solo scomparsa una delle funzioni più importanti, dico meglio l'agente più efficace della circolazione delle ricchezze, il commercio. Ma si supponga che la società di consumo faccia un passo innanzi , imprenda cioè direttamente la produzione delle paste alimentari. In tal caso i rapporti di scambio e di circolazione scompaiono , ed esistono solo rapporti di distribuzione fra i c0nsumntori-imprenditori ed i salariati dell'opificio sociale. Abbiamo detto più sopra che le forme principali a cui si riducono tutte le altre sono tre, queìle di produzione, di consumo e di credito. Ora, si può fare per quest'ultima forma, da un punto di vista puramente astratto, una distinzione rilevantissima , sebbene senza riscontro nella pratica, secondochè i consumatori del credito sono dei produttori o dei consumatori improduttivi , vale a dire secondocchè il credito ha uno scopo consuntivo o produttivo. Quando si verifichi Ja prima condizione, la cooperativa di credito può classificarsi fra quelle di consumo, altrimenti si può dire che sia più affine a quelle di produzione; inquantochè i rapporti economici che essa intende a modificare sono rispettivamente attinenti all' ordine della circolazione o della distribuzione delle ricchezze. Volgiamo quindi l?_ sguardo e fermiamo l'attenzione sulle due forme tipiche contemplate dalle nostre ipotesi: cooperative di produzione e cooperative di consumo. Nella prima ipotesi, quale risultato ottiene la cooperazione 't Quello di unificare i redditi dell'odierna economia capitalista. Ed è facile rilevare che la nostra cooperativa di produzione tipo non differis.:e affatto dall'economia di un produttore indipendente. Suppongasi che A., proprietario di un determinato appezzamento di terreno e di un certo capitale, lavori egli solo allo sfruttamento della sua tt:rra. Il prodotto ottenuto è senza dubbio un reddito complessivo, contenente il salario, il profitto, la rendita e l'interesse, per nulla dissimile dal reddito complesso ritratto dalla nostra cooperativa di produzione. Veniamo ora alla seconda ipotesi , cioè quella della coope· rati va di consumo. Anche qui la società agisce come un in - dividuo isolato , il quale acquisti direttamente le sue merci dal produttore, elimiòando gli intermediari; ovverQ che produca ··' da sè stesso i suoi beni di consumo, facendo così venir meno la funzione dello scambio e della circolazione , almeno relativamente ai beni da lui prodotti. Nella prima e nella seconda ipotesi dunque abbiamo una modificazione qualitativa di quelle due . funzioni economiche importantissime • che sono la distribuzione e la circolazione delle ri..:chezze. Nel 1° caso è mutata l'attuale distribuzione, e nel 2° è eliminato il commercio, o addirittura lo se.ambio. Adunque le due figure economiche tipiche , cooperativa di · produzione e cooperativa di consumo sono affatto identiche rispettivamente a quelle del ptoduttore indipendente ( capitalista, proprietario fondiario e lavoratore al tempo stesso) e del consumatore che produce dirt:ttamente le merci di cui ha bisogno. L'unica differenza è solo di carattere formale, e .èonsiste nell'essere la cooperazione un fenomeno collettivo, mentre le due figure suesposte costituiscono dei fenomeni puramente individuali. Però è bene avvertire subito, che la forma non è irrilevante nè priva d' efficacia sul contenuto , e le vicende storiche della cooperazione lo dimostrano a chiare note. Dopo quanto ho detto non sembri strana la formula che credo di adottare per dare una definizione, a solo scopo scientifico, del fenomeno cooperativo : << La cooperazione· è l'equivalente collettivistico di categorie economiche semplici ( cioè del produttore indipendente e del consumatore produttore ) e primitive n. Che cosa rivela questa formola ? Rivela la possibilità d 'individualizzare il fenomeno cooperativo, anzi rappresenta appunto tale individuazione. Abbiamo la dilforenza specifica che consiste appunto nelle due categorie semplici surriferite , e i1 g_enus proximum, che sta appunto nell'essere la cooperazione un fenomeno di classe, cioè un fenomeno che può ben dirsi associativo. Caratterizzata e specificata così la cooperazione, non è possibile confonderla più con nessun altro fenomeno a ,sociativo, avt!nte un contenuto economico. Qual' è di questi, che nelle sue forme tipiche intende a produrre un mutamento riei rapporti fondamentali dell'attuale distribuzione economica 't Non i sindacati operai e le trade's unions, perchè, avendo per fine la resistenza del lavoro allo sfruttaménto del capitàle; presuppongono· l' odierna distribuzione dei redditi; non i trusts, le leghe di miglioramento, le imprese speculative, e così via. È codesta , a parer mio , la ricerca· teorica che va fatta. Dato il fenomeno cooperativo , l' esigenza scientifica non può essere altra chè questa : determinare a quali categorie economiche si deve riportare e qual'è il suo posto nel sistema organico delle fondamentali funzioni economiche, in altri termini, qual' è il suo valore teorico. Ed a me sembr.1 che codesto valore teorico sia ben chiaro e definito, quando si affermi che la cooperazione non fa altro se non riprodurre in forma collettiva categorie ed organismi eco~omici semplici e primitivi. Dalla differenziazione dei redditi ritorniamo ali' unificazione, dall' es.:rcizio dell' industria commerciale passiamo alla sua eliminazione, dalla divisione del lavoro e susseguente complesso regime degli scambi al costo di ·riproduzione ferroviario, il quale, in ultima analisi'

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==