RIVISTA POPOLARE 505 dre della coopera,rione italiana, il Luzzatti, d'aver compreso che la forma tedesca non s'adatta all'ambiente e d'averla modificata così, da renderla più naturale e meno esotica. La responsab.lità, quindi, nelle nostre banche popolari, a differenza degli istituti tedeschi, è limitata. Illimitata invece è nelle casse di prestito del Wollemborg, pel diverso ufficio e la funzione diversa che queste ultime sono ehiamate ad adempiere. Nelle altre nazioni si verificano gli stessi fenomeni d'atrofia e d'ipertrofia di questa o quella forma pratica, e di atteggiamenti caratteristici di cias.: una di esse. Così nel Belgio prevalgono le società di consumo e di credito. Le prime hanno un carattere partigiano socialista, cat - tolico, come ad esempio il Vooruit di Gand ( 1 880) e la società Volksbelang ( r 887). Delle 76 16 cooperative arn,triac ht: esistenti nel 190 1, la maggior parte, 5098, è costituita da quelle di credito sul moddlo delle società tedesche; le altre sono di consumo; poché soltanto di produzione ( 1). ♦ Data l'importanza dd fenomeno e le vaste proporzioni assunte dal movimento cooperativo, sono spiegabili, anzi si giustificano pienamente le ricerche sulla sua efficacia pratica e sul suo valore teorico. Però è doloroso il dover constatare che mentre sulla prima questione e sul valore sociale della coope- ' razione s'è detto molto, anzi troppo, non si sia fermata a lungo l'attenzione degli economisti sull'altra ricerca, cioè quella che interessa più davvicino lo scienziato e lo studioso d' economia pura. A mio credere, oggi che la materia di studio è abbondante, quindi le basi positive non fanno difetto, e l'esperienza soccorre, la ricerca teorica, s'impone e si giustifica. Per una notissima legge di continuità tra i fatti della vita economica e conseguentemente fra le teorie scientifiche, nulla deve rimanere isolato e tagliato fuori dalla fenomenologia generale; anzi io stimo che sia condizione indispensabile per la giusta valutazione di ciascun fatto e per la ricerca delle cause , questa preliminare opera sistematica o classificatoria; anzi, dirò di più, credo che i due ordini di ricerche sieno logicamente inscindibili. Abbiamo osservato col Loria che gli istituti sociali ed economici non sorgono punto per introdurre categorie nuove o stabilire nuo,·i principii, ma per provvedere a bisogni concreti; e ciò è giusto, quando si voglia affermare che le due questioni quella dell'efficacia pratica e quella teorica debbono tenersi distinte, ma non deve però tòr valore alla seconda e tanto meno dichiararla inane ed oziosa, quando è trattata con sani criteri. Se lo scienziato afferma che la cooperazione non introduce nuove categorie economiche, egli non può da ciò concludere ali' inefficacia pratica di essa; ma se egli può provare che codeste nuove categorie esistono , o che quelle già esistenti , a cui si riducono le supposte nuove categorie, influiscono sulla determinazione del valore sociale o dell'efficacia effettiva della cooperazione, le conclusioni teoriche non possono dirsi destituite di utilità vera. A codeste ricerche teoriche son dedicate due pregevoli monografie, oltre l'articolo critico del Pantaleoni già citato, quella del Lorenzoni (La cooperazione agraria cit vol. 2°) e quella del Valenti (L'associazione cooperativa, Modena 1902). Ma i risultati di queste prime ed ultime ricerche sono , spiace il dirlo, affatto negativo. Mi spiego. Il Lorenzoni, traendo alle conseguenze estreme la teoria pan• taleoniana, che accomuna le cooperative alle imprese puramente speculative, viene alla conclusione che occorre far rientrarè il ( 1) Negli altri paesi si hanno le segut:nti cifre: Svizzera 3400, Russia 2356, Ungheria 2353, Danimarca 1988, Svezia 1761, Olanda 1 r 52, Serbia 731, Stati Uniti 558, Finlandia 411, Spagna 28G, fndia 200, Australia 80, Canadà 1. cooperativismo non solo fra queste ultime, ma addirittura riassumerlo ed integrarlo nel fenomeno, più comprensivo, che va sotto il nome di associazione. u Cooperazione ed associazione economica sono tutt'uno ..... le particolarità d' entrambe vanno cercate ndla diversità del soggetto e degli scopi a cui servono; cosicchè la cooperazione si risolve in un fenomeno di classe >>. Chi volesse studiare con int<!ndimento sintetico l'organizzazione di tutte le classi sociali 11 non potrebbe che dislinguerla, per facilità d'analisi, in organizzazione economia, amministrati va e politica , ponendo nella prima tutte le società, che il fine economico d'una classe cercano raggiungere con mezzi economici. Così l'organizzazione econo mica della classe operaia dovrebbe comprenderne le cooperative di consumo e di produzione, non meno delle leghe di resistenza, giacchè identico ne è il fine : maggior valutazione della forza di lavoro; ed identici per la loro natura essenziale i mezzi ». Ora, con tutto il rispetto dovuto all'ingegno ed alla vasta cultura del giovane professore di lnnsbruck, tutto ciò a me sembra un pò superficiale, perchè conduce ad ammettere, senza granJe sforzo, chi! la cooperazione sia un fenomeno di classe. Orbene, a questa conclusione si può ~iungere facilmente con la semplice esperienza, dirò meglio, osservazione diretta ed immediata. Invece di parlare di cooperazione, possiamo parlare di coopera,rione di classe , come fa il Montemartini ( 1) , ma ciò non toglie che ci aggiriamo nei limiti di un « genus proximum » in cui è facile far rientrare anche i trusts, le « trades-unions n, i sindacati ope~i, e tutti i fenomeni associativi mòderni , perchè tutti fenomeni di classe. Ma resta ad ogni modo a vedere se la cooperazione presenti note caratteristiche speciali. Il Pantaleoni, nell'articolo citato più volte, lo nega senz'altro, perchè, dice egli, la cooperazione non ha mezzi per stabilire all' infuori del mercato capitalistico la distribuzione dei redditi, salario, profitto ecc.; e quindi nulla è mutato qualitativamente in seno ad essa delle categorie dello scambio e della distribuzione delle ricchezze. La distruzione, come si vede, è completa; e per riedificare non fu difficile ad un distinto economista, come il Valenti, assumere un criterio di distinzione , che valesse a dar vita e forma nuova e speciale al principio informatore della cooperazione. È questa, secondo il Montemartini, a quanto pare, la genesi ideologica del criterio di << difesa » dell'egregio profes sore di Modena. Ora , se al concetto di difesa si dà un significato molto esteso, m'è doloroso affermare che l'opera del Valenti non ha prodotto risultati meno negativi di quelli della teoria pantaleoniana. Se per difesa s'intende quel rigido cakolo economico, quella· tutela dei propri interessi, che regola e governa tutti gli atti dei soggetti economici , cioè la condotta -degli uomini in ordine alle ricchezze, non è meno un fenomeno di d1fei:a l'unionismo di quel che lo sia la cooperazione. Ma evidentemente non è questo il concetto del Valenti. Egli, quando parla di difesa in tema di cooperazione, intt:nde affermare che la caratteristica propria delle società cooperative è quella di contrapporsi ai sopraredditi di monopolio. Di qui la legittima conseguenza , che di due società , identiche in tutto e per tutto, ma delle quali l' una sorga in un ramo di produzione in cui, date le peculiari circostanze di tempo e di luogo, non • esistono sopraredditi di monopo1io, e l'altra in un altro ramo, in cui tali sopraredditi spiegano tutto il loro imperio , questa seconda soltanto sia una società cooperativa, e la prima no. Ora, io credo ·che le giuste ed acute osservazioni del Loria (2) ( 1) « Cooperazione di classe n ( Giornale degli economisti, gennaio 1903). (2) Op. cit. pag. 278 e seg.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==