RIVISTA POPOLARE 529 per mancanza di ionJi, e perchè mi fece difetto il conwrso del nosLro Governo. Del resto in presenza delle reiterate sollecìtazioui delle ~tltre Ambasciate estere di Washington per ottenere a favore delle loro emigrazioni lo stesso trattamento di eccezione accordato alla nosLra, il Governo degli Stati Uuiti, prendendo occasione dall' incendio dei locali di Ellis Island, emise la misura generale che al riaprir~i di quei locali gli Uffici esteri di patron:ito potrebbero, si, essere stabiliti ad Ellis Island, ma non nello stesso edificio federale, come vi rimase il nostro per ben sei anni. Dissi cominciando che per rendere possibile la trasformazione di una parte dei nostri emigranti in proprietari di terreni agli Stati Uniti occorre far loro !rovare allo sbarco, oltre l' uflicio di patronato, anche quello di collocamento detto Labor Bureau. Nè dissi cosa nuova. L' emigrazione irlandese dapprima rì.11 dai primordi del secolo scorso, la tedesca e la scandì na va poscia, senza parlare delt emigrazione svizzera, tutte sentirono la necessità di fondare, e fonda1ouo, questi Labor Bureaus con fondi somministrati ad hoc dalle rispettive Società di beneficenza (Benevolent Socicties) efficacemente orgaùizzate e largamente sovvenute da benefattori della madre patria, fra cui primeggiano i Reali d'Inghilterra e di Germania. In contatto colle richieste della mano d' opera sotto tutte le sue forme a mezzo· di appositi agenti sparsi su tutto il territorio dell'Unione, cd al corrente delle prescrizioni sancite dall'Homeslead Law in ordine all'acquisto dei terreni rimasti disponibili, qucsti Labor 'Bureaus sono il mezzo più pratico per avviare la rispetti va emigrazione operaia nei centri industriali , ferroviari e minerari, i contadini nei centri agricoli, ed in generale per facilitare ai loro connazionali, che lo desiderano, il re~olare acquisto di terreni. Con questi metodi ho visto sbarcare ad Ellis Island famiglie intere di operai ed agricoltori scandinavi, teLleschi e svizzeri, composte di tre generazioni, per andare ad accrescere la ricd1ezza di quella grande lZepubblica, si,\ con la loro opera nelle ferrovie, nelle miniere e nelle intraprese urbane, sia fertilizzandone e colonizzandone la terra di cui col tempo diverranno proprietari. Di questi metodi, se venissero da noi adottati, vorrebbero giovarsi i nostri contadini? Rinunzierebbero essi ai facili guadagni delle grandi città per chiedere alla terra ciò che in patria non potettero conseguire? La risposta mi è facile , e veDgo così ad esaminare non la possibilità, ma la probabilità o meno di costituire fra gli Italo-Americani, e fra gli stessi Americani, Società di colonizzazione per trasformare una parte dei nostri emigranti in proprietari di terreni. Pn:metto che la prima ..:ondizione pel colono che s'ioduce ad acquistare una terra è quella di stabilirvisi con animo di rimanervi. Dove e quanti sono i nostri contadini che emigrano con questa ferma intenzione e << sans esprit de retour » ? Il bisogno di ritornare al natio loco , dopo aver ac~umulato qualche risparmio, è in vece cosi imperi_osamente sentito da loro che si buscarono dagli Americani il nomignolo di « Birds of passage >>, uccelli di passaggio. In tali condizioni di cose quale è il capitalista italo-americano, ovvero americano, che vorrebbe intraprendere la J:ondazione di colonie agricole italiane agli Stati Uniti? Certo, fra gli Italo-Americani vi sono molte persone che, senza grave loro disagio economico, potrebbero sottoscrivere parte del capitale necessario alla costituzione di Società. di colonizzazioni agricole propriamente dette. Ma quali fra esse, dopo essersi procacciata col lavoro l'agiatezza, vorrebbero comprometterla partecipando a fondazioni di Società basate sull' opera aleatoria di contadini che, rifiutando perentoriamente di scontare l' acquisto della terra cul loro lavoro di agricoltori, ne esigono invece l' immediato salario? I nostri connazionali agli Stati Uniti hanno perfetta conoscenza dell'indole, del carattere e delle tendenze dei nostri agricoltori, ed è appunto questa profonda luro conoscenza che li r~se e li rende tuttavia restii :ld esporre i loro ca1)itali laboriosamente acquistati. Quei pochissimi che li espos_cro in un lontano passato, ebbero a pentirsene. In quanto poi alla riuscita di Società di colonizzazione italiane con capitali esclusivamente americani, meglio delle parule valgono i fatti. Non appena riuscii a stabilire ed a far fumionare in Ellis Island l'Ufficio di patronato menzionato di sopra, il banchiere Corbin di New York, già da me ricordato , venne a dirmi che, essendo egli proprietario di vastissime piantagioni ·di cotone nel Mississipi, desidera va coloniu.are con agricoli.ori italiani quella di Sunny Side irrigata dal gran fiume. Ed invitornmi di andare a vederla con lui. Era su:i. intenzione, mi disse, di dividere una parte di quella piantagione in tanti lotti di terreno più o meno estesi per essere èoltivati da famiglie più o meno numerose ; di costruire sopra ciascun lotto case coloniche per tre, quattro, fino a sei persone; di dare inoltre ai coloni una paga giornaliera elevata, gli istrumcnti e le macchine agr~rie necessarie , il bestiame, gli animali da tiro , i semi, ecc,, e di stabilire sulla piantagione una grande cascina; di scavarvi due pozzi artesiani per non obbligare i coloni ad attingere ed a bere l'acqua del Mississipi; di aprirvi una scuola primaria con libri e maestri italiani; di costruirvi una chiesa cattolica oflìciata da un sacerdote italiano ; èli fondarvi una farmacia condotta eia un medico; e di istituirvi finalmente una Cassa di risparmio ad uso di quei coloni che volessero depositarvi le loro economie contro un interesse del 6 per cento. Una ferrovia a scartamento ridotto solcava già l'intera piantagione per trasportare alla vicina stazione le balle di cotone state compresse ed allacciate da potenti macchine a vapore. Dopo 20 anni i diversi coloni che avrebbero lavorato sulla piantagione sarebbero divenuti proprietari dei lotti di terreno da essi coltivati, delle case, del bestiame, degli attrezzi, de~li animali annessi ai Ltti medesimi, e le costruzioni esistenti sulla piantagione allo spirare dei 20 anni sarebbero divenute proprietà comune della colonia. A quell'epoca trovavasi di passaggio in Ameri_ca il co111pianto D,m Emanuele Ruspali, allora sindaco di Roma, e sapendolo esperto agricoltore lo pregai di recarsi in mia vece. insieme al signor Corbin a visitare quella vasta piantagione, e riferirmi poi per iscritto il coscienzioso suo parere sulla bontà dei terreni e del clima, e sulla possibilità di fondarvi una colonia agricola italiana con regolari contratti di compra-vendita basati sulle clausole indicatemi dal signor Corbin. Il rapporto scritto di Don Emauuele Ruspali, che sottoposi al nostro Governo e simultaneamente a quello di Washington, fu favorevolissimo in ogni jpunto, ed i due Governi non si opposero a che il signor Corbin arruolasse in Italia 50 o 60 faniiglie di contadini, alle quali pagò l'intero viaggio dall'Italia a Sunny Side, dopo che i coloni ebbero presa conoscenza e firmato i contratti di compra-vendita. A Sunny Side essi s'istallarono comodamente, dettero su - bito mano ai lavori, e pareva che tutto dovesse proce?ere bene sulla piantagione. Invece dopo poçhissimo tempo, senza alcun valido motivo e malgrado che il signor Corbin ed io stesso avessimo mandato sul luogo persone di nostra fiducia con incarico di soddisfare qualunque giusto reclamo, i coloni, dopo aver riscosso i loro salari, si dettero a sbandarsi man mano, attirati fatalmente nell'orbita delle grandi città, dall'esca di facili e più rapidi guadagni che ad essi, gratuitamente trasportati in Ame1ica, lasciassero la libertà di ri-- toroare in Italia, quando loro ne venisse il talento, col piccolo risparmio che per avventura avessero potuto accumulare. '
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