Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IX - n. 5 - 15 marzo 1903

134 RIVIS I'A PaPOLA.Rk DI POLl11CJ, LETI'ERE B ';CJENZE. sociA.ll palchi appesi per grattare vandalicamente l' intonaco - non sarebbe credibile, se la fede dello scandaglio operato dal Boni, e la sua relazione, non l'accertassero. E non vi è alcun dubbio _che quanti edifici in Venezia riposino, in proporzione della i'oro mole, su analoghe condizioni di sottostruttura, sono in permanente pericolo. Basti accennare, a modo di confronto puramente aritmetico, che vi sono sem- • plici case in Napoli, le cui fondazioni, benchè in par.te addossate al tufo, hanno oltre 27 metri di profondità. . · M!1,lasciando a parte Venezia, e I.imitandoci al campanile, queste sue condizioni di sottostruttura appena si. comprenderebbero se ilt descritto suo prisma di fondazione poggiasse interamente sopra .un perfetto piano di roccia nuda, compatta, ed omogenea, formante unica ed interrotta costituzione geologica del sottosuolo. Ed ancora, se così fosse, profondi •incavi avrebbero dovuto intagliarsi nella massa rocciosa, e riempirsi con muratura di primissimo ordine, così da costituire quasi altrettanti denti verticali, per cui mezzo i muri del ca:ripanile si trovassero come saldamente cabettati nella massa rocciosa. • E sempre la superficie muraria di fondazione doveva fare ampio aggetto su quella inferiore del· campanile, e d"iscendere a larghi gradoni fino a quasi raddoppiarsi sul piano di posa, affinchè la pressione per ogni unità superficiale di esso piano fosse minore di quella sufficiente a schiacçiare la muratura soprastante e la materia sottoposta. Invece, il sottosuolo ·ai Venezia, di costituzione prevalentemente mobile ed argillosa, permeato da infiltrazioni, attraversato da polle d'acqua, 'è il vero fonào compressibile, cioè il peggiore dei terreni su ~mi possa elevarsi una costruzione. Quindi necessità, proporzionale ai singoli ca8i, di tutti quei poderosi mezzi con cui l'arte antica e moderna sfidò, e vinse le pili aspre difficoltà della natura, dai costipamenti ad oltranza, alle_ ciclopiche fondazioni con supermateriali. Quindi certezza nei tecnici,- che edifici fondati alla stregua del. campani.le di S. Marco sono irremissibilmente destinati a perire, salvo una tempestiva laparatomia, talvolta essa• pure mortale; perchè nessuno fra i tecnici può ignorare che· gli , errori di fondazione sono spesso impossibili a ripararsi, perciò i più gravi, i più- funesti, quelli infine per i quali nessun titolo di scusa può essere accolto. Ora come si spiega che la relazione del Boni - che doveva essere per il governo il grido di allarme contro la perdità segnata, irreparabile, di questo superbo caposaldo di vita nazionale - rimase. per diciasette aI}..Il.ilettera morta, ed oggi ancora non si sa rintracciarla! E come ignora va il governo che in 45 anni il fondo della La·guna si elevò di circa un centimetro all'anno ! Di fronte a fatti simili:- che provano come da noi chi s'insedia al potere non vive coll'anima e col cuore del paese non lo vede e non lo sente che per il circuito dissolvente della oligarchia burocratica, ed ha in mal celato spregio quanto non è verbo od emanazione di essa - e su di essa plasma la fede e gli atti - come cercare e designare, secondo fin quì si fece, il misero capo espiatorio, l'eterno BattireUi delle colpe di Stato,. in questo od in quell'architetto di regione o di fabbriceria, sempre a priori esautorato, ed interdetto all'esercizio di .una volontà propria 1 Il campanile si reggeva per un miracolo di equilibrio instabile, e la sua longevità nulla prova in contrario. Era ~na colonna senza piedistallo in campo aperto: Le si fossero pure risparmiati i vani bottegai al pianterreno, l'estirpamento del lastrone nella loggetta, le gabbie dei grattatori di intonaco, lo <,batacchiare delle campane - che è quanto impernia i famosi capi d'accusa per i quali il Ministero si lavò le mani di ogni responsabilità, e volle la testa dell'architetto che quivi doveva conservare i monumenti - ciò non avrebbe ritardato di un'ora il crollo del vecchio colosso. Ben potevasi in tempo, cioè sullo stato di cose rilevato dalla relazione del Boni tentare il salvantaggio del campanile, dimezzandolo, poi puntellandolo, per quindi sventrarlo e risanarlo. Ma per questo bisognava aver degnato cli uno sguardo, di un ascolto, quella relazione: non averla, ad arte, o con superba indifferenza, ignorata o dispersa. E ciui è tutta la responsabilità de_lgoverno - unica vera; cioè quella che la stura di rim- · pianti maggiori del vero, di postume provvidenze, di sequestri, e poi di ·milioni escogitati quasi a contrasto con tanti non minori bisogni del paese, e con la maestà della rovina - cui nessuna vita può più infondersi - non riusci e non riesce a nascondere. N è, per mala sorte, casi analaghi di danni irrimediabili, recati agli interessi nazionali da incurabile e talora deliberata cecità di govetno, sono rari fra noi; dove, a capo dei più gravi e complessi servizi tecnici, nei ministeri, non sono quasi mai preposti tecnici - mentre all'estero simili servizì sono notoriamente retti da uomini di fama europea nella materia; e dove - per non citare che un esempio - dal Baccarini in poi, salvo una fugace apparizione, nessun tecnico fu più ministro dei lavori pubblici. Chi scrive queste righe ne può denunciare altri due, sotto· diverso espetto non meno gravi di conseguenze. Si volle ad ogni costo, e dopo trent'anni di negato orecchio al maturarsi della questione, elaborare e far votare a tutto vapore una legge per il concorso dell'Italia al traforo del Sempione, che, fra sovvenzione governativa, di provincie e dicomuni, concessione di forza idraulica, agevolezze· doganali, e privilegi a.lla Compagnia costruttrice, costa allo Stato - per ora - 15 milioni di lire scarsamente contati, e linee d'accesso -;- beo inteso - non comprese.

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