Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno VIII - n. 15 - 15 agosto 1902

RIVISTPAOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Direttore: D.r NAPOLEONE COLAJANNI (Deputato al Parlamento) Esce in Roma il I 5 e il 3o d'ogni mese ITALI A : anno lire 6 ; semestre lire 3,50 - EST ERO : anno lire 8 ; semestre lire 4,50. Un. nuID.ero separato Oent. 30 ~> Amministrazione : Via Campo Marzio N. 43. ROMA <-<> AnnoVIII. - N. 15 AbbonaID.ento postale Roma,15 Agosto1902 801'(1'.~ARIO: Noi: Gli avvenimentei gli uomini: (I successi dell'on. Prinetti. - Il verdetto di Bologna. - Giacobini francesi e forcaioli italiani - Ciò ch'è lecito ai socialisti .... purchè settentrionali). - Dott. Napoleone Colajanul: Austria e Italia. - l,a Rivista: A proposito del nuovo crac del Banco Scouto e Sete di Torino. - Sante Sottile Tonarelli: Lettera aperta al Dott. Antonio per l'Asceta di Mario Rapisardi. - Cooperazione. - Prof. G .. B. Cacciamali: Di un nuovo libro del Sergi sugli Arii. - Ing. J•'ilippo Laccetti: Pel Campanile di S. Marco. - Ugo Tombesi: L'industria del cotone a Gand. - IHario Pilo: Stelloncini letterari. - Sperimentalismsoo- -Oiale: (Il progresso economico e finanziario dell'lnghilter_ra). - RivistadelleRiviste: La rettorica dei funerali (La Folla). - Politica e sindacati (Mouveme,1t socialiste). - La lez10ne del Transwaal (Petile Republique). - Lo sviluppo della -Cina (Cassier 's Md![az.ine). - La Germania e l'Inghilterra in Turchia (Revue des Revues). - La dipendenza economica delle donne (North .Americau 'R_eview). - Recensioni. - lllustralionlnel testo. GLI AVVENIMENTI E GLI UOMINI I successi dell' on. Prinetti. - Siamo dolenti di non potere riprodurre per intero ·dal Corriere di Napoli un articolo di Colautti (Fram) sulla intraprendenza della politica estera dell' on. Prinelti. Vi si esaminano le contraddizioni piramidali del nostro governo nell'atteggiamento ver·so la Triplice e la Duplice, la chiusura del- !' incidente italo-svizzero, le dimostrazioni della nostra flotta in Tripolitania e sulle coste dell'Albania, la visita al Sultano da parte dell'Ammiraglio Palumbo .... e il tutto con una veroe che rende più efficace la logica delle osservazioni critiche sull'attività rumorosa dell' on. Prinetti, che per troppo voler fare finirà collo sciupare il poco di buono che sinora ha fatto. Ci prepara egli una second~ edizione del suo passaggio al ministero dei lavori pubblici come ai tempi del gabinetto Di Rudini? L'attuale ministro degli esteri che avrebbe dovuto contentarsi di raccogliere gli allori preparati dagli altri col riavvicinamento franco-italiano volle subito farli appassire provocando l'incidente italo-elvetico, nel quale il torto era tutto nostro, nonostante l'affannoso anfanamento della stampa monarchica, cui non parve vero di potere inveire contro una minuscola repubblica e di atteggiarsi a vindice della dignità nazionale. Ma il modo semplicissimo con cui si é chiuso l'incidente dice che il diritto stava dalla parte della Svizzera ed a noi anziché una qualsiasi soddisfazione é rimasta l'umiliazione di una sconfitta diplomatica. Su questo la stampa italiana di ogni colore e di ogni regione - salvo qualche timido giornale ufficioso - é concorde. Parimenti l' on. Prinetti ba voluto sciupare l'effetto del viaggio del Re a Pietroburgo coli' invio de Ila squadra sulle coste della Tripolitania e del!' Albania. Fram nel citato articolo del Corriere di Napoli, a proposito di questo ultimo atto della politica prinettiana si domanda: « Ma che cosa mai dimostra questa duplice dimostrazione simultanea? Il governo del Re vuol esso affermare i molto discutibili suoi diritti sulle due regioni appartenenti, pur troppo, alla sfera degli interessi italiani'? O si tratta di un semplice inventario notarile dei beni immobili nelle due colonie « morali? » O non piuttosto c'è sotto una ricognizione strategica per l'eventualità di un bombardamento pacifico e di uno sbarco amichevole, magari di un affitto per 99 anni sul modello di quello fatto dai tedeschi a Kiao-Ciao '? « In ogni modo, é una bella sconvenienza internazionale, aggravata dalla quasi immediata partenza. Si capirebbe un atto di brutalità, non si capisce questo atto di concupiscenr;a, che si risolve poi in una dichiarazione d'impotenza. Venni, vidi, e me ne andai: tale é la parafrasi del motto cesareo che stanno facendo i due ammiragli, uscieri travestiti o 1adri internazionali, irresponsabili esecutori della politica prinettiana. « Ma non è tutto ancora. C'è di più e di peggio I Quel povero Palumbo, dopo siffatte vidite dimostrative e sospette, ha l'onorifico incarico di recare sul Bosforo i doni del Re d'Italia a S. M. il Sultano, per rassicurarlo sulle nostre oneste intenzioni. Ricevendo siffatti regali canzonatori, il Commendator dei credenti deve sorridere non poco sotto i peli superstiti. E se l'Eneide fu mai tradotta in turco, gli deve ben ricorrere alla mente il virgiliano: Timeo Danaos et dona ferentes .... « Qui la commedia diplomatica degenera in operetta'. il doppio senso diventa contro-senso, anzi non-senso. È r incoronazione dell' ambiguità e insieme l'apoteosi del- !' ingenuità. « La politica da bussolottieri, la politica dell'equivoco, la. politica a doppio fondo, la politica d'altalena, la politica del colpo al cerchio e alla botte non è nata ieri col gabinetto Zanardelli; essa è antica per lo meno quanto la diplomazia. Ma, in verità, da che esiste un governo costituito, non s'è mai visto una finezza più fine di codesta. « Evidentemente, l'on. Prinetti cingendosi di nebbie e di veli, vuol parere plus malin que tout le monde. Viceversa, ho gran timore che egli non riesca ad ingannare altri mai che sé stesso. « Macchia vello o Stenterello 1 Guicciardini o Ferravilta? E il segreto di dopodomani. « Intanto, è lecito chiedersi che cosa s'intenda di fare e dove si voglia parare. Probabilmente non lo sa neppur lui, il Fregoli di Cavour. Ma questa non sarebbe un-a buona rag10ne per serbare più oltre il paese nel buio pesto di una politica tanto estera che non sembra più neanche italiana. » Noi non sapremmo dire di più e di meglio; perciò riproduciamo e sottoscriviamo.

394 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIAU Il veI•detto di Bologna. - Dopo uadici mesi é terminato dinanzi alle Assise di Bologna il processo Palizzolo per la uccisione di Miceli e Notarbartolo e nel quale profusero i tesori della propria eloquenza e del proprio vigoroso ingegno G. Marchesar::!o e Carlo Altobelli, creatore logico e inesorabile del processo il pri.mo - espositore drammatico del med~simo il secondo. Tutta la stampa italiana e i principali giornali esteri se ne sono occupati, perché nel processo Palizzolo hanno visto il processo contro la Mafia. I giudizi svariati abbiamo letto con diligenza e spesso li abbiamo trovati erronei o volgari. Qualche altro lo abbiamo trovato insidioso otendonzioso, anche contro la intenzione di chi lo annunziava. Un giornale del settentrione, ad esempio, in forma eletta ha esprP-sso un profondo rammarico sul verdetto a su talune circostanze esteriori, che lo seguirono, ritenendo che fu dato, non in base alla convinzione che i giurali si siano falla sulla colpabililà dei condannati; ma sulla necessità da essi riconosciuta nell' interesse sociale, di colpire la ma/i.a colpendo Palizzolo e C. Noi, pur ammettendo la squisitezza morale che si rivela in quel dubbio tormentoso, crediamo che esso s' inganni: tutto induce a credere che i giurati di Bologna giudicarono in base alla convinzione formatasi sulla colpabilità degli accusati. Le diversità nelle pene, l'assoluzione di alcuni accusati, la differenza nei voti sui singoli quesiti ci confem1ano che i giurati ponderarono seriamente il verdetto; del resto, essi dopo avere seguito con allenzion8, che nessun altro poté prestarvi, erano in condizione di giudicaJe con co~cienza: coscienza che non poteva formarsi il pubblico non bolognese che dei più importanti episodi, delle testimonianze più decisive, dei contrasti più drammatici ebbe scarsa o inesatta o addirittura falsata nozione d11i resoconti parzialissimi in favore del Palizzolo di gran parte dei giornali, che - secondo una formale denunzia mandata alla Presidenza dell'Associazione della stampa italiana in Roma - partivano da un solo corrispondente. L'opinione pubblica siamo sicuri che verrà illuminata dal resoconto stenografko delle arringhe degli avvocati Mardiesano e Altobelii, che sappiamo essere in corso di stampa. Non si errP, però, affermando che a generare la convi11zione dei giurati avrà contribuito mollo la partigianeria in favore di Palizzolo del Presidentedelle Assise e di alcune autori là politiche, il mistero di cui fu sempre circondata la istruzione del processo per l'assassinio del Nolarbarlolo, la reticenza evidente di gran numero di testimoni, gli errori della difesa, e voci coi-se con insistenza di tentativi di corruzione, il contegno stesso e i precedenti di qualche accusato. Quel Fontana processato più volte per omicidio e più volte assolto per insufficienza d' indid tentava cittadini onesti e fieri a condannare anche quando le prove della sua reità non erano lampanti. E la natura e le circostanze del delitto di cui fu vittima il comm. Notarbartolo non consentivano che pr::>ve lampanti ci fossero; il processo di Bologna nacque e rimase perciò come il tipo classico dei processi indiziari con tutti i dubbi, con tutte le incertezze, con tutte le contraddizioni che lo caratterizzano. Noi ci siamo astenuti rigorosamente di aggravare la mano contro il Palizzolo e O.i durante il processo; commetteremmo una viltà se incrudelissimo ora che forse per sempre essi stanno per enlrarenel sepolcl'O dei vivi. Una parola, però, vogliamo dire sul valore sociale della sentenza che condanna Palizzolo, Fontana e Vitale a 30 anni di reclusione. Molti si sono affrettati a vedere nel verdetto il principio della fine della Mafia; e noi pur troppo temiamo che essi siano in errore. Di sicuro se Palizzolo e C.i fossero stati assolti, noi, in Palermo e dintorni - ci sanguina il cuore sc1·ivendolo - avremmo assistito allo spettacolo vergognoso e triste della glorifi<'ai.ione della Mafia e ad una sua spaventevole fioritura di potenza criminosa; ma la Mafia, non essendo una associazione, una vera organizzazione, sibbene un modo di sentire e di giudicare delle popolazioni di buona parte della Sicilia, è evidente <'he non la si può sopprimere sopprimendone i pretesi capi. Per riuscire in questo intento occorre la lunga e concorde azione del governo e dei cittadini migliori dell'Isola. li governo dovrà cessare di essere il grande mafioso, quale è stato sinora - e come abbiamo dimostrato in molti articoli-; i cittadini tutti cui sta a cuore il buon nome e la sicurezza dell'Isola, dovranno assumere altitudine di combattimento ad oltranza contro tutto ciò che ha l'impronta mafiosa, anche quando essa sembra innocua o simpatica. Perciò noi abbiamo appreso con vivo doloro e vorremmo dire con indignazione ciò ch'è avvenuto in Palermo all'indom11ni del verdetto di Bologna. Coloro che hanno visto nel medesimo un affronto alla Sicilia addirittura ci sembrano impazziti, non volendo ritenerli in malafede; e ci siamo meravigliati della serotina esplosione di sentimento regionale in alcuni che accusavano sino a ieri come nemici della patria i federalisti, che ebbero sempre a cuore la difesa degli interessi economici, politici, morali delle singole regioni d'Italia; non piccola e sgradita sorpresa, poi, ci arrecò l'attitudine dell'on. Giuseppe De Stefano, che sostituì il Parzzolo nella rappresentanza del Collegio di Palazzo Reale. Che dire, poi, del Prefetto De Seta, che riceve una Commissione la cui evidentissima funzione era quella di esercitare una mostruosa pressione sulla Corte di Cassazione, che deve decidere sul ricorso avanzato dai condannali? In tutto ciò si può sc•orgere un pervertimento avanzato, quasi insanabile, di una parte delle classi dirigenti di Palermo, contro le quali potranno servire di salutare prole~ta le interpellanze mandale al Parlamento dagli on. Colajanni e di Trabia; e la distanza politica e sociale che c'è enorme tra i due inte1·pellanli costituisce la migliore prova per escludere nella loro azione quaunquo intento o fine politico. In tutta questa artificiosa agitazione, che si é promossa in Palermo noi ve.diamo, pur troppo, un aiuto poderoso per quanlo involontario ed incosciente in pro dello spirito della mà:.fia. La sola cosa corretta invece la scorgiamo nella decisione dei fratelli del Palizzolo, che, convinti della innocenza del loro congiunto si dicono risoluti alla ricerca dei veri colpevoli. Abbiamo ammirato Leopoldo Notabartolo, che consacrò tutto sé stesso alla ricerca degli assassini del padre; ammiriamo i Palizzolo, che si sono voi.ali alla riabilitazione del fratello, che credono ingiustamente condannato. Questi, stando alle gravi e imprudenti dichiarazioni fatte dinanzi ai giurati di Bologna, potrà metterli sulla via. Noi gli auguriamo di gran cuore che questa opera di salvazione riesca completamente e nel più breve tempo possibile. • Giacobini francesi e fox•caioli italiani. - In Francia assistiamo ad uno dei tanti episodi della lotta che vi si combatte dal 1789 in poi tra la libertà e la reazione. La legge ultima, votata a grande maggioranza sollo il ministro vValdeck-Rousseau, che sottopone le Congregazioni religiose alla supremazia dello Stato, specialmente per quanto riguarda le loro scuole ha dato

r RIVISTA POPOLARE DI POLIJYCA, LETTERE E :JCIENZ.c: SOCIA.Ll 395 occasione a questo episodio, avendo volut.o il Ministero Combes attuarla. Due note brillano questa volta: 1° manca il tragico nel conflitto tra le Congregazioni e lo Stato e nello inilieme é stato sostituito da una buona dose di comicità; 2° si sono invertite le parti tra liberali e reazionari; sono questi ultimi, che si levano al grido di: Vioa la liberta I che in bocca loro é una vera profanazione. NAn si ·può che esser lieti della prima nota nello interesse della umanità. Mancano questa volta le battaglie cruenti e i massacri compiuti da plebi infero.:ite o da truppe ubbriacate come se ne videro in Parigi nel Settembre 1793, a Lione o nella Vandea. Al più corrono delle legnate, che lasciano delle contusioni lievi e la poroulede e le aspirazioni mal celate degli orleanisti a rovesciare la repubblica per poter negare al governo francese il diritto della difesa contro i suoi pot,enti, secolari e implacabili nemici. Ma non c'era di meglio per combatterli della legge sulle Congregazioni ? Noi non siamo di q·uesto avviso e siamo anzi convinti, che in quella legge si senta an- - cora un alito di giacobinismo, per quanto mitigato in guisa da non riconoscersi; ma non sono i reazionari italiani, però, che posso110 gridare la croce addosso al governo francese, e protestare contro la Marianna e deridere Mam' zelte Nitouche per le pretese persecuzioni contro le Congregazioni. · I nostri forcaioli mancano della µiù elementare delizia ne prende una buona parte per difendere i reazionari dall'ira dei repubblicani e dei socialisti. Nell'esercito cenza denunziando !''oppressione, la tirannide di Marianna. Farceurs I .ir_ I· -~- ·r' .. - -- j:. I~ - I Invocano essi la libertà ....... essi che sostennero i decreti-leggi del genera le Pelloux ; essi .::heinneggiarono agli scellerati massacri di Milano ; essi, che non s.nno vi vere senza lo Stato di assedio e senza i tribunali mli tari; essi che sequestrano ancora i più innocui articoli dei giornali repubblicani; essi che impianterebbero volentieri e farebbero funzionare, se lo potessero, una foi:ca in ogni città d'Italia se i so,,oersioi italiani. osassero dire, scrive1:e e tentai·e contro la dinastia sabauda la centesima parte di ciò che i Lemaitres, i Coppées i Lerolles e tanti altri orleanisti, bonapartisti e legittimisti, camuffati grottescamente da nazionalisti dicono, scrivono ed osano' contro la repubblica .... A mostrare se la levata di scudi risponde davvero al sentimento della pubblic11 opinion(' basta il fatto caratteristico delle controdimostrazioni spontanee e imponenti che vengono provocate dai tentativi ridicoli di resistenza delle monache, che (invidiose dello eroismo .... erotico delle educande del Petit Due) vorrebbero trasformare i lo1·qmonasteri in tanti Forti Chab,-oi. Monache e frati hanno trovalo sostegno nei numerosi na::ionalisti, che in questa, come in ogni altra occasione, hanno voluto mettere in eviden1.a il loro odio contro la repubblica; ma nulla, però; di serio e di tragico hanno saputo compiere, nonostante la proclamata decisione di tutti i Lemattre e di tutte le baronesse Reille di votarsi al martirio. Questo si riduce alla semplice paura di prendere qualche legnata; niente altro! Nemmeno Via! la loro impudenza sorpassa i limiti della immaginabile e c' é il diritto e il dovere di mettere al- ì'Woti:da urncialc: Il regio maestro di ballo, signor Ame1eo Saltarini è stato nominato capitano ùi cavalleria degli l-ssari, coli' ordine di pre-, la gogna questi sciocchi parare snbito pel prossimo ballo a Corte i sigoo,·i ufficiali. · qualche giornata di prigione ..... Se cosi stanno le cose, se si tratta della esecuzione di una legge votata dal Parlamento, eh' é pure eletto a suffragio universale, con quale coraggio i Congregazionisti si levano al grido di Vit,a la libertà, additando nei re~ubblicani e nei socialisti tanti spietati tiranni? E evidente che i reazionari faziosi non sapendo e non potendo presentarsi nel loro vero carattere hanno assunto il trucco di paladini della lib'3rtà e sopratutto della libertà d'insegnamento. Ha fatto bene il governo della repubblica a dare questo pretesto e questa bandiera alla reazione'? Bisogna non conoscere i pericoli corsi dal regime vigente in Francia; bisogna aver dimenticato la santa allean:;a tra il clericalismo e il militarismo, che spiegò l<Jsue forze ne1!' affa::re DreyJits e i te!'!tativi r!vo!uziona!"i dei Dee malvagi forcaiuoli no- (Liistige Bléitter cli Berlino). strani. Ciò eh' è lecito ai socialisti... purchè settentrionali. - La Pl'opaganda di Napoli non può darsi pace della diffferenza di trattamento (che il Partito socialista italiano usa verso deputati r'socialisLi come De Marinis e verso altri deputati dello tstesso colore come Berenini e Albertelli; rileva pure che mentre per la difesa del!' on. Pavia e per l'assoluzione della Folla, il deputato Federici restiLui il mandato ai suoi elettori, lo stesso Berenini se lo trattenne tranquillamente .. L'occasione alle recriminazioni del giornale socialista napoletano venne offerta dall'intervento degli on. Berenini AlberLelli al banchetLo dato in Salsomaggiore al- !' on. Zanardel!i.

396 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIALI A noi, in verità, il loro delitto non sc,mbra gl'ave; diremmo, anzi, che non ci sembra neppure un peccato veniale quello da loro commesso. Se mai l' on. Berenini avrebbe sulla coscienza qualche peccato di omissione che potrebbe essere giudicato assai più severamente .... Ma torniamo alla indignazione della Propaganda. È il prodotto della inesperienza di quei nostri buoni amici, che la scrivono. Essi ancora non sono riusciti a convincersi che in fatto di tattica politica e di criteri morali per giudicare la condotta degli uomini politici esistono due misure: una serve pei repubblicani e l'altra pei socialisti; l' una si adopera coi meridionali e l' altra coi settentrionali. In questi ultimi tempi abbiamo rilevato alcuni tratti che caratterizzano questa differenza odiosa di trattamento; ma vogliamo ricordarne qualche altro più antico; questo, ad esempio: quando era generale e viva l' indignazione contro i corrotti ed i corruttori della Banca ci fu chi disse a Prampolini che il deputato socialista Maffei vi aveva pescato anche lui per mantenere un giorna?etto zanardelliano, (Il momento) che tira-va a palle infocate contro l' Estrema sinistra in genere e i repubblicani in ispecie. L'ottimo deputato per Reggio-Emilia si strinse nelle spalle e conservò la sua affettuosa amicfzia pel Maffei suo comprovinciale. Apriti cielo se quest'ultimo fosse nato nel Mezzogiorno' La partigianeria regionale, e non dei soli socialisti, assunse negli ultimi tempi proporzioni scandalose. In ' piena Camera si fece rp1alche charioari in onore e gloria degli on. Aliberti e Afan de Rivera; ma nessuno pensò mai a domandare ad alla voce la dimissione di qualche altro deputa-lo la cui posizio!1e legale é peggiore di quella dei primi, ma che ha la ventura di essere nato nel Settentrione e di rappresentarlo. Dei resto sono i socialisti del Mezzogiorno che hanno mostrato di meritare, quasi di desiderare, la differenza di trattamenlo. Non sono essi che !tanno inneggiato Ferri che ha proclamato tntto il Mezzogiorno abitato - salvo piccole oasi - da delinquenti f Se l'atroce calunnia fos~e venuta da un monarchico o da un socialista meridionale essi si sarebbero ribellati, e avrebbero scaricato una se1·qna di male parole o di scomuniche Cùnt,·o· di lui; venne da un socialista settentrionale - che anche a Benevento trattò da camorristi i suoi compagni di fede -, e le mP.nzogne divennero verità scientifiche e le bastonate si tramutarono in zucch'erini. E siccome i meridionali hanno debolissima la memoria e i socia listi adoperano una esegesi molto bislacca nelle interpretazioni del pensiero dei loro compagni, perciò crediamo opportuno riprodurre integralmente da una pubblicazione ufficiale del partito socialista italiano le parole calunniose p1·onunziate dal deputato Ferri contro il Mezzogiorno. Egli dopo essersi intrattenuto a lungo della corÌ'uzione della borghesia e della cattiva amministrazione dei corpi locali meridionali in risposta ali' on. Colajanni che aveva parlato di delinquenza barbara prevalente nel mezzogiorno e di delinquenza civile prevalente nel Settentrione disse: « E quando un osservatore così positivo come Cola- « janni venne a dire che le piaghe ci sono nell' Italia « meridionale, ma ci sono anche nell'Italia seUentriona- « le, io ho il dovere scientifico, morale e politico di « dirgli che sono due cose diverse. Non ci é paragone < fra le condizioni e le piaghe, che si verificano quà e « là in alcune località dell'Italia settentrionale e le « piaghe che si verificano nell'Italia meridionale. Perché « nell'Italia settentrionale ci sono dei delitti, ci sono « delle malversazioni, ci sono dei fraudolenti, ma sono « malattie isolate (Interruzioni); nell"Italia meridionale « Invece la malattia ha forma infettiva, epidemica (Ru- « mori - interruzioni - Denegazioni). Nell'Italia set- « tentrionale sono oasi di eccezione i centri di criminalità; « nell'Italia meridionale sono oasi di eccezione, tanto più « ammirabili per questo, i centri dì onestà.... » E i socialisti meridionali, compresi i cari amici della Propaganda, ha~mo applaudito a queste parole che furono tanti schiaffi assestati ai meridionali senza distinzione di classe e di colore politico ! Perché si lamentano oggi dei due pesi e delle due misure, che si adoperano verso i deputati socialisti del Mezzogiorno e verso quelli del Settentrionef Che diavolo! agli uomini delle razze superiori sono consentiti atti e giudizi che non possono permettersi agli inferiori. ~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~ ~ Gli abbonati _inregola coi pagamenti che· invieranno Lire Una e cent. 20 riceveranno il libro di G. Rensi: Gli " Anciens Regimes ,, e la Democrazia Diretta. AUSTRIA E ITALIA a Carlo R01nussi. A te, che insieme ad Ernesto Teodoro Moneta ed a me, per venti anni combatti nel Secolo la politica estera del nostro paese imperniata nella Triplice alleanza, affrontando le più stolte accuse e l'iugiu;ia che ci si voleva fare chiamandoci Galli Cisalpini, indfrizzo questo articolo invitandoti per un momento a meditare sulla direzione che riuscirebbe più utile alla nazione nostra, alla gente a civiltà latina, a quanti amano il progresso àell'umanità e lo credono meglio favorito dalla pace anziché dagli allori insanguinati raccolti nelle guerre; te lo indirizzo nella speranza di indurti a lavorare colla stessa fede e colla stessa perseveranza con cui combattesti la Triplice, affinché la d~mocrazia italiana in fatto di politica estera miri ad una méta assai diversa ed anzi contraddittoria con quella che ebbe sinora. Invitandoti a questo lavoro non intendo trasformarti in un apologista della Triplice, che aH'Italia fu imposta prevalentemente per· interessi dinastici e con intenzioni di reazione all'interno. Se le sue origini ei suoi fini primitivi non bastassero a farcela avversare, certamente dovremmo combatterla per gli oneri militari ch'essa ci impose e che, affermati una volta dalla sola parte nostra, ora non vengono 1,egati neppure da coloro che sino al momento in cui non ne fu messa in pericolo l'esistenza o la scrupolosa osservanza vennero, scrupolosamente nascosti. Ma se non possiamo mutare il giudizio severo sulle origini e sui danni che arrecò all'Italia la Triplice, peccheremmo di soverchia leggerezza e meriteremmo la taccia affibbiataci ingiustamente di sentimentali- J sti della peggiore specie, se non tenessimo conto dei I mutamenti avvenuti nella situazione europea e nei ~ sentimenti di coloro che rappresentano i massimi, se non esclusivi, fattori della nostra politica estera. Anzitutto il tono della musica triplicista non é più quello di una volta - quello dei tempi di Crispi, ad esempio. Di che é prova lampante il ristabilimento dei buoni rapporti colla Francia, di cui si ebbe un indice eloquente nell'ultimo discorso di Delcassé. Questo avvenimento h

l ► RIVISTA POPOLARE DI POLITJCA, LETTERE ll SCIENZE SOCIJ..Ll 397 '1n signit'lcato più importante e diverso di quello che abbia il viaggio del Re in Russia. Il primo fu lentamente preparato e rispose ai desideri ed ·alle aspirazioni di parte popolare; il secondo, invece, rispose più che alLro a sentimenti personali della Corte, sopraggiunse quasi impi·ovviso, e se fu interpretato benevolmente lo si deve al fatto di essere stato preceduto dall'altro. Il primo attÉmua o eliroina pericoli antichi; il secondo accenna chiaramente a crearne dei nuovi. Ora se la esistenza della Triplice non imped i il riavvicinamento colla Francia e il viaggio in Russia, perché dovremmo essere più esigenti del ministro della repubblica nel giudicisrla, e dovremmo prenderla troppo calda nel combatterla -come una volta ? La parte democratica mostra una discreta dose d'ingnoranza nell'accennare alla lesione dei nostri interessi economici colla esistenza della Triplice. Questa certamente ci nocque nel per·iodo della denuncia del trattato di commercio del 1881, che ci era stato tanto vantaggioso. Ma è giusto ricordi di un passato triste, apparirà chiaro che i nostri pericoli politici maggiori nell'Adriatico e-iverr~nno dalla Germania. Intanto nel momento presente per interessi dinastici la nostra politica estera cerca accentuarsi in senso antiaustriaco. Così l'Italia subì i danni della Triplice per fare il comot!o della dinastia; e potrebbe sentire i danni della lotta contro l'Austria sempre per volere o per interesse della dinastia. Il nuovo indirizzo di politica estera, che pare voglia sostituirsi a quello seguito sinora, ha il suo punto di partenza visibile nel viaggio del Re a Pietroburgo, illustrato e sottolineato dalla stampa che rispecchia i sentimenti della Corte o che vorrebbe ingraziarsela. Si prenda ad esempio :n Mattino di Scarfoglio. In un numero si deplorano le scortesie della Corte di Vienna e si chiama già bisbetica l'Austria. In un altro si inneggia ad una monarchia intraprendente, che non faccia il comodo dei repubblicani ; si parla di una politica estera amata dal Re come ricordare che allora più che la Triplice ci nocquero l'ignoranza delle cose economiche di Crispi e la malignità dei suoi ispiratori. Oggi, poi, le mutate condizioni della produzione in Francia renderebbe ro inutili sotto questo aspetto i rapporti politici più intimi con la vicina repubblica. che non ha più bisogno dei nostri vini e di molti altri nostri prodotti agricoli, e che potrebbe arrecare gravi danni alle nostre industrie se reciprocamente attenuassimo le difese doganali. Per la condanna di Palizzolo cosa sua e che farà ,·inverdire la monarchia. In un terzo articolo si denunziano le colpe dell' Austria, affetta da mania suicida, che la sospinge vers') la Jatatità storica, che sembra connessa al nome di Vittorio Emanuele, 3°. « Per poco che « l'Austria continui « come ha incomin- « ciato, soggiunge < Tartarin, v sarà « in Italia tale un 'e. « splosione del senti- « mento di naziona- « lilà, che nessun « governo avrà la « forza di conteuer- « lo. » Né vale il dire che la Triplice perderà la sua ragione economica se trionferanno illa che campami ! Sonèmm el campanon Che l'é 011 commendator che ,,a lu presou ! E evidente il peric.olo di tale politica di Corte, perché essa si svolgerebbe nel senso della minore gli agrari in Germania e se l'Austria-Ungheria non ci rinnoverà Ja clausola di favore pei nostri vini. li protezionismo tedesco in tutti) modi non supererebbe le asprezze del melinismo francese; e la clausola austriaca, se anche rinnovata tale qual'è, non ci darebbe più - e comincia già a non darceli - i benefizi passati, per le stesse ragioni per cui il vino italiano non potrebbe più penetrare in Francia, nache se venissero abolite le attuali barriere doganali. Più fantastiche poi mi sembrano le speranze alimentate da taluni sulle conseguenze economiche del viaggio di Vittorio Emmanuele II[ in Russia. Chi vivrà, vedrà. E vengo al punto più importante e più scabroso. Indubbiamente delle due nostre alleate imperiali la piÌì invisa al popolo in Italia è l'Austria per ragioni storiche appartenenti ad un passato non remoto, ben conosciute nel Lombardo-Veneto, e per l'attitudine sconveniente dei ~ircoli della Corte Austriaca, che si risente del bigoLtis_mocattolico del vecchio imperatore. Ma a chi guarda all'avvenire con criteri positivi e con animo libero dei (Uomodi Pietra di Milano). resistenia ; la si baserebbe sulle profonde e generali antipatie di cui è circondato il nome austriaco in Italia. Contro questa corrente che si vorrebbe rinvigorire, e che già· e!:,iste, la democrazia ha il dovere di contrapporsi vigorosamente come si contrappose altra volt.a alla corrente gallofoba. Ciò nell'interesse suo e del 'paese. Infatti nello interesse dell'Italia e della democrazia giova la scomparsa dell'Impero austriaco, o è preferibile la sua trasformazione 't La risposta al dilemma va preceduta dall'esame del1' ipotesi apparentemente più favorevole: di una vittoria italiana contro l'Austria. Tale evento ci condurrebbe alla prevalenza del militarismo e alla conseguente rovina economica, e per lunghi anni ali' ecclisse della democrazia che non potrebbe conciliarsi coli' auspicato rinverdimento della monarchia. La villoria del!' llalia collo sfasJ;liamento dell'Impero austriaco sarebbe un minor male, se a noi in tale caso fosse consentito di trarre tutti i vantaggi della vittoria

898 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA, LETTERE E SCIENZE SOCIALI riunendo a noi Trento, Trieste, la Dalmazia; assicurando la nostra influenza benefica sull'Albania. Ma né la Germania, che mira con occhio avido a Trieste, né la Russia colla sua egemonia sugli Slavi, lo consentirebbero: Lo sfasciamento del!' Impero riuscirebbe al trionfo del pangermanismo e del panslavismo, che metterebbero gl.i elementi italiani in uno strettoio, e che si contenderebbero, ai nostri danni, la supremazia del- !' Adriatico. La vit-a e la trasformazione dell'Impero Austridco, perciò, sarebbero nell'interesse della nazione nostra e delìa democrazia. L'Impero austro-ungarico qual' é attualmente già rappresenta un forte cont1·appt>so, un baluardo contro l' invadenza del pangermanismo dal Nord e del panslavismo dal Sud-est, che farebbero ~orrere i maggiori pericoli ali' Italia, se li trovasse potenti alle sue porte. L'Impero Austro-Ungarico trasformato in uno Stato federale e liberale, in cui gli elementi italici trovassero la loro autonomia e la tutela della.loro lingua, della loro civiltà e dei loro interessi economici - come il Canton Ticino l' ha trovata nello Stato federale elvetico - formerebbe un cuscinetto elasticissimo tra l'Italia e i due aggruppamenti etnici colossali che la incalzano al no1·d e al sud-est; diverrebbe una garanzia di pac,3 per l' Europa centrale, e favorirebbe il processo di decom·posizione e d1 ricomposizione dell'Impero ottomano col minimo di violenza e d'ingiustizia. 1G un tale Stato federale agli elementi tedeschi e italiani, sebbene in una diversa misura e in una diversa sfera di azione, verrebbe assicurata una egemonia incivilitrice sugli elementi meno progrediti del1' Impero - rumeni, magiari, slavi, turchi ecc Queste idee vennero svolte in questa rioista un anno fa (30 Agosto 1901) esaminandovisi uno scritto del Profe:;sor Carlo De Stefani della Scuola degli Studi superiori di Firenze ( Albanesi, Slaoi e Italiani nell'Adriatico), che merita di essere meglio conosciuto e più discusso. Si spiega -la sua scarsa fortuna, col fatto che in Italia il concetto di un'alleanza a base d'interessi nazionali coli' Austria desta viva ripugnanza abbastanza giustificata dai ricordi del passato e dall'attitudine presente dei circoli della Corte austriaca; tanto che pare cosa fantastica. Ma é innegabile che colla scomparsa del vecchio Francesco Giuseppe, che non può tardare, tutte le angolosità del presente verrebbero smussate; la visione degli interessi veri del paese e della democrazia - mai o raramente concordi con quelli della dinastia - dovrebbe poi modificare lo stato di animo degli italiani e produrre quello -che al vecchio patriottismo sarebbe sembrata una bestemmia: l'armonia, l'intesa dell'Italia coli' Austria. La. trasformazione in uno stato federale del!' Impero dovrebbe favorire l'evento. La trasformazione é già iniziata, e colla scomparsa di Fran1?-esco Giuseppe non potrà che essere accelerata, e in senso liberale. Lo Stato federale austro-ungarico, giova ripeterlo, riassumendo, sarebbe: u11a diga contro il pangermanismo e il panslavismo; un elemento di pace in Europa; una condizione di giusto equilibrio nell'Adriatico; un eccitante sano e ricostituente verso i frammenti del!' Impero turco che gli stanno a contatto. Ecco una prospettiva degna di•richiamare l'attenzione della democrazia italiana, e degli amici della evoluzione pacifica. DOTT. NAPOLEONE COLAJANNI. Deputati> al Parlamento. A propodseitnlo.uocvroadcel BANSCCOONeTSOETdEiTorklo (Come, perchè e a benefizio di chi fu proclamato il Corso forzoso del 1866). I giornali italiani si occupano del nuovo crak del Banco Sconto e Sete di Torino, i cui amministratori vengono severamente giudicati da quelli della stessa antica capitale del Piemonte, specialmente dalla Stampa e dalla Gazzetta del Popolo. Ogni dettaglio sulle proporzioni e sulle cause di questo nuovo disastro bancario, che non ha l'importama deì precedenti e che rimane di tanto indietro a quello recentissimo inglese in cui gli azionisti hanno perduto circa 600 milioni di lire nostre, sarebbe superfluo, perchè tardivo. Vogliamo, in vece, ricordare una storia, cbe non è troppo remota, ma che pure sembra del tutto dimenticata - tanto dimenticata che la Stampa si sorprende e si addolora che simili fatti possano avvenire in Piemonte! ... (n. 217, 7 Agosto 1902) - per trarne qualche illazione. I crak sono una malattia cronica del Banco Sconto e Sete, ch'è uno dei più antichi istituti d'Italia. Attraversò una grave crisi sotto il governo subalpino; fu di nuovo in crisi nel 1866, e fu salvato con grave danno di tutta la nazione; nuova e più grave crisi nel 1888. Ma la crisi che ebbe un interesse nazionale colossale fu quella del 1866, poichè essa contribuì a fare imporre il Corso forzoso. Questa responsabi.lità vogliamo farla assodare da un documento ufficiale di singolarissima importanza: dalla Relazione della commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso forzoso dei biglietti di Banca, di cui fu relatore il Lampertico, composta dai deputati Seismit Doda, Cordova, Rossi Alessandro, Sella, Lampertico e Lualdi. Come si vede un solo meridionale, il Cordova, ne faceva parte; in quanto al colore politico dei suoi componenti è bene anche avvertire che in grande maggioranza era composta di nioderati eminenti, che non esitarono un istante a giudicare severissimamente i loro correligionari politici; infine notiamo, che mentre alcuni, anche di Estrema sinistra e socialisti, adesso hanno ritenuto insufficiente un anno e mezzo di tempo per la inchiesta ferroviaria proposta dagli on. Pantano e Colajanni,- allora la inchiesta sul Corso forzoso, votata nella tornata del 10 Marzo 1868 completò i suoi lavori, e presentò la sua relazione il 28 Novembre dello stesso anno. Et nunc erudimini ! II Corso forzoso dalla autorevole Commissione fu dichiarato esplicitamente non necessario nè economicamente, nè (ìnanziariamente, nè politicamente. Queste parole sono in corsivo nella Relazione. Si era affermato allora che il Corso forzoso era stato necessario per sai vare l'economia na- .. I J

RIVISTA. POPOLARE DI POL!TlCA. LETI'ERE E SCIENZE SOCIALI 399 zionale. La relazione invece assodò che esso venne decretato per salvare pochissimi istituti di credito: il Credilo Mobiliare di Torino e Firenze, il Banco Sconto e Sete di Torino, la Cassa Generale di Genova, la Cassa di Sconto di 'rorino; tutti legati alla Banca Nazionale da molteplici, comuni interessi. (Relazione, p. 408 e seg.) Come distribuisse i suoi benefizi in Italia la famosa e patriottica Banca Nazionale, si può desumere dai dati che somministl'a la stessa Relazione: <1 Dal 1° Gennaio 1866 a tutto Marzo ·1868. sopra 366 milioni di sconto ed anticipazioni fatti dalla Banca ad Istitnti di credito, ben 303 milioni furono devoluti a quei soli quattro Istituti che per essere salvati invocarono il Corso ror:wso. Questa somma unita ai 20 milioni dati alla Cassa Nazionale di Sconto Toscana rappresentava l'ottanNnove testA ,la rompere Il illh,18tero ~ombe~: L 'l'rouillot, 2. l\laruéjouls, 3. 0011mergue, 4. (;haumé, 5. Valli', G. Pelletan, i, Rouvier, 4. l\lougeot, 9. André, IO. Delcassé, 11. Coml,es. (G,·elot di Parigi). totto per cento dell'intera somma erogata a favore degli Istituti di credito di tutta Italia!• La Banca Nazionale, per ottenere il disastroso ,lecreto che stabiliva il Corso forzoso e che salvava lo Sconto e Sete e gli altri cennati istituti - e che non venne invocato da alcun istituto del Mezzogiorno - ricorse a mezzi disonesti: restrinse dappertutto gli sconti, creando così un'agitazione, che doveva far credere al governo che la crisi economica e finanziaria era generale. La causa recondita dei maneggi criminosi della Banca Nazionale viene ricercata dalla Commissione e così si trova additata dalla Relazione: • La Commissione non può a meno di credere ed asserire che la concentrazione Jel credito del paese e del danaro dello Stato nelle mani di un solo istituto, la quale crea una situazione allo Stato piena di pericoli, nell'ordinario andamento economico ed amministratirn del paese, sia stata in un momento difficile e pieno d'ansietà per la nazione, la precipua ragione, per non dire la sola, per cui, se anche riluttante il ministro, il corso forzoso fu <lecretato • (p. 418). La Bani.:a unica! ecco il grande movente che i;pirò la condotta della Banca Nazionale nel 1866 e suggerì al governo tutti i fav·ori che lo Stato le accordò. L'.l. Banca Unica! ecco il movente che continuò a guidare la Banca Nazionale nella guerra sleale e disastrosa contro la Banca Romana, il Banco di Napoli e il Barico di Sicilia e che condusse ai ,lisastri bancari successivi, alla rovina della st':ls:;a Banca Nazionale e del Banco di ?\apoli. (l) Le potenze e la pace i \ I I r 1-'r:·'t• , . - ... .0~ ,1 ;~ •· !!!.".'..•.. e <· ~ G ~ ,. (" t .. f' ,\ L3 povera pace ... sostenuta dalle baionette, (Amsterdam di Amster,lam) Come la Banca Na1.ionale abusasse dei privilegi ottenuti a danno degli altri Istituti di emissione si può 1·ilevare da questo altro brano della accennata Relazione. « Col decreto 1 maggio 18GG si è dato corso obbligatorio al solo biglietto della Banca Nazio .. nale, cosicchè gli altri Istituti, che sono auto1•izzati all'emissione di titoli fiduciari, sono però tenuti ad ogni richiesta, a convertirli in contante, ovvero in biglietti della Banca Nazionale. Or questo costituiva un vero privilegio della Banca Nazionale, servendosi del quale la .Banca poteva compromettere seriamente gli altri Istituti domandando di continuo ed in gran copia il cambio, in contante od in biglietti suoi, di titoli fiduciari di essi istituti che le pervenissero. » « Con successivo decreto del 2 maggio il pri- (i) Clii desideri maggiori dellagli sulla coucorrenza esiziale che si lecero gl'lstituti di emissione ad iu'ziativa della B•nca Nazionale, legga: Banche e Parlamento dell'on. Cobjanni, (i\li'.ano. Fratelli Treves. 1893).

400 RTV!STA POPOLARE Dl POUT!CA, LE1i'ERE E SCTENZE SOCIALI vilegio fu attenuato, ma rimase sempre. La Banca Nazionale ne abusò e ne nacquero conflitti col Banco di Napoli, che furono dal Consiglio di Stato risoluti in favore del secondo » (p .. 430). Fu grande la tracotanza della Banca razionale dopo che ottenne il co,·so foi·zoso. Eccone un episodio quale lo narra la Commissione a p. 432. « Ci furono contestazioni tra il governo e la Banca sulla responsabilitù dei biglietti falsi che la Banca voleva addossare al Governo. Ora se il fatto che il governo, il quale invece di creare una propria carta-moneta, aveva dato corso obbligatorio ai biglietti della Banca, tuttavia si prese brighe e anticipò spese per la fabbricazione dei biglietti, può dar luogo a censura, certamente non poteva mai aspettarsi questa censura da parte della Banca Nazionale, che ne fu coadiuvata. » Tutta la Relazione è piena dei favori accordati tlallo Stato alla Banca Nazionale; ma questa rispose sempre colla massima ingratitudine e mise il laccio al collo al governo nel 1866 in occasione della rinnovazione dei Buoni del 1èsoro alla vigilia della guerra. « Della cifra di 250 milioni di Baoni del tesoro autorizzata per legge, ve n'era in circolazione per 195, di cui 80 scadevano fra maggio e giugno; e di questi 80 si calcolava con fondamento, od erasi già garantita, la rinnovazione per 35; e dovevasi quindi pensare soltanto agli altri 45; dei quali oltre 30 milioni appartenevano alla Banca Nazionale, che non era disposta e rinnovarli, ad onta della consaetudine amministrativa della Finanza di accettare a decine di mii ioni i di lei biglietti nelle casse dello Stato, e ad onta del suo costante debito verso lo Stato di tanti milioni in conto corrent~! » << Viceversa il Banco di Napoli ne prometteva la rinnovazione per 15 milioni al 3 °10 ; mentre il direttore della Banca Nazionale esagerava in u11 suo rapporto al Ministro lo svilimento dei Buoni stessi, che, asseriva egli, si ricusavano ad un collocamento del 25 per cento. Ciò eh' era falso. » (p. 413 e 414). In ogni occasione, infine, si decantò in certe ~fere il patriottismo della Banca Nazionale vel mutuo di 250 milioni fatto al governo nel 186G. Ma la Commissione osservò che i ~50 1nilioni dati erano carta senza -va1ore; ed il solo -valore ad essa -venne dal dec1·eto che quella carta dichia1.·a-va incon- -verti bile. • • Il mutuo poi non era affatto necessario; tanto che i 250 milioni versati per buona parte in trapassi di conti, Lia! maggio a quasi tutto ottobre 1866, lo Stato non ebbe a valersi se non finito il 1866, e rimasero come un supero nelle Gas.se dello Stato (Relazione p. 414). L'avere dichiarata inconvertibile la carta senza valore della Banca Nazionale le produsse questo benefico effetto: i suoi titoli nominali cli L. 500 arrivarono al corso di L. 2800; nel 1866 dette un dividendo del 14°1 0 ai suoi azionisti, che arrivò al 26,88 °c 0 nel 1868 I I guadagni colossali degli azionisti furono pagati da tutta la nazione, e gli azionisti, in grandissima maggioranza erano settentrionali, e specialmente liguri e piemontesi. La Banca Nazionale si ridusse cli nuovo a mal partito nel 1888-92 a causa delle rovinose e criminose speculazioni cli altri istituti - quasi tutti settentrionali: Sconto e Sete, Tibe1•1:na,Esquilino, ecc. ecc. - e fu salvata di nuovo nel 1893, facendosi valere i suoi titoli patriottici colla legge del 189:3 che riaccordò di nuovo il privilegio della emissione ad un istituto in istato di fallimento - come fu dimostrato da Colajanni, Sonnino. Salandr-a e Maggiorino Ferraris cturante la discussione del Giu~no e Luglio 1893 - trasformandola in Banea d'Italia. Ed ora alle conclusioni istruttive: 1 ° II Banco Sconto e Sete ed altri tre isti tu t.i - tutti settentrionali - provocarono la proclamazione del Corso foi•zoso nel 1866; 2° Il Corso forzoso, oltre i 35 milioni circa all'anno d'interessi che Io Stato paga pel mutuo Magliani, che doveva abolirlo nel 1881, costò molln centinaia di milioni all'economia nazionale; 3° 11 Corso forzoso assicurò lautissimi guadagni agli azionisti della Banca Nazionale, in grandissima maggioranza settentrionali. Ecco una partitina che nel conto del Dare e dell'Avere trn il Nord e il Sud è stata troppo facilmente obbliata. LA RIVISTA LettearaperatalDotAt.NTONIO peri'ASCEdTiMAarRioapisardi Anch'io ho letto l'Asceta di Mario Rapisardi; e pe1ù son rimasto sorpreso nel seguire passo per passo il vostro cenno che, quando !orla, biasima; quanrlo biasima, loda. A. me pare elle dalle vostre parole, scritte con disinvoltura, non derivi. netta e vrecisa la vostra opinione, e che una frase d'orn contra.dica apertamente a una cli appresso; in altri termini, io non ho v0tuto comprendere se la opera recente di Mario Rapisardi abbia meritato la vostra approvazione o il vostro biasimo. Dal cenno emerge luminosamente elle voi. siete un cultore dell'opera rapisardiana e ne avete indagato l'arte recondita. nel le varie attituclin i e figurazioni, sorprendendola nelle penetrazioni ilella natura, nello scatto del ribelle, nella sign ilìcazione della morale positiva; ma dal medesimo cenno emerge che voi stimate più l'uomo che l'artista, più il pensatore che il poeta. Prima cli fare la mia obiezione principale, mi viace qui manifestarvi intero l'animo mio pel modo da voi tenuto nel parlare dell'ultima opera rapisardiana. Voi sapete che Mario Rapisardi è uno di quegli artisti che non si .piegano alle esigenze di un'arte

RTVI.'-TA POPOLAltE DI POLITICA. LETTER~' E SCIENZE SOCIALI 401 passeggera sorta su da menti restauratrici più che novatrici. Egli è creatore; non resuscitatore di forme antiche; e non basta: _non è resuscitatore neppure dei pensieri e delle forme dell'arte pro- . pria antecedente. Di un artista tale, di un pensatore così gagliardo, di un temperamento poetico così spiccato, pochi cenni sintetici non bastano a rilevare la poternm dell'ultima opera così complessa e varia; di cui ogni poemetto meriterebbe uno stullio speciale per l'arte, per lo stile, pel pensiero, pel sentimento, per la figueazione simbolica e per altri elementi contenutivi. Ed ecco alla questione. Siete voi un critico o un sociologo? Giudicate un artista coi crite1·i estetici di Artul'o Grafo coi critel'i sociologici di Napoleone Oolajanni? Città e caml)agna Mamma, perché e· è tani.o puzzo entrando in cittù 1 VhP e' è .•• del letame 1 (/•'/oh di Vienna) Qual'è il primo, l'essenziale, il necessario còmpito vostro nel giudicare, non dico l'AscPla tli Mario Rapisardi, ma le liriche di Giacomo Leopardi, o l'opera di Dante Alighieri? Se ,1oi cominciate col valutare i concetti, sbagliate. Voi, nell'esaminare l'Asceta di Mario Rapisardi, avreste dovuto rigua1·darlo da un solo lato: l'estetico. La valutazione estetica è l'unica che sia permessa al critico vero, anche quando si occupi di arte in una Rivista di scienze sociali. E<l esaminato l'Asceta dal lato estetico, l'avrete trovato eccellente, quando voi pure dichiamte che la forma dei poemetti rispetto a 4uella dell'altre 01,1ererapisardiane è immutata, Dunque~ Vi affermo, pe1· contro, che le forme d'arte (non forma, come voi dite: quando la forma non è qualcosa a solo, che campa in aria, ma si compenetra nel contenuto) dal Rapigardi seguite nella significazione dei vari poemetti, vincono di snellezza, di nettezza, di chiarezza, di limpidità cristallina quasi tutte le precedenti vagheggiate dal Poeta, e da voi tanto ammirate. Nè l'affermazione di tl'ovare perfetta la recente opera, è solo mia, ma è anchè vostra. Solo voi (con una contradizione che è conseguenza necessa1'ia del vostro sistema di farvi guidare a vicen- <la, or del criterio estetico, ora dai vostri criteri morali, un po' l'innalzate, un po' abbassate. ('he importa all'arte se Egli non ripeta ancora l'inno della riscossa, o la grande concezione della natura? Un lavm•o urgente tJerla conforenza dell' Aja Finita la guer1·:i coi hoeri bisognerebbe mettere a catene Chamberlain. (Humoristiche Blii.ttor• di Vienna). Quante volte e in quante splendide fo!'lne diverse non cantò l'uno e l'altra 1 All'arte importa solo s_apere che i pensieri, i sentimenti del poeta ci siano trasfol'mati in fantasma, nel la pienezza e,;tètica loro e nella loro precisa determ inazione. E " l'Asceta ,, come gli altri poemetti vincono, al paragone, alcune alle liriche precedenti pure bellissime, del medesimo Rapisardi. Voi, come critico. avete anche diritto, ma soltanto dopo aver determinata l'ecce] lenza dell'opera <l'arte, di esaminare gli elementi vari che la compongono. Questa determinazione secondaria successiva, vale molto, anzi completamente, a stabilire l'altezza intellettuale e morale del poeta il suo valore l'ispetto agli emuli nell'arte contem-

402 RIVISTA POPOLA.RE DT POLITICA, LE'ITERE E SCIENZE: SOCULI poranea e anche agli emuli dei tempi andati e rli ogni nazione. E pure " l'Asceta ,, scrutato da un sociologoartista, da uno scienziato che abbia il senso dell'arte, come ad esempio, l'Ardigò, il l\forselli, il Colajanni, non dà pel riguardo delle idee scientifiche e sociali quell'impressione quasi negatirn che voi vorreste trovarvi. Qui il Rapisardi non è colui che canta solo gli ideali scientifici e sociali; ma questi ideali mette a contrasto con l'esperienza severa della vita e della sto1·ia, con la propria esperienza e coi prnprii senti menti, facendone scattare concezioni umane e non intellettuali. perciò più vere. più poetiche e più comunicative. Voi vi rammaricate elle Egli non abbia i pensieri, le irruenze, i sentimenti della sua giovinezza. Egli è come lamentarvi [)erchè un pas;;ero solitario non è un usignolo. Lamentatevi non col Rapisardi, ma coll'esperienza della vita, che trasforma, senza alterare la dirittura della coscienza gli atteggiamenti dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti. E vi sbagliate affermando che dall'antitesi fra la tristezza e l'idea fervida (non enf'atica, come voi erroneamente e forse senza valutarne il significato preciso, dite) deriva monotonia di pose';di ritmi ccc. Anzi da questa antitesi., chi noi vede? deriva una nervosa, agitata penetrazione della vita, che non può con uguale intensità derivare tla una rettilinea metodica c::mcezione del mondo e delle co ·c. Queste sono le mie idee, elle mi paiono necessarie per togliere dai lettori del vostro ccn no la duplice impressione, non rispondente al vero, che l'opera ultima bronzea di. Mario Rapisardi ,:;ia e non sia una bel la cosa. Ritenetemi vostro tlev.mo SAN'l'E SO'Pl'I LE To:-i AREl,U COOPERAZION& ~i\" (La Cooperation, ronfcrences de propagandP, pa,, Cliarles Gide. Paris. Larose kue SoufHol. 2~. Le Cooperatù;isme pa,· A. D. Bancel, Pa1·is, Lil,rairic C. Reinwald, Rue des Snints Pères, Hi). La Rivista si é occupala parecchie volle, e di recenti' con uno studio del Nalalelli, della cooperazione; ma di questa istituzione non si dirà mai aL,baslanz11 per metlerne in evidenza l'imporlanza e l'avvenire. Con vin lo di ciò, ai due libri sopra indicati del Gidc e del Bancel, più che un semplice cenno di recensione ilo credulo opportuno di consacrare un articolo. li libro del Gide indica già nel suo titolo che non si può ricercarvi la trattazione sistematica dell'importante argomento. È la riunione di una serie di con ferenzc tenute in varie epoche cd in varie occasioni; alcune di esse, come si vedrà appresso, dal brillante ed oneslo conferenziere oggi non sarebbero ripelule perché superflue. li tilolo di tali conferenze, però, basta a fare comp1'endere specialmente a chi conosce la dollrina e l'ardore di apostolo che l'autore mette nell'occuparsi della cooperazione, che i .punti più importanti della quistionc vi sono ampiamente discussi (1). li libro del Bancel, riccamente illustrato, sebbene di minor mole di quello del Gide, intende svolgere l'argomento in modo più completo ed ordinato; e della cooperazione in modo rapido e chiaro, lrac~ia la sloria da Reberto Owen in poi, ricordando che gli uomini di lui.li i colori e di lutti i partiti hanno porlato il loro contributo sia per illustrarla teoricamente, sia pe1· mctlerla i11 pratica. Alle origini il Gide consacl'a una magnHìca conferenza, rhe é l'ultima, mettendo nella dovuta luce le gra'ndi e spesso dimenticale be11P.me1·enzedi Cliarles Fou· rier. Chiudendola si volge a quest'uomo strano ma geniale per dii-gli in tono lirico: « E lu pure, uomo hiza1'l'O « di cui aubiamo testé studiato la dottrina e la vita, se C< tu hai nvvicinato la ve1·ilà più degli allri e se ti è st11- « to dato, malgrado le tue divagazioni, d'i11lravede1·e << l'avvenire delle nostre società, me1·cé un dono di se- « conda vista quRsi sovrannatuÌ'ale, se tu sei stato non « un semplice visionario, ma un ve99ente nel vec·d,io « senso di questa parola, è percliè i I tuo cuore- e,·a rie- « co d'amore per Lulli, per gli uomini e per le cose, pei « poveri e pei ricclti, pci fanciulli e pei fiori. O tu che « sognavi un mondo in cui « tutti fossero felici, anchP « le bestie» ed anche i ricchi! se io a·vessi dovuto sce- « gliere una iscrizione per la tua tomba, vi avrei folto « incidel'c questa promessa del Vangelo: Ti scll'li molto « perdonato perchè hai molto amato/ ... » · Delinizione " ,-;copo della coope1•:nione. - Si sa che le dilìnizioni non sono facili e lasciano malcontenti anche coloro clie le danno; non lo sono p1·incipalmente per la grande mobilità delle forme e degli scopi delle varie istituzioni. Ciò che è in continua evoluzione non può esse1·e racchiuso nella definizione che se ne dà in un dalo momento del tempo e elle mira ad un determinato scopo. Gide, ad esempio, la sua definizione la circoscrive alla cooperazione di consumo perché la crede la forma più importante. Dice clte essa é un'associazione di operai- desiderosi di lavorare in comune alla loro propria emancipazione ed a IJUella dei loro fralelli e sforzandosi di costituirsi il capitale necessario col processo meno oneroso e più speditivo. Non si nasconde lo stesso Gide che la sua definizione è mancltevole, ed essa invero può criticarsi da tutli i punti di vista. Ma si rimane lieti pel fatto che essa esce fuori dall'orbita delle comuni definizioni degli economisti cd assegna all'istituto due scopi eminentemente sociali; uno immediato e presente: l'educa1.ione ope1·aia pe1· mezzo dell'associazione coope1·ativa; l'altro più remoto: l'emancipazione della classe operaia colla t1·asforlllazione del salariato. 1 Per Banccl il coopemtivismo - titolo del suo libro - è qualche cosa di diverso dalla cooperazione. Questa etimologicamente è il metodo, l'azione per cui si opel'a in una ad ali ri. li cooper·ativismo è il sistema di organizzazione economica il cui scopo è la generalizzazioni' della cooperazione. La cooperazione, osserva Bancel, secondo tale definizione sembrerebbe abbracciare tutte le forme dell'allivi- (I) Ecco i litoti delle undici conferenze: La Cooperation e/. le parti O1w1·ieren France - L' Avenir de tct coopércition. - De tci coopfralion et des tr~fol'mations qu'elle est up• pelile ci ,·ectliser d.ans t'Ol'clre é-conomique. - Le Moiweinent coop(wtlU' en /"rance, - L'idée de solidarité en tant iftW J)l'Ogramme écono111i<11ie. - Les enne11tisde llt coopé· ,·ation. -- Le re,,ne dn Consw,iatew·. - Coopfration et Conciwrencc. -· La Guerre entre comme,•çants et coopératew'S et l'cootulion commerciate. - Les Prophcties de Fourier.

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