Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 20 - 30 aprile 1898

IHVISTA POPOLARE DI 1'O1.ITICALF.TTEREE SCIENZE SOClALI cremento e al pubblico benessere, promotrici a vicenda e concomitanti dell'industria e del commercio nazionali. E invero, « non è sola industria quella che suda intorno alla lana e alla seta, ma anche quella che, dando le apparenze della vita al marmo ed al bronzo, o dando singolar valore ai suoni d'una voce, ci acquista dalle altre genti tributo di dovizie e d'ammirazioce » (V, 327-28). « Le arti belle allettano il privato a produrre e risparmiare, per aver modo di partecipare alla loro amenità. li privato la, ora e risparmia anche per procacciarsi libri e giornali, che poi di vengono ulteriore avviamento alla produzione intellettiva e materiale » (V, 153-54). « Nè l'influenza dell'industria si restringe solo ai materiali interessi. Essa muta in macchine ammira bili i rudi stru· · menti ; combina la chimica, la fisica, il calcolo in sapienti processi, volge in ricchezza ogni scoperta ; diffonde tra le classi mercantili gli studi che nell'antichità rimanevano privilegio di pochi. l vari ingegni si dedicano ai vari rami, altri per discoprire, altri per applicare, altri per propagare le scoperte e le applicazioni : l'attività scientifica si riparte ... Fioriscono le scienze e le lettere; le lingue destano la coscienza della nazionalità» (V, 149, 15 1). Così avviene che la Lombardia, risorta a nuova vita economica per essere staccata dal cadavere della Spagna e costituita a miglior reggimento, vegga sorgere il Parini, il Mas,heroni, l'Arici, l'Appiani accanto al Beccaria, ai Verri, all'Oriani, al Volta (IV, 269). È il concetto del suo maestro il Romagnosi, « il quale nell'arte voleva unificare l'armonica soddisfazione di tutti i bisogni che accompagnano l'umanità ; e quindi all'acquisto dell'utile e alla contemplazione del bello aggitmgeva il morale sviluppo sì dell'individuo, che di tutta la società » (V, 329 ). Ed è il concetto ch'egli incarnò e tradusse in pratica fondando il Politecnico, nel 1873, « data memoranda nella storia della cultura italiana e del giornalismo europeo; poichè il Politecnico, mercè sua, acquistò veramente nominanza europea, come 'il Caffè dei Verri e l'Antologia di Vieusseux » (I). « Fattomi proprietario di un giornale, benchè il nome che altri gli aveva destinato di Poli'ecnico paresse ammonirmi contro ogni seduzione letteraria, tuttavia, forse perchè la natura anco repressa torna alla prova, vi lasciai trapelare tra cosa e cosa qualche spiraglio pure d'altri pensieri. F. tra quella scabra merce di locomotive e gazometri e ponti obliqui mi sfuggì alcuno qua e là di quelli argomenti eziandio che hanno viscere » (I, 3). E fu veramente quel giornale, come egli lo ,·olle, una « raccolta di lavori concisi e densi, ma facili, lucidi, eleganti d'elegauza geometrica » (Scr. II, 301), nuncio e interprete delle arti utili e belle » (Ivi Il, 180), in cui gli studi sul vayore, il gas illuminante, le ftearine, i bachi, i boschi, le terre, i macelli, le costruzioni idrauliche, le perlustrazioni geologiche, la medicina popolare, le banche, il numerario, la beneficenza pubblica, s'alternano con notizie relative « alle belle arti, e alla bellissima di tutte, l'arte della parola » (I vi, loc. cit). Il Cattaneo amava grandemente questa nostra letteratura, « che non ebbe vagiti, che nata adulta e forte intonava tosto la cantica dei tre mondi, e trastullavasi in rima coi piu astrusi ardimenti dell'umano pensiero » (V, 334). E questo suo affetto avrebbe forse dimostrato in lavori di maggior lem, se le circostanze non avesser voluto altrimenti. « lo come scrittore - confessa a Gaetano Stramb:o ( Scr. II, 74) - ho sciupato il mio tempo, lavorando troppo, da giornalista, di roba frusta e roba altrui, invece di far del mio, che la fatica era forse minore, anzi molta roba mia riman dispers1 per entro i pasticci fatti di roba altrui, sicchè non può nemmeno parer mia ». A cgni modo, anche in fatto di letteratura, aveva egli cognizioni ampie e svariate. 1 suoi poeti prediletti erano i due stessi verso i quali il Mazzini, come vedemmo, si sentiva attratto da ammirazione singolare: l'Alighieri e (1) BARBIERA, Op. cit. p. 116. il Foscolo. Il lungo studio sulla Vita di Dante di C Ball?o (I, 97 sgg.) incomincia appunto così: « Perchè mai mentre il cinquecento ebbe quaranta edizioni di Dante, il seicento, tutto addottrinato e fastoso di collegi e di accademie, ne diede tre sole e assai meschine? « Alla qual domanda risponde il critico dimostrando come il culto di Dante sia veramente il segno del livello intellettuale e morale fra noi. Fa osservare come il risveglio ddlo studio e dell'imitazione del poetl verso la metà del secolo scorso (per opera del Varano) segni una splendida fioritura letteraria e scientifica (Beccaria,Verri, Parini, ec. ), e si compiace di constatare come il culto di Dante si scorga vivo ed efficace in tutli i migliori nostri del secolo presente, quali il Monti, il Giordani, il Perticari. Altrove però è costretto a deplorare che « Dante è ancora ignoto al popolo anche in Italia » ( 1). Il profugo agitatore genovese aveva già salutato il poeta di Zante come « il padre degli esuli »: e analoRamente sentenzia il Cattaneo: « Ugo Foscolo diede al1 ltalia una nuova istituzione: l'esilio l » (I, 304). Dello studio amoroso che fece de' suoi scritti è bella prova la dissertazione Ugo Foscolo e Ntalia (I, 275 sgg.), in cui lo difenda dall'accusa lanciatap-li, che fosse fautore del dominio temporale del Pontefice, e ne esamina partitamente gli scritti di verso e di prosa. Notevoli sono specialmente le pagine dedicate all'JacopoOrtis; nel quale. mentre rileva il generoso sentimento patriottico ond' è ripieno, non lascia di deplorare il tono disperato e l' apologia del suicidio. All'amico Cernuschi, che aveva bisogno di migliorare il proprio stile, consigliava di leggere il Foscolo ( Scr. II, 20 ); dal quale forse egli stesso, me• glio che dal Monti - come afferma G. Rosa (2) - aveva specialmente aprresa l'accuratezza della forma. A proposito del Monti, i Nostro ricorda un aneddoto ed esprime un giudizio che noi qui rechiamo senza garantire nè la storicità del primo, nè l'esattezza del secondo. « Byron, vedendo un giorno a tavola Monti parlare di poetica, disse al suo vicino: povero Monti, non sa perchè è poeta! E questo solo mancava a quel beli' ingegno, che vive ormai solo nelle sue traduzioni » (Ivi, II 98). Altrove lo chiama ,, traduttore omerico d'Omero» e « il piu dantesco dei danteschi » (Ivi, I 1, 381). Da buon milanese, era grande estimatore del maggior poeta meneghino. « La satira di Carlo Porta - scrive _ per altezza d'obbietto, intrepidezza d'assalto e vigor di esprtssione, non ha riscontro in altra città » (I, 129). Dal che tuttavia non si deve conchiudere ch'egli fosse entusiasta ddle dottrine romantiche, come vedemmo < ssere stato il Mazzini. Anzi, qui è forse la divergenza piu no· tevole fra questi due, s'intende bene in materia letteraria. Fosse l'amore grande che fin da' banchi della scuola l'aveva acceso per i « prischi sommi »; fosse l'indole panicolare del suo ingegno e delle sue facoltà estetiche, fatto è cl.e il Cattaneo non aderì mai a tutto quel complesso di riforme e d' innovazioni, negative e positive, di cui si componeva il romanticismo: quella srnola che aveva suo centro nella capitale lombarda, come in essa aveva avuto l'inizio, e che sorse, si sviluppò e diede i migliori suoi frutti si può dire sotto gli occhi di lui. La divergenza sopra accennata si appalesa piu perspicuamente nel suo giudizio sull'Alfieri. ch'egli ammirava senza le riserve e le eccezioni che s' è visto esser fatte dallo scrittore genovese. Si legga lo studio comparativo Il 'IJ011 Carlos di Scbiller e il Filippo dell'Aljieri (I 11 sgg. ), una delle migliori cose che la mente geniale e versatile di lui abbia dettate, e in cui egli concede la palma al poeta italiano, in base a considerazioni tutte (1) Scr. II, 382. Dobbiamo qui ripetere ciò che già fuosser vato per il Mazzini: Dante è il poeta che Carlo Cattaneo cita con maggior frequenza: I, 60, 98, 240, 242, 246, 351, 374; 11, 73, 115,284; 111, 9, 207, 215, 256; IV, 63, 1'!2; V, 154; VJ, 110, 120, 127,181,232, 388, 389; Vll, 97, 1q, 253. (2) Loc. cit. p. 19.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==