Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno III - n. 17 - 15 marzo 1898

RIVISTA POPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI s' intende, la relativa assoluzione che a Felice Cavalletti procurò l'edizione del '69 - quel volume certo non è facile pescarlo, perchè o esa11rito fatto esaurire, ma nelle biblioteche, rovistando, con un po' dì pazienza, qualche copia si deve trov3r sicuramente. Forse chi leggerà quel libro potrà trovare in quanto alla forma - a sentire i competenti e anche lo stesso autore - parecchie cose a ridire; ma nelle prefazioni del 1869 e del 1873 si trova pure la risposta preventiva di Felice Cavalletti agli antipatici pedanti. Nella prefazione all'edizione del 1869 si legge: " Negletti e disadorni, come mi vennero la prima volta, e « quali l'animo me li dettò, quasi improvvisati alcuni, li ri- « presento alla luce. Mi ero detto che la veste non era delle « più pulite, che bisognava rimetterli a nuovo, e che v'era « ancora da lavorarci intorno. Ma accintomi, per disgravio di « coscienza all'opera, dovetti smettere, essendomi accorto di " mancare affatto della pazienza e delle doti indispensabili a « questo lavoro di ripulitura ....... E poi mi affretto subito « a farne ammcuda, dichiarando che accetto di subirne le con- « seguenze ....... e su ciò che gli Aristarchi diranno, m' im- « pegno di non trovare a ridire . . . . . . . . . . . . . . . ... « Se ho peccato in faccia al Fisco non ho peccato in faccia « alla storia ». E nella prefazione del 187 3 : « Molto avrei potuto mutare per renderle accette ali' Arte. « A che prò? « Col Fisco, tanto e tanto, per quanto cercassi di farmelo « amico, non ci siamo trovati mai troppo d'accordo, quanto « all'Arte .... dicono che in giornata la non ami che il vero; « non se n'avrà a male se ho strappato qualche brandello alla « sua veste per non mandar nuda del tutto la verità ..... " E così povere e neglette n'andrete infra le genti, canzoni « della mia giovinezza, figlie predilette della mia giovinezza. « Alta la fronte però: nè vi prenda vergogna della veste in- « colta, ingioconda, e non dei ruvidi ricordi; e non di acco- " glienze sdegnose; alta la fronte, però che voi nasceste a com- " battere non a rallegrare incliti ozi, nè a dare spettacoli di « plastiche eleganze alle noie sapienti delle scuole ...... . « Nè d'altronde allo scrittore militante, all'artista che serve, « lottando, un' idea, dispero che qualcosa si voglia concedere, « più che al tranquillo poeta spaziante a cavallo delle nuvole « nei limpidi cieli dell'Arte per l'Arte. E questo q11alcosadi « più, senza aspettare il pecmesso (sotto la mia responsabilid, « già s'intende) qualche volta nei miei versi me lo son preso « pensando che la poesia popolare, la poesia civile, abbia ob- « blighi che la poesia aulica, accademica non ha; e che tra « le due forme, di cui l'una appaia più elegante e tornita, « l'altra esprima e renda più intera, piti netta,più efficacel'idea, « ella dovrebbe lasciare agli accademici la prima, e scegliere « quella che si imprime più addentro nella mente e vada più « dritto al cuore ddle moltitudini "· E terminava : " Repubblicano del verso mi son fatta un'arma, e servendo « alla verità, ho inteso servire in pari tempo alla mia f~de. « Lascio ad altre Muse argomenti più classici e sereni ; can- " tori deÙe delizie presenti non mancano, e gli armenti di « Arcadia son già al completo "· . * * Ma se le poesie entusiasmarono i repubblicani e tutti gli uomini di coscienza e di cuore, non furono dello stesso parere i magistrati, i militari, i muletti della stampa destra d'allora, e, naturalmente, per Cavallotti e pel suo inseparabile Bizzoni fu una grandine continua di processi e duelli, notevole, tra gli ultimi, quello che ebbero quando sfidarono t11tti gli ufficiali del Reggimento Ussari di Piacenza che avevano insultato Giuseppe Garibaldi. La morte del fratello Giuseppe caduto alla battaglia di Digione il 21 gennaio 1871, fu, per Cavalletti che lo adorava. uno dei più grandi dolori della vita e « Rotta e fioca la nota del canto « Sulle memori carte posò ». Ma fu un attimo, perchè subito si rialzava più forte di prima, e il Teatro doventava un suo nuovo campo di battaglia. Il primo trionfo fu al « Re Vecchio » di Milano coi Pezzenti, Seguì l'anno dopo il Guido che furoreggiò a Ferrara; poi l'Agnese che fu rappresentata per la prima volta a Rema. Il 22 maggio 1873 egli scriveva l'Ode a Manzoni, ed il 25 successivo egli pubblicava la seconda edizione delle sue Poesie che si tradusse in un ordine di sequestro pei libri ed in un mandato di cattura per lui. Cavalletti, però, s'era ormai avvezzato a giuocare a mosca ceca colla Pulizia, e, fingendosi in !svizzera, se n'andò invece in una soffitta di una villetta a Meina, dove in quarantacinque giorni scrisse l' .Alcibiade, del quale la settimana innaqzi aveva disegnato lo schema, dopo parecchi mesi di studio. L'Alcibiade, malgrado il parere dei critici e degli stessi artisti che dovevano recitarlo, ebbe un clamorosissimo successo, - il 31 gennaio 1874, al Manzoni aveva 30 chiamate ! - e, ministro Ruggero Bonghi, non certo tenero per Cavalletti, la Commissione Governativa per gli scritti drammatici gli assegnò il primo premio di L. 1000. Fu un inferno! Tutti i critici- dei moderati arrabbiati• -da Yorick (l'avv. Pietro Ferrigni) di Firenze, a Torelli Violler di Milano, si dettero la mano, e apersero una vera crociata contro Felice Cavalletti che, in un brillantissimo e succosissimo opuscolo intitolato Alcibiade, la Critica ed il Secolodi Pericle, tenne testa a tutti, e li costrinse, letteralmente, al silenzio. I Messeni, la Sposa di :Ji(mecle, I' Aulu/aria, la Figlia di Jefte, il Canticodei Cantici, la Luna di miele, la Cura Radicale - tuttora in repertorio e sempre con successo - il Nicarete (che doveva prossimamente rimettere in scena Ettore Novelli), le Rose Bia11c/Je, l' Agatode111011, il PoveroPiero, le Lettered'amore - meno fortunati, ma sempre applauditi - non solo tutti insieme rappresentarono la sua opera drammatica, ma anche la sorgente si può dire unica - perchè le Operecomplete in questo paese di semi-analfabeti gli resero sempre ben poco! - per cui egli potè morir, dopo quasi quarant'anni di lavoro, proprietario d'una piccola villetta a Dagnente, l'unica cosa positiva che lascia al suo Beppino, - e di un reddito per diritti d'autore di appena 6 lire al giorno 1 La letteratura, il teatro erano per Felice Cavallotti un riposo, uno svago, un conforto, come le carezze della vecchia madre per la quale, fino a pochi anni or sono, quando pur troppo gli morì, ebbe, slanci, scrive Romussi, « quasi infantili e commoventi di tenerezza » ; ma la politica sopratutto era quella che l'aveva preso pei capelli. Morto all'improvviso, ai primi dell'agosto 1873, Antonio Billia, l'eloquente e caustico oratore dell'Estrema Sinistra, gli elettori del collegio di Corteolona pensarono subito a Felice Cavalloni. « Gli elettori di Corteolona avranno un deputato muto » disse un giornale milanese appena dette la notizia, ma, poeti si nasce oratori si diventa, Cavalletti che si dipingeva addirittura balbuziente, e al quale si consigliavano « i sassolini di Demostene e le urla sulla riva del sonante mare » diventò invece uno dei più grandi oratori della Camera, che, con un filo di voce, fustigando a destra e sinistra, riuscisse a tenere incatenati, a bocca aperta, ad ascoltarlo, persino i suoi più feroci ed implacabili avversari. Appena fu posta la sua caudidatura tutti si domandarono se egli avrebbe o no giurato, se avrebbe imitato Saffi prima della vendita di Nizza, o Carlo Cattaneo quando s'arrestò sulla soglia di Palazzo Vecchio.

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