436 RIVISTA.POPOLA.REDI POLITICA.LETTERE E SCIENZESOCIALI poichè i passi giganteschi che, riguardo alla tecnica egli mostrò di aver fatto nelle Poesie religiose; forse i non sarebbero stati possibili, se non si fosse lungamente esercitato nella palestra d'Orazio. E s' egli, avvezzo ad esaltarsi nell'entusiasmo puro di Lucrezio e a riposar l'animo nelle leggiadre fantasie di Catullo, dovette fremere di sdegno per la ipocrisia d'Orazio, pur non potè esimersi dall'ammirare quello splendore di forma poetica, ch'egli cercò di far riflettere nel patrio idioma, E che in tale opera sia stupendamente riuscito, lo diranno forse i nostri figli, poichè, da circa un ventennio, la critica italiana nel giudicare il Rapisardi fece divorzio con la propria coscienza. Lo stile sobrio, conciso, matematico del Poeta latino, le tinte fuse mirabilmente, i chiaroscuri mantenuti con arte, la dizione politica e armonica, il sentimento che riscalda or leggermente ora esage-· ratamente lo stile, senza far perdere ad esso la serenità e l'eleganza, si riscontrano fedelmente nella traduzione come nell'originale. E così il pensiero, come il periodo che lo rinchiude, non è mai mutilato o trasformato, ma riprodotto nella sua sintesi meravigliosa con chia1•ezza e convenevo· lezza. Ad una strofa d'Orazio, cesellata non sempre come un medaglione anzi qualche volta maneriata, corrisponde a cappello una strofa del Rapisardi; e se togli qualche spostamento del singolare in plurale, o viceversa, qualche cangiamento di costrutto, qualche trasposizione di parole, inevitabili nel t>assaggio da una lingua all'altra, tu non trovi da censurar nulla. Tanto il lungo periodare quanto il sentenziare breve, tanto il facile e finto esaltarsi per gli déi e per l'urbs qunto l'intiepidirsi scherzosamente tra le braccia di Lidia, son resi nella versione così fedelmente che tu, leggendola riconosci subito lo stile d'Orazio. E se lo splendore della forma ti sembra qualche volta offuscato dall'artificio che lascia trasparire gli sforzi durati dal Traduttore per non menomare il pensiero, ricordati che anche nell'originale sono qua e là. visibili i lenocini dell'arte. Peraltro quando si pensi che una vera traduzione delle Odi di Orazio era ancora un sogno per gl' italiani, e si confronti questa del Rapisardi con quella del Gargallo, che finora rimaneva la più completa fra le tante che si son tentate, n.:m si può non giudicarla stupenda sotto tutti i riguardi. Io non sono un latinista nè, molto meno, un pedante, ma ho avuto la pazienza di confrontare ped;rntescamente le due versioni con l'originale, e son venuto in questa mia particolare conclusione. Nella traduzione del Gargallo tu trovi una certa fedeltà nel!' interpretazione dei pensieri, e tali pensieri trovi espressi in una forma non sempre pedestre, ma non trovi Orazio; talchè se, leggendola, allontani per un istante il contenuto storico, puoi crederla benissimo d'un altro poeta latino o greco o italiano. In questa del Rapisardi al!' incontro, oltre a tutti i pregi già accennati, si riscontra, come si è detto, l'imitazione schietta dello stile d'Orazio. ,. I * * ~. Orazio nelle Odi predilesse specialmente i Jogaedi, nell'aggruppamento dei quali si mostrò sovente originale; e sempre esperto nel maneggio delle forme metriche adoperò il verso in perfetta armonia col contenuto. Il merito maggiore del Rapisardi è l'aver reso la maggior parte di tali logaedi in altrettali versi italiani, che obbedendo alle leggi della nostra metrica, non si scostano punto- dall'armonia dei versi latini. Ond' è che anche nella versione tu trovi quella rispondenza armonica tra il ritmo e il contenuto, che nell'originale costituisce il principale pregio dell'arte oraziana. Nella traduzione del Marchese Gargallo invece, non soltanto dei metri latini non rimane la più lontana armonia, ma il co1•rispondente verso italiano non si addice quasi mai al contenuto. Onde Orazio ti sembra ora il dolce ·Metastasio che si delizia col settenario cantabile, ora il pomposo Filicaja che si avvolge nell'ampia pieghe della canzone petrarchesca e ti ammonisce con retorica e magniloquenza. Ma il Rapisardi, che odia i ricostruttori della metrica fossile se da un canto non potè esimersi dal tradurre Orazio in strofe barbare, d'altro canto nel maneggio di tali strofe mostra di possedere un gusto assai fine ed una perizia impareggiabile. I sistemi più frequenti adoperati da Orazio nei Carmina sono : l'alcaico in 33 odi, l'asclepiadeo primo, secondo e terzo in 24, il saffico minore in 25 e nel Carme secolare : orbene, confrontateli con quelli della versione, e sentirete qual riscontro d'armonia fra gli uni e gli altri. Si osservi inoltre quali difficoltà dovette superare il Traduttore per rendere armonioso il sistema asclepiadeo quarto adoperato da Orazio in sette canti. La poesia italiana rifugge da simili incesti metrici, e il Rapisardi dovette rabbrividire nel consacrare nel1' italo idioma una strofa come questa: (lib. I ode xxi) « Diana, o tenere donzelle, diteci, L'intonso Cintro diteci, o giovani, E Latona del sommo Giove diletta all'animo :>. L'asclepiadeo minore, il ferecràzio, il gliconeo, accoppiati in una sola strofa, potevan benissimo dilettare l'orecchio dei nostri padri latini, ma a noi, dopo circa 2000 anni di selezione naturale, avvezzi ormai all'armonia della nostra metrica, quei due settenarj piano e sdrucciolo, dopo i due quinarj sdruccioli, fanno venire una sincope. Come pure nel sistema Asclepiadeo quinto il Rapisardi dovette· durar fatica per tradurre l'asclepiadeo maggiore in un verso solo. Infatti egli se la cava. felicemente volgendolo in un doppio quinario sdrucciolo, intramezzato da un quinario tronco, che fa le veci del coriambo, che l' asclepiado maggiore vanta in più sul minore. Ma. non tanto felicemente se la caveranno i lettori, che non avranno letto prima la nota indispensabile apposta dal Nostro. l\fa Orazio non si traduce in settenarj e ottonarj, come fece il Marchese Garga.llo; il quale ebbe perfi-
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