J RIVISTPAOPOLARE DI POLITICA LETTER~: E SCIENZE SOCIALI Direttore: Dr NAPOLEONE COLAJANNI DEPUTATO AL PARLAMENTO ITALIA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Anno Il. N. 4. Abbonamentopostale Roma30 Agosto1896 Sommario. A. FRATTI - L'Estrema al governo. M. RAPISARDI- Evoluzione e pessimismo, (Lettera al 'Professore Errico Morsellt). A. HAMON - Intorno allo spirito militare. C. CASTELLI - La Statistica e l'Agricoltura. Ing. I. GASPARETTI- L'Inchiesta ferroviaria. MAKAR - Dalla Russia, (nostra corrispondet1'.{_a). JACQUES MESNIL - Il socialismo non è semplice quistione di stomaco. B. SALEMI - « L'Ave » (ro111a11dz.io .A. Albertaz.z.i). Sperimentalismo Sociale - L'Ist1uz.io11peopolare in Germania. Notizie Varie - Scuole di Massagio - La guerra a Cuba - Abiti di carta - La Criminalità femminile i11Russia - Spediz.io11geeografica - La Nitraii11a - L' it1tel/ige11z.a àel/e formhhe - Arriccbimento del petrolio. Recensioni - G. Biraghi: Socialismo - Dr. G. Lombardi: La base del/'evoluz.io11fielosofica e dinamismo eco110111hopsichico - Dr. L. Briz i: Il lavoro dei f a11ciulli. Gliabbonatidell'antica"Rivista Popolare.. e del" Rinnovamento.. i qualinonabbianoancorapagato sonopregati di volerlofarepresto. ~'-../~'---"'"'-../'J~-.......,,,'J'J '-/ '-../~'-../~ Rimando al fascicolo venturo la mia risposta ai glossatori equi e malevoli del mio articolo L 'Estrema Sinistra, per dare il posto all'egregio mio amico e collaboratore Antonio Fratti. N. C. L'ESTREMA AL GOVERNO. Esitai a gittare sulla carta alcune osservazioni intorno all'articolo su L"Estrema Sinistra scritto dal direttore· di questa Rivista e dedicato all'onorevole Cavallotti, perchè (mentre tentavo di raccogliere gli sparsi ricordi e le idee) nel numero che susseguì a quello contenente l'articolo lessi una dichiarazione del direttore stesso che spiegava più nettamente il proprio pensiero. L'avvento della Estrema al potere veniva quindi giudicato come un'ipotesi ... « al di fuori di ogni reale possibilità ». La dichiarazione, probabilmente, non sarà piaciuta all'on. Cavallotti. L'articolo certamente non piacque -a molti .che pur non essendo bigotti della repubblica temono che per mezzo di sottili ragionamenti e di speranze vaghe e strane possa accrescersi il numero degli ultimi idolatri della monarchia o quello degli eterni illusi. Dunque... nessuna possibilità di salire. E allora mi domando: qual' è stata la ragione che mosse lo scrittore dell'articolo? forse la sola compiacenza, la soddisfazione, l'intimo godimento di una disquisizione politica o sociologica come si fa nelle accademie? L'Estrema, certamente, ha meriti speciali. Checchè si dica, in questo brutto periodo di corruzione politica è confortevole vedere una falange di uomini immuni da colpe ed è bello considerare_ che di questa falange fanno parte uomini di senno, di valore, di scienza. Ma · non degli uomini, singolarmente o collettivamente presi, si dovrebbe parlare, bensì dell' indirizzo loro, del metodo, della tattica parlamentare, e giudicare se coi nuovi tempi, all'appressarsi di nuove idee, dinanzi ai crescenti bisogni, ai voti, ai lamenti, alle proteste aperte o silenziose dell'universale, debba quella falange procedere per le sole vie parlamentari, alla conquista di un portafogli per alcuni de' migliori, e, mentre i tempi mutati e le nuove continue delusioni consigliano audacia e fierezza di atteggiamento, starsene tranquilla e calcolar le probabilità di salire, se non oggi, domani. In quell'articolo si parla della cresciuta estimazione della Estrema e questa si ritiene matura per il governo. Il pubblico certamente ha ammirato spesso le fiere lotte date dall'Estrema, specialmente da taluno de'. suoi condottieri, e ha di gran cuore applaudito. Ma si sono applauditi i duellatori formidabili, sia nella questione morale come in quella delle banche, non gli uomini di stato in germe. Parlo sempre dal punto di vista della democrazia militante. Credo fermissimamente che tutti i dubbi i quali da vario tempo sorgono intorno all'Estrema le diminuiscono in certa guisa il credito politico che dovrebbe serbare intatto e la immergono come in densa nebbia. Nell'articolo si dice che il distacco dei deputati repubblicani e socialisti non le ha tolto nulla; a mio avviso le ha tolto molto. Quel distacco è stato interpretato da molti come un giudizio, non certamente favorevole all'Estrema, dato dai più arditi fra i combattenti tra le file popolari e nemici di ogni equivoco. Ma lo scrittore dell'articolo col suo chiaro ingegno scusa, difende, esalta l'Estrema: ne aumenta il numero, ne amplifica i meriti, ne eleva gli intenti; e quel che è debolezza in lei diventa per lui energia e potenza vitale: anche ciò che è vago e indeterminato assume forme precise e forza : la indisciplina stessa diventa una virtù ; non le rim-
62 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI provera egli la trascuranza dello studio dei problemi sociali, non le incertezze politiche, non la scarsa fiducia nell'organizzazione delle forze popolari: tutto che venga da lei è buono e ammirevoleI membri dell'Estrema hanno in cuor loro la repubblica, egli dice, e solo è questione di tempo e di modi. E allora perchè molti di loro non ne discutono nemmeno ? perchè il terreno non ne preparano? perchè questo silenzio e questo tentennare, in tempi nei quali l'esempio audace d'ogni iniziativa dovrebbe venir da chi ha il favore e _l'appoggio del popolo? e perchè se hanno in cuore la repubblica si pensa di nuovo a democratizzare la monarchia, esumando il programma Bertani, senza pensare che si monarchizzerebbe la democrazia? Noµ so se il ragionamento mio zoppichi o no: se la _.de111ocrazipaarlamentare giungesse a dileguare i sos.p.etti della ·monarchia e ascendesse al potere, i sospetti· pullulerebbero fra il popolo. $e fosse chiamata alla reggia, è ben naturale clte Ìa reggia avrebbe dovuto dire; essa è mia, la vecchia ribelle. Domai già qualcuno de' suoi in modo singolare; ora li domo collettivamente. Nell'articolo si avverte che la Estrema salirebbe al potere col bagaglio suo intatto. È però difficile precisare esattamente cosa esso conterrebbe: conterrebbe forse soltanto quello che la monarchia vorrebbe contenesse per poterle concedere soltanto i portafogli e non anche lo scettro. Tutto quello che per ventura vi fosse di son-ersivo rimarrebbe in archivio. Non sarebbe una defezione, si dice; ma allora che sarebbe? Quando i principali concetti direttiYi della politica esterna ed interna, quando le ampie riforme sociali non potessero liberamente scendere nel campo della realtà, a che il salire? E si può immaginare che si concedano agli avversari le chiavi di casa?_ Si può pensare che la monarchia si affidi, come ingenua fanciulla innamorata, a chi ha la la repubblica in cuore? Ecco che anch' io finisco come il mio amico on. Colajanni a ragionar di favole e a convenire con lui ·che quell'avvento è fuori d'ogni possibilità. -Ma se per accidente, per caso fortuito, per bizzarria degli umani eventi, per dannata ipotesi, fosse possibile ? Logicamente l' illustre scrittore esclamerebbe: - eccoci tutti pronti a dividerci i portafogli !Ma s'egli è logico, lo siamo noi pure dal nostro punto cli vista, perocchè mai non vorre111mo che la nostra condotta dipendesse dall'altrui volontà e che mutasse secondo gli umori e le illusioni del principe. \'el giorno che questi credesse di aver con sè la democrazia, essa dovrebbe al contrario sdegnosa riprendere le antiche audacie e combattere più di prima. L'esempio dell'opposizione inglese non si adatta alle nostre tradizioni, ai nostri esempi i, ai nostri costumi. Perchè l'on. amico non ha fatto l'ipotesi di un ministero Liebknecht-Bebel-Singer in Germania ? Quell · ipotesi suonerebbe ingiuria al partito della democrazia sociale tedesca. Egli invece afferma che non sarebbe biasimevole l'atto dell'assunzione dell' Est1·enia al potere. Ma, lo ripeto ancora una volta, egli lo ritiene impossibile. E in tal caso a che pensarci? Non è in migliore e piì1 degna posizione chi pensa a tutt'altro? Non è più decoroso e più vantaggioso combattere addirittura quello che è governo di classe e di partito ? E poi come potere scinder la politica dinastica dalla nazionale, mentre questa si spesse volte nel principato J}On è soltanto unita ma sottomessa a quella? Credo ogni giorno sempre più che l' Est1·ema abbia solamente ragion d'essere se ravvivi sè medesima e riprenda il posto del combattimento. Il solo sospetto ch'ella miri al potere la dimezza e la scredita. Così le toglie valore politico e morale la sua continua esitanza e l'amoreggiamento di alcuno dei suoi col ministero conservatore. Pochi o molti che i suoi componenti siano, debbono esser davvero oppositori indipendenti, tenaci, forti, chiunque sia al Ministero. Debbono guardare, ben più che alla Camera , al paese. Debbono poggiare ben pii1 verso gli estremissimi della Montagna, che verso gli eterni zanardelliani o giolittiani che non si sa cosa vogliano. Non è una pura parte negativa quella di araldi di una democrazia che sorge e di combattenti non solo contro ad un uomo e ad un partito. Avete la fede e la forza di riassumere le aspirazioni popolari tutte contro chi le travisa e le tradisce, avete la energia clislacciarvi per sempre dai vincoli del sistema? Se sì, sarà qualche cosa di veramente positiYO quel che avrete fatto in questi pornri tempi.Ci traemmo ieri dal governo della violenza e passeremo oggi fra le braccia della reazione che, onesta per quanto si voglia, come dicesi ogni giOl'UO, lentamente e accortamente si avanza? Chi davvero ha in cuore la repubblica dovrebbe conoscere quale è la retta via : dovrebbe aver sempre piì1fiera la parola, parlar molto meno di parziali riforme e assai più di rinnovamento generale, pensare molto meno ai sogni di Ministeri democratici e assai pii1 alle utopie che domani raggieranno al sole - rogliamo bene sperarlo - fra gli evviva cli un popolo che già eia tempo pensa alle sue nozze con la libertà. A. FRATTI. Durante le vacanze parlamentari spedire Vaglia o CartolinaVaglia all'on. Dr. Napoleone Colajanni - Castrogiovanm.
RYVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 63 EVOLUZIONE E PESSIMISMO. Lettera al Prof. Errico i\Iorselli. Illustre signor professore, Ciò eh' ella scrisse in un fascicolo della sua non dimenticabile « Rivista di filosofia scientifica» che io leggo ora dopo tanto tempo, intorno al " Pes- . simismo ed Evoluzione,, del Trezza, e l'accenno benevolo ch'ella fa alla graduale emancipazione del mio spirito e alle opere mie, che questa emancipazione riflettono, mi porge la grata opportunità · di manifestarle come io l'intenda circa ali' importante questione così splendidamente agitata e a modo suo risoluta dal pensatore veronese: non per la speranza di recare in essa alcun lume, ma per la necessità, in che le sue parole mi han messo, di chiarire l'intento dei miei ultimi lavori, delle " Poesie religiose ,, in ispecie, da lei benignamente citate, come quelle che segnano la mia redenzione dal pessirnismo e l'acquetamento dell'animo mio nella contemplazione e nella rappresentazione se1'ena del vero. Ecco: se per pessimismo ella intende quello sistematico dello Schopenhauer, e quello sentimentale del Leopardi, io non solo me ne sono liberato, ma non saprei dire in coscienza se l'abbia mai pienamente sentito e in quale delle mie opere abbia esso lasciato una traccia. Secondo me, il pessimismo, di cui oggi si parla tanto, come conseguenza necessaria delle nuove dottrine, non è da confondere con quello del filosofo tedesco; il quale guidato in ogni sua -speculazione dal preconcetto di accordare tutte le dissonanze della natura, della storia e della coscienza in un sistema, riuscì a darci una costruzione (e chi può negarlo?) ingegnosa e geniale in molti particolari, ma assolutamente metafisica nel1' insieme ed c.ssurda. Quella famosa volontà necessaria, che finisce con l'affermazione della propria libertà nell'annientamento di sè stessa, e la conseguente glorificazione dell'ascetismo, considerato come la più alta espressione della saggezza, della perfezione e quasi della santità vera dello spirito umano, tolgono alla dottrina schopenhaueriana il diritto di concorrere scientificamente alla soluzione dei grandi problemi che travagliano le menti contemporanee. Il pessimismo che sgorgherebbe dalle teorie nuove non .ha nulla di comune con esso. Anche accorciando alla felice ipotesi darwiniana il valore d'una legge universale, noi non possiamo certamente risolvere con essa il problema delle origini, nè spiegarci in modo positivo e sodisfacente il dolore e la morte, duplice sfinge, che dilania fra le tenebre il povero spirito umano. Pretendere coi positivisti (') Il G1a11notta ripublica in questi giorni il Giobbe e lo Poesie reliyiose nel voi. I V delle Opere del Rapi•ardi. N. d. R. che la ragione, riconosciuta la propria impotenza, rinunzi per sempre alla ricerca dei principj dell'essere; asserire, che il regno del mistero, o come dicono, dell'Inconoscibile, sia per rimaner sempre inconcusso ed intatto agli assalti audaci del genio e alla paziente indagine scientifica, è una contradizione patente a quella stessa legge d'evoluzione, ond'essi s' impromettono tanti miracoli. Ma pur concedendo che il dominio dell'Ignoto sia come il territorio delle pelli rosse, per valermi della similitudine del Fauerbach : si vada, cioè, restringendo sempre più agli avanzamenti continui della civiltà; e che si possa un giorno scoprire una legge che ci spieghi i primordj dell'universo, chi può lusingarsi, che una verità di tal fatta sia per liberare gli spiriti dalla tristezza, onde li fascia il tetro spettacolo del cotidiano dissolvimento di tutte le forme? Forse il dire che l'individuo soggiace alla morte, ma la specie se ne libera e si perpetua, perchè della conservazione e della propagazione della specie ha cura precipua, anzi unica, la natura, basta a consolarci del dissolvimento di tutto ciò a cui presentemente è legata la nostra esistenza ? Bella consolazione davvero ! O che cosa è là specie, di grazia ? Esiste essa forse altrove che Iiel cervello dei filosofi classificatori? Nella natura io non vedo altro che individui. Or finchè la vita è una individuazione, il pensiero una funzione, ia coscienza una stratificazione; finchè la morte è 'il disgregamento di quelle parti, onde il pensiero, la coscienza e la vita ebbero principio e nutrimento, e da cui trassero la mutua forza e l'armonia indispensabile a ogni lor menoma operazione, l' idea di un tale disgregamento, fosse pure scompagnato da qualsiasi dolore fisico, getterà sempre un profondo sgomento nelle menti più nobili e generose. E questo sgomento pullula spontaneo dalla concezione meccanica dell'universo, dalla conoscenza, cioè, che _lavita non è altro che un gioco dell'essere nel1' infinito. Certo un sì fatto sentimento non dà campo a fantasmagorie ed allucinazioni religiose, a miti oltramondani, ad abdicazioni vigliacche; esso può anzi esaltare in sè stessa la mente del pensatore, generare quasi un'ebbrezza dell'anima, dando luogo a pensieri éd immagini sÙblimi, quali han saputo darceli qualche volta i filosofi geniàli come lo Schopenhauer e i poeti divini come lo Shellej, ma chi può negare, che codesto sentimento indeterminato versi su l'anime più libere un'ombra di profonda malinconia e avvolga come in un labirinto inestricabile i cuori più forti e le menti più sagge ? Come sperare che se ne liberi il pensiero moderno, se non ne andarono esenti neppure i Greci, che furono di noi più gagliardi e più sani, e meno di noi penetrarono nelle cose? Nè giova
64 RIVISTA POPOLARE DI PJLITICA. LETTERE E scrnNZE SOCIALI dire, che la legge dell'evoluzione. presentandoci l'uomo in una perpetua ascensione da carne a spi• rito e armonizzando sempre meglio i moti del pensiero con quelli del mondo universo, ci redimerà finalmente dalla tristezza, che nasce dalla considerazione del male e della morte quali condizioni indispensabili della vita. Se l'uomo sarà sempre un composto di ragione e di sentimento, egli non potrà mai tanto uscir di sè stesso da rassegnarsi alla distruzione di quelle forme, a cui sono intimamente legate le funzioni, gli affetti e gli ideali della sua vita. La ragione gli proverà che le sue ansie son vane ; che la sua smania d'immortalità è ridicola; che non giova nelle fata dar di cozzo; ma l' in• dole sua, eh' è il resultato necessario d'una lenta elaborazione a traverso i tempi, i climi, le razze, lo spronerà pur sempre a scavalcare il limite fatale, a spezzare la porta adamantina, ad assediare d' interrogazioni dolorose la sfinge marmorea che siede indifferente sull'immensa piramide edificata con le ossa di mille generazioni nell' interminato deserto. Forse m'inganno: ma questo dissidio fra la ragione e il sentimento, contro cui tanti fi~_osofi della nuova scuola avventano le frecce più acute della loro dialettica, quasi a bicipite mostro generato da stolte religioni e da falsi metodi educativi, a me sembra radicato nelle viscere stesse dell' essere umano, mi pare anzi l'effetto necessario d'una legge universale: giacchè non arrivo davvero a comprendere un'attività e quindi una manifestazione qualunque della vita, senza resistenze ed attriti, senza quelle fluttuazioni e discordanze, onde risulta la univer.sale armonia, e che sole rendon possibile la conservazione e il perfezionamento degli esseri. Ora, se la scienza non dee contravvenire alle leggi della natura; se l'educazione può formare abiti nuovi, non creare novelle facoltà, qualunque spiegazione si tenti del doppio problema, noi non giungeremo probabilmente giammai a mettere d'accordo il bisogno sempre crescente di felicità con la considerazione della indifferenza indeprecabile della natura nella produzione e nella distruzione delle sue forme. Per ammettere la possibilità d'una tal conciliazione è necessario supporre, che lo svolgimento incessante del genere umano giungerà finalmente a sopprimere e cancellare dai nostri organi tutte le eredità sentimentali non solo, ma ad atrofizzare gli organi stessi destinati all'acquisto e alla elalorazione dei sentimenti: a distruggere im;omma una parte, non dirò se la' più bella o la più brutta, ma una par le nece~rnrissima alla interezza armonica dell'essere umano. Come potrebbe la ragione, fredda e crudele Yincicitrice, governare più la vita, senza il sentimento, entità intermedia fra la sensazione e il giudizio, che serve ad armonizzare nell'uomo i due estr&mi della vita sensitiva e. della. vita razionale? Data come possibile una sì strana vittoria, le fonti stesse del pensiero rimarrebbero congelate, esaurite le forze produttrici della coscienza: l'anima umana cadrebbe in quello stato di raffl'0ddamento a cui giungono man mano i corpi celesti, e la povera ragione vittoriosa sarebbe· condannata a regnare sopra un deserto di pomici. Se questo è pessimismo, mio riverito signore, io era già pessimista, quando scriYevo il " Giobbe ,, e pessimista sono anche adesso, dopo le " Poesie religiose ,,. Ma questo pessimismo, giova ripeterlo, a me non sembra punto metafisico o sentimentale. Giobb& non rinnega la scienza, non dispregia la vita: egli chiede solo al sapere quella pace, che prima ebbe chiesto a Dio, poscia a Satana, ma sempre invano; e che dovrebbe, secondo lui, derivare dalla conoscenza piena della verità. La quale, fosse pur trista e terribile, non lo spaventa: egli ha sete inestinguibile di essa: vi si affogherebbe dentro; questa è la sua debolezza o la sua virtt1: « Dove Mi fosse inferno il vero, io vi starei: Il paradiso del beato errore Lascio agli stolti ed a' pusilli. ► Quello che più lo tormenta è l'insufficienza del suo sapere; e: Io sento Io sento pur, che pago esser non posso: Mirar ti vo', posseder tutta,» egli dice a Iside. L'impazienza di strappare alle labbra della dea impassibile la parola suprema della vita e di riposare finalmente nel seno della verità, lo spinge a varcare le colonne segnate come termini a.i voli indomabili del suo spirito. Non è forse questa la storia perpetua del pensiero umano ? La tristezza desolata di Giobbe proviene dalla riconosciuta disuguaglianza fra. il bisogno cl' illimitata perfezione e libertà, ond' è travagliato il suo animo, e la ristrettezza miserevole dei mezzi scientitìci per sodisfarlo. Deve egli rassegnarsi? No: gli parrebbe rinunziare alla parte migliore di sè stesso: alla sua perfettibilità. Onde il problema apparso primamente al suo spirito, provato dalla sventura, non che trovare una qualsiasi risoluzione, si propone infine del poema con tragica insistenza. E questo prova, se non m'inganno, che le ipotesi più o meno felici nel campo delle scienze fisiche e morali, e le leggi più ardue rapite dal genio umano al seno misterioso dell'essere, possono per qualche tempo appagare gli spiriti più insaziabili, adagiarli in un tal quale riposo, accenderli magari di subiti entusiasmi, quasi fosse in lor potere finalmente la chiave dell'universo ; ma l'avidità smaniosa di sempre nuove ricerche ritornerà _presto a turbarli; il pensiero cresciuto di nuove
RCVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOClALJ 65 forze, lusingato dalle recenti vittorie, si getterà .animoso per altre vie, tenterà più difficili erte, affronterà enigmi piì1 terribili, sfonderà più gelosi misteri ; riposerà novamente per qualche tempo, e ricomincerà poco dopo il suo tempestoso pellegrinaggio. 11 quale se dovesse un giorno aver termine in una quiete e beatitudine universale, io non intenderei più l'evoluzione, nè la scienza, nè la vita. L'idea di questo perpetuo travaglio del genere umano può non essere, anzi non è davvero consolante, se si considera il nostro bene supremo come un che di stabile e d'assoluto, impossibile ad essere raggiunto e posseduto tutto in una volta da tutto il genere umano. Deve perciò l'uomo querelarsi femminilmente delle illusioni perdute, maledire la natura, proclamare la nullita di tutte le cose, profondarsi e cristallizzarsi nella stolta rinunzia di tutto ciò che il mondo può dare a nostra consolazione ed a nostra salute? La differenza del mio pessimismo da quello di tanti altri sta per l'appunto qui. li male e il dolore ci attraversano le vie della vita; la morte dissolve il laborioso tessuto della nostra coscienza individuale, disperde in atomi impercettibili un organismo che ospitò il pensiero, che si credette e fu veramante lo specchio della Natura, il prisma della storia, il tabernacolo delr Ideale. E che perciò ? « Finchè ruggendo pugni, giovin leone il dritto Oscuro al volgo e da' monarchi irriso, E tra le fiamme e il sangue del prometèo conflitto, Vergine Libertà, splenda un tuo riso ; Finché tra' naufragosi vortici del mistero V' è una Sfinge che tacita seduce, Fra' granitici erro1·i una gemma del Vero, Negli anfratti del core un fil di luce; Finché una fede in petto, al Ver le ciglia fisse, Bella è la morte e nobile il cimento, O Vita, eterna Circe cui solo doma Ulisse, Al tuo magico regno ecco io m'avvento I» (Poesie rtligiose. Ballata). Si, perchè la necessità della vita e' impone l'obbligo di combattere le forze malefiche, ond' è infestata la selva della terra; di adoperare l' ingegno. l'industria, le armi che la natura ci ha date per diradare e vincere gli ostacoli che si frappongono al nostro benessere, per aver la prevalenza nella lotta cotidiana, per ascendere l'erta del!' Ideale, per proseguire questo crescente fantasma fin dentro agli orti incantati dell'Utopia e incarnare a poco a poco nella realtà gl' iridescenti miraggi, ond' ei si rivela agli eletti. Così, a modo mio di vedere, la conoscenza profonda dell'essere, ancor che fonte inesauribile di tristezza, non ci prostra in un abbandono codardo, non annienta in noi !'energie della vita: ci stimola anzi a valerci armonicamente delle nostre facoltà; ad esercitare nel limite prescritto ciò che diciamo la volontA per aggiogare al nostro carro le forze ribelli della nat~ra e governarle e dirigerle al nostro meglio; ci apre il cuore al compatimento e all'Amore dei nostri simili non solo, ma di tutti gli esseri destinati a vivere e travagliarsi nell' infinito; ci rende veramente uomini, eh' è quanto dire essere morali, consapevoli di sè e delle circostanze, atti a con- . qui<;tarsi un posto al banchetto dei forti, a conseguire quel surnrnU?n bonum, onde può essere abile una coscienza destinata a dissolversi in poco e sparire nella universale fluttuazione dell'essere. Questo dicono in sostanza le "Poesie religiose,,; e questa, se non erro, è la parola ultima della scienza moderna. Dopo tante negazioni o distruzioni è 1empo ormai d'affermare e d'edificare qualche cosa. La baracca delle religioni storiche si sfascia, ma l'edificio morale, la religione vera ed universale, s'innalza splendida su basi positive ed umane. La pace, che mal si chiede alla pompa di lussureggianti dotlrine, non si può altrimenti ottenere che per la conoscenza d,:il proprio dovere e per la coscienza d'averlo compiuto: d'avere, cioè, adoperato, secondo le leggi universali della vita e nella misura richiesta, tutte le nostre forze, in ordine al miglioramento fisico e morale dell'esser nostro e dei nostri simili. A formare in noi questa coscienza deve anzi tutto concorrere la scienza dell'educazione. Non essendo da porre in dubbio che motivo d'ogni nostro movimento e fine d'ogni nostra azione è il vantaggio, tutto si riduce a educare in noi il concetto dell' utile, a modificarlo cioè mano mano che i bisogni si moltiplicano, i sensi s'ingentiliscono, il capitale morale si accresce, l'orizzonte morale si slarga. Ogni sentimento umano a me par simile a un raggio, che tanto più si dilata e diffonde, quanto più s'allontani dal centro di projezione. L'amor di sè, che si manifesta così gagliardo nell'uomo primitivo, da non fargl( neppur sospettare, che la vita d'un· suo simile valga qualcosa di più della . ua più gro. ·olana sodisfazione, i viene a traverso la storia dilatando e purificando a segno da giungere al concetto altamente mo1·ale che il nostro vantaggio non può assolutamente scompagnarsi dal vantaggio di t11ttigli altri esseri, e che il sommo bene del!' individuo consiste av punto nella relativa felicità del genere umano. Onde la carità o l'altruismo, come dicono, non è in sostanza altro che l'amor di sè nel più alto ~ sublime grado della sua espansione. « O Carità, per te sconfitta cade L' ira che sul confin torbido eretta Incaìna le genti, e d'empia clade Le messi infetta. Disserransi al tuo piè gl' in vidi chiostri, Che alle genti, alle specie un dio prescrive; Ecco, scevra di vincoli e di mostri Iside vive.
66 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Sconfinasi la terra, apresi il polo, S'avvi van gli astri al tuo soffio fecondo, E d'una sola forza e d'un cor solo Palpita il mondo. O di luce e d'amor fonte infinita, Per te santo è il dolore, utile il vero; Solo per te dell'uni versa vita S'apre il mistero. » (Poesie ,·eligiosc. Charitas). . Altro le direi, illustre professore, ma questa lettera è già troppo lunga; e certe cose non vogliono esser discorse alla leggera. Nè mi sarei attentato di metter bocca nella rilevante questione trattata con sì nobile entusia mo dal Trezza, se Ella con autorità pari alla benevolenza non mi avesse citato ad esempio di mente colta ed illuminata, son sue parole, che si accosta senza p1·e_ giudi;:;i e senza sentimentalismi alla sevem ma consolante filosofia dell' Evoluzione. lo ho creduto dover mio confessarle fino a che segno codesta filosofia a me sembri consolante e con quali intenti mi sia ingegnato di rappresentarla nell'arte mia: se non che temo non aver detto abbastanza nè assai chiaramente per farmi intendere. Supplisca ella al mio difetto, e mi abbia per $U0 Obl.mo MARIO RAl'ISARDI JNTORNO ALLO SPIRITO MILITARE. All'anonimo autore di « Istituzioni militui·i e il loro avvenire». Ho letto il lib!'0 e me n'è rimasta l'impressione che l'autore sia un militare di professione, quantunque la cortesia delle sue critiche possa talvolta farne dubitare. L'Autore è urtato dalle opinioni sovversive professate da ì\'apoleone Colajanni e da me; e per quanto io mi spieghi ch'egli debba deplorare la diminuzione al prestigio dell'armata, ciò non mi sembra ragione sufficiente per glorificarne la disciplina. La disciplina, dicé l'A., non annulla la libera espansione dell'animo, essa aspira soltanto a dirigerla; l'obbedienza ch'essa crea è volontaria e intelligente. Essa à la sua radice nella volontà stessa di colui che obbedisce; essa non si appoggia sul1' istinto ma sulla ragione. La disciplina militare non è una debolezza di volontà o una diminuzione di personalità ; ma una sublimazione di energia morale un'altissima affermazione dell'individualità. L'obbedienza militare volontaria e intelligente?! Ma dove mai il signor ufficiale ha visto tutto ciò ? Io sono stato nell'esercito e ho visto uomini che obbedivano per non essere puniti, la qual cosa è ben lontana dall'obbedienza volontaria. Io ho visto uomini che senza rispondere sopportavano ingiurie e anche battiture. Non è forse questa una <liminuzione della personalità? - a meno che l'autore non la creda una sublimazione d'energia morale. Checchè ne sia, una simile disciplina che obbliga talvolta a sopportare battiture e insulti non pu6 essere un'alta affermazione d'individualismo. Non è possibile considerare tale l'annientamento del1' individuo, la sua mancanza di ogni volontà, avanti un altro individuo. E si noti che quel che io vidi al reggimento tutti hanno veduto in altri reggìmenti, in tutti i paesi. Tra l'opinione del nostro autore e quella di un genio, il Renan, io non esito a scegliere quella del Renan, e ripeto con lui : chi ha obbedito è un capiti:; 1nino1·. Forse l'autore obbietterà al filosofo quello che già oppose agli scrittori di romanzi antimilitari, cioè ch'essi non pensano da soldati e che applicano i criterii della vita civile a quella militare. Or questo argomento è tutt'altro che favorevole alla tesi dell'autore, anzi viene a confermare l'altra tesi eh' io sostenni nella mia Ps!)chologie du Militaire Professionel (1). Io sostengo che la morale militare è diversa dalla morale civile; che la separazione del militare dal resto della nazione gli crea uno stato particolare di spirito. E non è questo che confessa l'anonimo autore militare di professione, affermando una differenza ne' criteri militari e civili ? Questa differenza crea una differenza di morale. Bisogna « pensare da soldato » si dice, e con ciò si dichiara che il soldato è una casta nella nazione. Io son lieto di vedere i militari di professione _giungera a una tal costatazione. E l'autore è in buona compagnia: è col principe Giorgio cli Sax.e, con Federico Carlo di Prussia. e con un ufficiale dell'esercito tedesco che scrisse un recente opuscolo sul soggetto. Una volta di più, per la dichiarazione del nostro, vien dunque confermato il detto cli Napoleone Colajanni: l'esercito è la scuola del delitto. * * * L'Autore pensa tanLo « da soldato » fino a la- . mentare che l'uomo d'oggi osservi troppo. Un altro militare di professione, un tedesco, disse: se il soldato ,,uol esser buono a qualcosa deve essere esattamente il contrario di un uomo pensante e ragionevole. Infatti: osservare, riflettere, ragiona1·e è troppo dannoso al militarismo. D'altra parte ciò contraddice all'obbedienza volontaria e intelligente. Ma l'anonimo ha l'abitudine della contra.dizione. Scrive, per esempio. che coloro i quali giudicano che gli ufficiali e l'esercito ànno principii meschini (il desiderio della guerra) sono in grave errore, e non conoscono i nuovi elementi dell'organismo militare. Ma poi dice che la guerra (I) Questo volume à avuto una seconda edizione 11el 1895, accresciutadi una d((esa che non t,; nelle traduzioni. italiane e tedesche, ma che sarà in quella portoghese già sotto i torchi.
RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 67 è l' unica poesia compresa dai popoli. La massa delle popolazioni respinge l'idea della pace perpetua o perchè ha innata l' idea della lotta, o per le sue aspirazioni ideali, o perchè la pace non risponde a' suoi bisogni. L'operaio che non à niente da perdere - checchè venga dalla guerra - desidera queste convulsioni che conducono all'imprevisto e forse creeranno uno stato di cose migliore. Veramente ne dite delle belle, signor militare di professione! Gli operai, i contadini, domandano la guerra? L'assunto è arduo, sopratutto in Italia dove l'odio della caserma fa crescere l'emigrazione, e dove la volontà di non andare a battersi nell'Eritrea provocò numerose diserzioni. Quanto alla Francia io son sicuro che un plebiscito per la guerra o no, condurrebbe alla constatazione di un'enorme maggioranza in favor della pace. Suppongo che in Germania l'opinione della massa sia analoga; per lo meno così mi dissero alcuni tedeschi. La logica è poco· familiare all'anonimo, e per questo esso è anche veramente militare. perchè osservando poco ragiona poco. Dice che il coraggio, l'abnegazione, il sacrificio, la disciplina, costituiscono in t~tte le armate e a tutte le epoche la virtù militare. Ma aggiunge, dopo, che per i soldati di mestieee (si tratta delle armate antiche) ciò che li incifava era il lucro materiale. Kel passato - tranne alcune famiglie con tradizioni speciali - la carriera militare era considerata come una risoesa in mancanza di meglio. Ma l'Autore è ingenuo, o audace, quando afferma che se nelle armate di mestieranti i saccheggi erano possibili, nelle armate nazionali al contrario la disciplina si rafforza in presenza del nemico. Io ignoro se la disciplina dei soldati italiani si sia rafforzata avanti gli Abi,sini, ma posso dire che la disciplina dei soldati francesi non si è rafforzata avanti i tedeschi nel 1870, nè davanti i tonchinesi, nè davanti i daomenesi. Nessun ufficiale c' è il quale non dica che la disciplina è meno dura in campagna, e che il saccheggio è una regola religiosamente seguita dai corpi di spedizione. Del resto migliaia di fatti contradicono all'affermazione dell'autore. Nel mio saggio scientifico sostenni che la professione militare separa colui che la esercita dal resto dei cittadini. Il prete, il magistrato subiscono éon analoga intensità l'influenza professionale. Que • sta tesi, provata da i fatti, par falsa all'autore anonimo, il quale dice che le armate d'oggi non costituiscono più una casta ma palpitano all'unisono col cuore della nazione. Pure aYanti disse che nella vita militare v' à criteri diversi che nella vita civile, e parla ora dello spirito di corpo che riunisce, come in famiglia, i soldati attorno alla ban· diera. Or come conciliare queste contradizioni ? Perchè, lo spirito di corpo è la prova più evidente che il militare forma una casta nella nazione: mentre l'Autore protesta contro questa idea, ne mostra - ironia dei fatti ! - esso stesso la verità ... L'-~utore non può abituarsi a considerare il miiitarismo come una scuola di demoralizzazione secondo disse Corre ; o come scuola del delitto, secondo il Colajanni. Al massimo ammette una maggiore criminalità in tempo di guerra, e l'attribuisce alle miserie inevitabili durante i guerreggiamenti. Così: l'accrescimento della criminalità è dovuto alle guerre ; le guerre son fatte da i militari, dunque i militari provocano l'accrescimento di criminalità. L'Autore nota con gioia che le statistiche mostrano nei periodi di guerra una diminuzione notevole dei delitti. Un po' di quello spirito ·di osservazione che l'anonimo autore non ama gli avrebbe impedito di argomentare falsamente da quelle statistiche. La statistica non à in sè alcun significato; bisogna interpretarla con l'osservazione e il ragionamento. Ora tutti. gli atti di guerra sarebbero in tempo di pace delitti, e verso gli atti di guerra sono in que' tempi volte le energie: ecco perchè le statistiche notano minori delitti legali. Il ditirambo dell'Autore sulla vita dell'ufficiale è poi meraviglioso. « La vita dell'ufficiale non è un mestiere, nè un'arte, nè una scienza; è un apostolato, una lotta paziente, devota, energica, di tutti i giorni ». « Per guidare al fuoco i nuovi soldati è necessario all'ufficiale di possedere l'ascendente della maggiore istruzione e della più profonda conoscenza del cuore umano ». C' è da restare a bocca aperta avanti a simili affermazioni: l'ufficiale apostolo ; l'ufficiale psicologo!!!. Nelle armate medievali e moderne· si poteva pretendere che gli ufficiali superassero i soldati, d'istruzione e di educazione. Ma oggi, quando tutti passano sotto l'uniforme, la pretesa è esorbitante per non dire assurda. :rutti conosciamo uomini di molta coltura, dot • tori, licenziati, o uomini di scienza e d'arte, o industriali e ingegneri che sono stati semplici soldati, essendo più istruiti de' loro superiori. « L'ufficiale è un educatore nel pitt alto significato della parola». L'anonimo scherza, e in modo alquanto grossolano; tranne ch'egli ritenga che comandare, ingiuriare e talvolta insultare, e talvolta colpire, sia... educare. L'autore canta la grandezza militare: già ; glorificare la casta alla quale si appartiene vuol dire lodare se stessi, e poi! il militarismo è una delle basi della società odierna. Chi ha i benefici dell'or dine sociale presente, vuol conservare quella base
68 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI pur cadente dell'edificio dove ci sta tanto bene. È un desiderio assai umano, senza dubbio. Però non è men vero che il militarismo viene crollando sotto i colpi dei pensatori e dei ribelli, e che questo organo parassitario e di lusso morrà ben presto. A. HAMON. LaStatisteicl'aAgricoltura. Esiste da parecchi anni in Italia una direzione generale di Statistica, la quale raccoglie con la maggiore possibile abbondanza le cifre di molti fenomeni economici, sociali e politici, e le mette a raffronto con quelle degli anni anteriori per vedere se v' ha progresso o regresso, e le paragona con quelle che esprimono i medesimi fenomeni in altri paesi perché se ne possano talvolta dedurre e cause e rimedi, e perché la politica sia illuminata sulla miglior via da seguire ; ma la politica nostra nudrita di retorica e mossa da ragioni di partito, che mascherano interessi personali, ambizioni e rivalità, è ben lontana dal tenerne conto, anzi, considera la Statistica e i suoi studi e le sue cifre, e le conclusioni che si' possono trarne, come un'accademia qualsiasi, di quelle che lo spirito moderno nel suo scetticismo, lascia vivere purché non rechino molestia. Eppure, se quelli che le vicende della politica porta al governo del nostro paese, avessero sempre presenti le statistiche, che dicono spesso i resultati dell'amministrazione loro o di quella altrui, e che col loro significato possono riuscire di ammonimento o di guida, molte cose si potrebbero correggere e molte migliorare. Da ogni parte insorgono lamenti : di classi povere che non trovano lavoro, o che dal lavoro non traggono che una mercede meschina; di proprietari, cui la proprietà è di peso e che se ne vedono rapidamente spossessare ; di commercianti e industriali ai quali gli affari si arrestano forzatamente e che si trovano travolti dal dissesto e dal fallimento; e nondimeno, nessuno se ne occupa, e tutti gli atti che il governo, da chiunque sia capitanato, compie, recano a queste classi che costituiscono la forza vitale dell'economia e della ricchezza nazionale nuovi danni e nuove delusioni. Tutti gli atti che il governo compie, astraggono da questa situazione lamentata degli individui, che è situazione generale, per dar peso alla sola necessità politica. L'esposizione finanziaria non parla dei danni o dei vantaggi recati all'economia, ma dello stato più o meno regolare del bilancio; i provvedimenti legislativi non hanno per movente il bene dei cittadini, ma il pareggio delle partite; il successo di un uomo di governo non sta nell'aver tentato di procurare la prosperità al paese, ma nell'aver saputo con qualsiasi mezzo provvedere alle esigenze dell'amministrazione, anche se queste sono in continuo aumento, anche se il pubblico che vi concorre dimostra di essere sulla viç1,deH'e~Mll'imento, È per ciò che i sintomi più sconfortanti sono apparsi da noi inaspettatamente e forse incompresi. Quello che in principio era appena prevedibile non fu curato. quando poi minacciò non lo si volle comprendere, oggi che sta per divenire inevitabile lo si trascura colla noncuranza dell'artista che innamorato d'una larva, dimentica di soddisfare ai bisogni dello stomaco. Da noi il deperire di alcuni rami di attività, le crisi, i dissesti parziali e generali, quelli stessi dello Stato, son venuti come inaspettati, e laddove un cosciente indirizzo auebbe potuto evitare il male, una spensierata ignoranza l'ha procurato, e quel che è peggio continua a procurarlo senza lasciare intravedere il momento nel quale sarà mutato cammino. Ma queste elucubrazioni non possono persuadere chi vive lungi dalla vita reale, e dei fenomeni economici che giornalmente si presentano all'osservazione non sa sviscerare il significato; occorrono dei fatti, delle cifre, e di fatti e di cifre è ricco l'ultimo Annuario statistico, pubblicato quest'anno dalla Direzione Generale. In esso questo dissesto che tutti sentono e subiscono, ma che molti ritengono passeggero, molti altri puramente apparente, è validamente documentato e le cifre parlano direttamente mostrando con i rapidi sbalzi quale fu la diretta conseguenza di dati avvenimenti, mentre con una serie progressiva, crescente o decrescente, ne dichiarano spesso il definitiYo resultato. Per giungere ad un esatto commento di quei dati bisognerebbe riassumere una storia dolGrosa e ormai troppo nota a tutti ; storia di insipienze, di colpe e di errori, che dimostra come il senso della realtà sia stato quasi sempre dimenticato; la sintesi di tutto ciò è che mai in Italia si ebbe la coscienza degli intimi rapporti che esistono fra l' Economia e la Politica, che mai si seppe riconoscere quello che è legge di tutte le cose, che cioè un paese è grande in quanto è ricco, e può dirsi ricco solo allorché le sue popolazioni godono di un relativo benessere, e le sue attività si svolgono con profitto. Da noi è lo Stato che ha invaso troppo, che ha sacrificato alle esigenze sue, tutto ciò che ha potuto, che ha ecceduto nelle sue funzioni imponendo atti e linee di condotta politica che ragionevolmente non potevamo consentirci. Nessun paese d'Europa, si trova come il nosb'o a destinare ogni anno per le spese pubbliche (governative, provinciali e comunali) due miliardi e 185 milioni, come nessun paese si trova, relativamente alla propria potenzialità, gravato come il nostro di debiti, giacché i nostri debiti pubblici raggiungono la cifra di 18 miliardi. ln questa situazione ed a questi oneri ci ba condotti la politica, mentre il peso lo si é fatto sentire alla nostra economia, la quale dopo il raggiungimento dell'unità nazionale tendeva a svolgersi ed a fiorire. E nulla è stato risparmiato. Se gli aggravi fiscali non colpivano direttamente una qualsiasi produzione, il diminuire del consumo, la crisi del commercio e
RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 69 la mancanza di capitali proveniente dal viziato funzionamento del credito, le stesse spese di produzione aumentate provocavano il deperimento. Ed è precisamente un ingranaggio del quale ogni fattore economico è una ruota., e che si muove bene o male a seconda che una di queste ruote agisce in modo 1•egolare o in modo anormale. La nostra agricoltura, fiaccata dalle imposte si è trovata improvvisamente di fronte alla concorrenza straniera, che i dazi di entrata protetti vi o fiscali non sono riusciti ad eliminare; ha visto tutto ad un tratto prechiudersi il mercato che riceveva la maggior copia dei suoi prodotti, e non ha potuto per mancanza di denaro sperare quella trasformazione che l'avrebbe salvata, procurandole colla cultura razionale e intensiva ·una maggio1· copia di prodotti, con l'applicazione dei suoi sforzi alla produzione di derrate che non temono la concorrenza, un provento che compensasse il decrescere degli altri. Ecco per esempio la somma dei prodotti agricoli più importanti dell'ultimo anno confrontata con quella di dieci anni fa. 1885 1895 ------------- ~ Grano Ett. 41,243.000 Ett. 37,418.000 Mais » 29,663.000 » 21,161.000 Avena » 5,954.000 » 5,560.000 Orzo )) 3,219.000 >> 2,539.000 Riso )) 7,838.000 » 5,959.000 Vino » 24,918.000 » 21,343.000 Olio )) 2,296.000 » 2,120.000 Patate Quint. 7,959.000 Quint. 6,214.000 Castagne » 3,862.000 >> 1 020.000 La straordinaria differenza fra queste duo annate non è rilevata ad arte, cioè confrontando un'annata di raccolto abbondante con una sca,rsa, ma è precisamente la misura del deperimento, perchè dal 1884 in poi, salvo lievi interruzioni questi raccolti son venuti sempre diminuendo. Circa la produzione del granoturco e del grano si dirà che il basso prezzo dei grani esteri che fanno concorrenza ai nostri induce gli agricoltori a sfruttare le loro terre con altre coltivazioni. Ma quali? Anche tutti gli altri generi sono in diminuzione. Il riso che si produce nelle nostre terre è il migliore che si conosca, tanto è vero che malgrado il prezzo bassissimo dei risi chinasi ed indiani, è ricercato dovunque ed alimenta una larga esportazione. Le patate e le castagne, alimento delle nostre popolazioni più povere, giacché molti montanari vivono di castagne tutto l'anno, vengon prodotte in minor quantità. Il vino sul qual.e si fondavano le speranze della nostra agricoltura dopo aver toccato nel 1886 la cifra di 38 milioni di Ettolitri - cifra forse favorita dall'abbondanza eccezionale del raccolto, ma che è però proporzionata ai raccolti degli anni successivi i quali fino al 1891 furon sampre superiori ai 30 milioni di Ettolitri - il vino stesso è in diminuzione, malgrado i progressi della viticultura tendenti a procurare migliore e più abbondante prodotto, e malgrado lo sviluppo delle comunicazioni che favorirebbero grandemente lo smercio. Perchè dunque mentre la popolazione d'Italia cresce di anno in anno di oltre duecentomila individui, e devono necessariamente crescere le braccia che si impiegano nei lavori agricoli, la media dei raccolti, che rappresenta il vitto e la base prima di ogni altro lavoro è in diminuzione? Le cause sarebbero molte e complesse, ma principalissime due: il regime fiscale troppo gravoso e la mancanza quasi assoluta del credito agrario. Finchè le nostre derrate avevano una abbondante ricerca in Francia, dove servivano di materia prima a tante industrie, l'agricoltura avea modo di collocare l'esube1•anza dei prodotti e di procurare di aumentarla, per ricavare da questa quanto occorreva a pagare i tributi ed a mantenere i fondi rustici; ma allorchè per la rottura delle relazioni commerciali Franco-Italiane avvenuta nel 1888 questo sbocco ai nostri prodotti si chiuse, manifestossi in tutte le regioni una forte crisi di sovraproduzione, i prezzi si fecero bassissimi e l'opera e la spesa si kovarono così mal remunerate che venne spontaneo il proposito di limitare la produzione o di cessarla. Se il regime tributario avesse allegerito i suoi carichi il beneficio di questa sovraproduzione l'avrebbero risentito i consumatori, potendo allargare l'uso e goderne, ma continuando le esigenze dell'erario a ferire in mille forme la produzione come prima, la so,pensione e la diminuzione delle produzioni divenne inevitabile. È così che la produzione, in via di incremento prima del 1888 è poi andata decrescendo. Ma questo processo di dissoluzione, che poteva far rimanere stazionaria questa branca di attività, ha compiuto la sua opera oggi che da ogni parte si fanno tentativi per risollevarla e per farle in cambio del mercato francese perduto, ritrovare degli altri. Ben più funesto però, ne' suoi effetti immediati e lontani è il regime fiscale che incatena ed isterilisce l'agricoltura. Si è tante volte cercato di alleggerire l'imposta fondiaria, e il proposito avrebbe grandemente giovato se la proporzione non fosse rimasta straordinariamente grande, e se l'agricoltore avesse potuto conoscerne e sentirne il benefizio, ma per quanto da ogni parte si rendano palesi i danni, per quanto la produzione straniera vincendo gli impedimenti che un protezionismo .fiscale le ha inalzati, venga a lottare vittoriosamente con quella indigena, le imposizioni gravano in una misura cosi forte, che la concorrenza straniera non può esser combattuta, l'industria territoriale allontana anche quelli che per maggiori ragioni vi erano attaccati e procura il dissesto e l'insolvenza in quelli che vi rimangono. Noi abbiamo per esempio la produzione del frumento, che come tutti sanno è danneggiata dalla importazione che si fa di grani russi e di quelli americani. Il raccolto normale di un ettolitro di frumento seminato difficilmente arriva a dieci, per cui la rendita dei fondi riesce scarsa, e il prezzo sebbene elevato, poco remunerativo; ebbene sul frumento grava una somma di imposizioni che raggiunge il 33 per 100.
70 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI In Inghilterra invece dove un Ettolitro di frumento ne rende ventidue e più, la tassazione non supera il 2.30 per 100. Certo anche questa forte tassazione fa si che non si possa reggere la concorrenza dei cereali stranieri, ma quando anche si riconoscesse impossibile di rivaleggiare nella cultura dei cereali colla Russia e coll'America, non sarebbe però possibile destinare le nostre terre ad altre culture per le quali sono adatte e che per condizioni speciali non possono raggiungersi altrove? Da noi, il Riso, ha qualità superiori a quello di tutti gli altri paesi che si trova in commercio ; eppure mentre il consumo di lusso dovunque non richiede che il riso di Lombardia, del Veneto e del1' Emilia, la produzione generale è come notammo fortemente decresciuta. n tabacco, che le nostre terre producono abbondantemente, e che alimenta pe1·sino una discreta esportazione, a causa della sorveglianza fiscale e del limite che il monopolio governativo fissa, è insufficiente al consumo intimo. Lo Stato trovasi costretto per la fabbricazione di alcuni generi' ad importare la foglia dal Nord America e dalle Antille; ma•- se la produzione fosse più agevole o libera, la foglia italiana che serve alla preparazione dei tabacchi forti all'estero compenserebbe della importazione e forse in parte la sostituirebbe. Il vino, che va rinomato per tutto il mondo, non avrebbe fors_e un più abbondante smercio so le migliorate condizioni dell'agricoltura ne facessero ribassare il prezzo ? E non sarebbe forse di grande incremento alla cultura della vite, la possibilità di utilizzare i residui della fabb1•icazione vinaria nella distillazione dell'alcool, che oggi va rapidamente scomparendo dal novero delle nostre industrie? Questa, che in Italia soltanto trova tale abbondanza di materia prima da rendere assolutamente inutile l'uso dei cereali per la distillazione, e1•a una volta esercitata da un numero considerevole di piccoli stabilimenti, i quali non potendo sottostare, per la poca entità dell'impresa, al vincolo della sorveglianza, hanno dovuto chiudersi. Esistono tuttora 8487 distillerie, ma solo 3285 sono attive, e la produzione n'è andata sempre scemando via via che. nuove imposte son venute ad aggiungersi alle vecchie. ' Ecco la misura della 1887 - 88 1888 - 89 1889. 90 diminuzione : El. 180,371 » 85,284 » 149,643 In questo anno cominciò a funzionare una grande distilleria di cereali in Lombardia la quale produce da sola 60 mila ettolitri di alcool. 1890 - 91 El. 199,488 91-92 » 225,569 92 - 93 » 208,704 93 - 94 » 186,563 94 - 95 » 166,998 Da queste somme si vede chiaramente come malgrado tutti i vincoli ed i gravami la produzione nel 90 e nel 91 cercò di risollevarsi, e come vi riuscì in modo quasi miracoloso, ma si nota altresì come negli anni successivi, i ritocchi apportati continuamente al da zio sugli spiriti, l'abbiano ricondotta sulla china discendente. A dettare la sentenza della nostra agi·icoltura, viene, più importante fra tutti il viziato funzionamento del credito. Da noi il Credito non ha mai esercitato la sua vera funzione. Esso che dovrebbe distribuirsi in proporzione dei bisogni a tutte quelle attività che se ne sanno utilmente servire, ha invece favorito un largo fido al consumo improduttivo, è stato fuorviato dalla politica, è stato trascinato dalla speculazione aleatoria di borsa ed oggi che, moralmente condannato, vorrebbe riprendere il suo posto nel movimento economico, · non lo può perchè gli organi suoi hanno guadagnato il discredito, che impedisce loro di raccogliere i capitali da distribuire, e si sono stradati in un genere di operazioni e di clientele, che riescire bbe impossibile abbandonare. Il Credito Ag1•ario, che dovrebbe permettere l'applicazione di migliorie, di ti-asformazioni, di bonifiche di applicazioni che la necessità e la scienza consigliano, che dovrebbe mettere il proprietario ·agricolo nella condizione di vendere in tempo più opportuno le derrate, di sepportare le eventuali peripezie dei raccolti, ora scarsi ora abbondanti, non serve quasi a nessuno. Fra tanti istituti di Ci:_editoAgrario che esistono in Italia, il 31 Decembre 1894 non si trovavano che 23,731,797 lire di portafoglio, cifra irrisoria in proporzione ai bisogni di un paese, dove l'agricoltura è la massima risorsa. Ne viene di conseguenza che il proprietario deve ricorrere ai ere diti ipotecari, i quali esauriscono rapidamente il suo fondo, ed è costretto a farne largo uso finchè, fra interessi del capitale (dal 5 al 6 per 100) e imposte, non si trova nella dura necessità di venderlo, o di lasciarlo vendere all'asta per conto del creditore o dell'esattore. Il debito ipotecario fruttifero nel 1881 ascendeva a 6,803,460,964 lire, dopo soli quattro anni esso era giunto a oltre 10 miliardi. È vero che in questa cifra son compresi i fabbricati urbani ma la proprietà rurale è di tanto maggiore di quella uTbana, che la presumibile somma delle ipoteche accese su fondi rustici, rimane pur sempre enorme. Lo stesso può dirsi nel campo delle vendite forzate le quali segnano un forte aumento, e provano il graduale esaurimento della proprietà fondiaria. Nel 18\H, venivano eseguite 9114 vendite di immobili per mancato pagamento di imposte; nel 92 la cifra saliva a 9471, e nel 93 giungeva a 13375, somma enorme, se si considera che tali vendite venivano sentenziate dai pretori, per mancato pagamento di quote d'imposta inferiore alle 50 lire. Quanto poi alle esportazioni forzate, ordinate con sentenza di tribunale, furono 5531, nell'anno 1893, mentre fino al 1886 erano rimaste al disotto di 3mila. Se la proprietà fondiaria rurale che rappresenta
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