La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 32 - 13 settembre 1925

b LA lHVOLUZJONF, LJBF,RALE lAMENNAISANTIREAZIONARIO Un articolo puramente politi.cn dell"abate Lamennais apJ)<lrve nella « Revue dcs deux mondcs n del 1° agoelo, col titolo: De l'absolutism<> et de la libert.é (Dialoghetti) <( Deux <loctrincs, deux syslèmcs - così cominciava Parrlcolo - se dispulcnl aujourd'11j !'empire du monde, la doclrine dc la liberlé <'I la doctrine de l'absolutisme: le système rp,i donne à la société le droil pour fondemenl, el relui qui la livr<' à la force brutale». Queslo scr-ilto, ch'ebbe poi 010ILe edjzioni, era una risposta ad « un écrit scmi-officiel C[llÌ produisit, il y a trois aas, une asscz vive sensalion en ltalie, où les gouvernemens prirent soia dc le répandre à un grand nombrc d'exemp1aire~ » e una cri1jca di speciali catechismi, pubblicali per ordine dell'imperatore d'Austria e Jello Czar di Russia. Lo scritlo "semi-ufficiale» a cui alJude il Lamcnnais era un opuscolello del Conte Monaldo Leopardi, intitolalo: Dialoghetti sulle rnaterie corren_ti nell'anno 1831. Qucslo opuscolo eh 'ebbe larga diffusione in Italia e fu tradotlo in francese, jo tedesco e jn olandese, sosteneva vivacen1enle e direi quasi sfacciatamente, le più strane teorie legittimiste. Non si accontentava, infatli, di affermare che <e l'autorità dei re non viene ddi popoli, ma viene addirillura da Dio, il qualP avendo fatto gli uomini per vivere in società ha reso necessario un capo che li governi, e con ciò ha comandalo che i popoli ubbidiscano ai re »; e che « i re non vogliono inai: e uon possono volere il male del popolo, perché il popolo é la famiglia e il patrimonjo clel re, e nessuno, vuole il danno della propria famiglia e la rovina del suo patrimonio n; ma giungeva fino a proporre uno smembramento della Francia e a depJorare l'unione di questa con la Russia e l'Inghilterra contro la Turchia! ' « I turchi - diceva nel Dialogo secondo - sono padroni in casa loro come ognuno è padrone in casa sua, e perciò la sovranità dei Turchi deve essere rispetta la come quella degli altri principi >J. Poscia aggiungeva, mellendo le sue parole in bocca al Giudizio, che discu leva con 1a Libertà: " D Turco ha cattivo nome, e chi non è stato in Turchia crede che in quel paese non si faccia altro che impalare e slrozz,,re senza sapersi ,l perché, In sostama però anche là ci sono ordini e lieggi, e chi attende ai fatti suoi forse vive più tranquillo in mezzo ai Turchi, che in qualche altra nazione del mondo troppo complimentosa e civilizzata. Quanto poi ai vosLri Greci erano trattati benissimo, e lungi dal vivere in servitù, potevano quasi considerarsi come i padroni della Turchi, ». Come si vede da questi brevi saggi lo scritto del Conte Monaldo Leopardi riassumeva veramente (( avec une fidélité e une frana chise que l'on chercherait vainement aila leurs n l'intero sistéma dell'assolutismo. L'a~ bate Lamennais rispondeva con una magnifica ed eloquente esposizione dei diritti della libertà e con una critica serrata., fatta in modo particolare dal punto di vista religjoso, delle dourine assolutiste. Con una abilità polemica che irritò i suoi avversari, egli aggiungeva, che l'assolutismo minava il diritto di proprietà privata perché attribuiva (C soit à l'Etat, soit au chef de l'Etat, un droit primitif de haut domaine, qui ne serait au fond qu'un pouvoir indirect et arbitraire de vie et de mOrt SUI tous ses membre » e dava allo Slalo il diritto di tassare i cittadini senza alcun limite, giungendo anche alla confisca pura e semplice. "On doit maintenant eomprendre - soggiungeva - comment le 1nouvement que partout on remarqtie chez ]es nations chrétiennes, n'est que l'action sociale du christianisme méme, qui tend incessamment à réaliser, dans l'ordre polfrique et cjvil, les libertés que contient en ..gerrrie la maxime fondamentale de l'égalilé dl!'hommes devant Dieu, et par conséquent à affranchir pleinement l'homme spiriluel de tout controle du pouvoir ». Queste parole si possono considerare ~ome la prima netta visione di quella dotlrina che molti anni dopo fa. ceva nascere, in alcuni Stati d'Europa, quel 1novimento che fu, impropriamente, chiamato dem.ocrazia cristiana. Il Lamennais conchiudeva la sua esposizione dottrinale con questa chiara afferma zione liberale: « La liherté spiriluelle e pour expression la liherté de religion ou de ctÙle, la Jiberlé <l'enseignement, la liberté de la presse et la liberté d'association. Lorsqne l'une .d'elles n'est pas compléte, et surtout ]a dernière, les autres ne sont qu'un vrun nom. Ne demandez pas alors sous quelle forme de société vit le peuple ainsi privé de ses droi,t na turels; clemandez sous quelle tyrannie n. All'assolutismo il Lamennais rimprovera Je sue dottrine anticristiane e sopratutto l'•· bitudine di considerare la religione e la Chiesa cattolica come buoni ccmezzi di governo », che occorreva dominare e guidare a proprio talento. I governi così, oon la scusa di sorvegliare la purezza della dottrina, s 'ingeriscono nelle cose sacre e " à Milan par exemple - diceva - des pretres seront coutrainls de soumettre leurs sennons, avant de les prononf'er, au:x lumifrt',.., 'iupPrirutP'" d~ la polirf" "· La Vore della Ragion,, Lar·r1w· di fronte allo ,critlo del pokmiala francese, o p<'r dir mcg-lio ri6posc inrlirellamcntc <'.On due artieoli intitoJati: L'indiff Prenza in politiro, dove si <-ritfr,avano arc,·bamC'nl<' J<' idre• drll'abate Lamcnnais, senza però mai ritarc le paroJe da lui srrille nella Revue dr•.s,l,,,,x mondes. JI breve scrillo dc·ll'ahal<' Lam<'nnaia fu ristampalo in appcudire alla 7• ,-dizion<' delle Parol<>scl'nn croyant. li. nostro scrillorc, inlanto, viveva ritiralo nella Slla casella di La Clwnaic, passando le giornate a leggere e a scrivere. Scrivrva al,- bonclanlemcnlc agli a111ici e si preparava .:.J una grande opera filosolira a cui si rimetteva ogni volta che ]e cfrco&Lanze dolorose della ~ua vita di Jouatore, lo eostringcvano a fran,1 in disparte. Nelle lettere di quei giorni I roviam9 parecl'hi brani i1nporlantissi mi. In una lellera del 5 agosto 1834 al Mont~- lembcrt dopo avergli ricopialo un lungo bra• no d'uno scritlo dell'abate D'Alzon (uno dei suoi informatori romani, H quale assicurava nuovamente che la condanna deDe Paroles era dovuta alle pressioni della Russia e dell'Austria), il Lamenoais, con una chiara via sione deJ valore dell'optra propria, scriveva: « Mon artiele a paru clans la Revue des Deu-c I\Jondes, il aura pour effecl d'affermir ma posilion. Le silence futur de Rome, l'opinion unanime des thfologiens sur l'Encvclique, afiranchissent ]'avenir, et, en résultat, ~rai1 conqui pow· les, catholiques la liherté de parole et d'aclion dans l'ordre politique. Est-ce clone si peu? "· Se in queste parole noi possiamo trovare la prova dell'acntezza con cui l'abate Lamennais vedeva da lnngi le conseguenze di atti, che parvero a quasi tutti ii suoi con• temporanei inutili o dannosi, in alcune altre scritte in quel torno di tempo, noi potremo facilmente scoprire la prova più sicura che il distacco del La!"ennais da Roma non a do':1to, come vanno afTermando ancor oggi cerll pseudobiografi dell'abate bretone, ni, all'orgoglio, nè tanto meno allo spirito vendicativo. Il 9 agosto del 1834 scriveva, infatti, al marchese della Gervaisas: «... Vous paraissez croire que je me suis laiissé entraineur à des sentiments de vengeance. Je puis affirmer, en tonte vérité, que de pareils sentiments ne sont jamais entrés dans n1on coeur. A de gr.ands crimes, è dc grands désordres j'ai an• noncé de grandes punitions; et je ne suis pas en cela plus coupahle que Noé, qu'on n'accuse probablement pas d'avoir souhaité et prov{)qué le deluge ». L'afiérmazione qui è netta; altrove invece la si desume dalla spiegazione ch'egli dà ad un amico e confidente,, il D'Alzon, dei motivi che l'hanno spinto a scrivere le Paroles d'un croya.nt. Motivi no.bilissimi, i quali dimostrano che il Lamennais si preoccupava soltanto di impedire che le masse popolari, staccandosi da Roma, perché essa impoueva loro di sottomettersi alla tirannia che le oppriineva, si staccassero anche dal cristianesimo. Da queste illiberali teorie - scriveva il 3 settembre - non sarà scossa la fede d'un cristiano illuminato; <e mais en est•il ainsi de nrnsses >>? Egli era etato conda,nnalo dalla Santa Sede e di tale condanna si doleva eonlidenzial-' mente cogli amici più sicuri. Ma se ne doleva forse perchè gli avevan tolto ogni possibilità di diventar cardinale? Se ne doleva perchè lo avevan danneggiato finanziariamente? perchè gli allontanavano gli amici? No! Subito dopo la condanna egli piange per le anime che saranno scandalizzate dall'assolutismo di Gregorio XVI. Egli deplora le nuove difficoltà, che impediranno di " ran1ener à la religion ceux qui ont le malheur de ne pas croire! " Oh che tempi! - egli scrive il 22 luglio alla baronessa cli Vaux - • « P;.rions, et de tonte notre 3.me, pour qu'ils soient abrégés en effet. Il y aurait s'ils devaient clurer, trop d'3mes qui succombei:aicnt n. , Al marchese di Coriolis, che gli aveva riferite le critiche mossegli in certi ambienti a lui vicini, rispondeva il 19 maggio 1834,: ccVous auriez pu du moins vous taire, me répondra quelque censeur. Eh! nou je ne le pouvais pas; cela m'était impossible. Ces gcns-là ne savent pas ce que c'est d'avoir au fond de la po,itrine, une parole qui l'oppresse et demande l1 sortir. Pouvais-je me taire, entouré, camme nous le sommes dc Lant d'iniquilés, de tant de tyrannies, dc lanl de suffrances el de tant de miséres? J'ai senti tout cela, et j'ai parlé. Pouvais-je consentir, d'ailleurs, à ce que les générations futures demaudassent compte à ma mémoire d'un de ces laches silences qui ne souillent pas moins, et quelque fois plus, qu'une connivence dircele au mal? Qu'importe, après tout, qu'on m'accuse? qu'iu1• porte que peu de personnes me comprenuent maintenant? Ce n'est pas pour elles que j'ai écrit; j'ai écrit pour des temps qm ne sont pas encore, n1ais qui viendront quoi que disent et fassent ceux qui, aveuglea sur lf" pré~ent, M" rrni,-nt ""~·1, ro™ pour arrf'tcr, dans fo Ewin r)p T)i,-u Pav~nir qu'Jl prépar<• au m<,n<lr- ». Chi R'jmmag-ina di fr<J\·arr·, n~i mesi M·- gtwnti J.:i condi.-tnila d,~JI<! PornlP!J un LamPnnais irar.ondo, dw Cl;f•rjva<•-<JlJa pPnna jntinta nrl fiplf•, come lo hanno der,.critto molti suoi avvc·r.,ari, drvc provare ,ma grande disjJJusionP h~ggcndo <fl1cl ,.h'cgJi ,;r..riveva d.aJ qujc. to ritiro tjj Hn·tagna, acl un amjco suo, legittimista, jJ D'Azy: " Un,; large tolérancf" mulueJI,., large romme cellr, parole de l'Evangilc, <1uj, h,irn <'nl<•nduc et hjcn sentie, tcrminnrait a jamais, non IP~ di;;.cu~sions mais Jcs <1ucrc1JeR: Pax hom.inibus Uoru;,evoluntatis! Je suis ravj quc mcs frères en répuhlique cnlrrnt dans r,r;l ordre de penséea. C'est pour moi un nouveau aymptòme de ce que j'attende et qu,~ jf" ne V<'rrai pas, du moins sur Ja terre ,J. " Du fond dc ma rnlitude - scriveva 11 7 marzo 1835 alla Baronessa de Vaux - j'e:x,aminc le cours des irlées, et il me semhle qu'elles font chaque jour un progrés remarquable, Les esprils s'éli-venl, les pensées s'epurenl, parcc qu.'au-dessus de la masse égolsle et corrompue qui gouverne ou trafìque sopì:re un merveilleux développement <l'amour ». Parole così paei fiche ed ottimiste non corrispondevano affatto alla condotla dei reazionarj cattoJici, j qua]i continuavano a riempire le loro gazzelle e le loro riviste di insulse contumelie e di vergognose calunn'e contro l'Abate di S. Malò. Qualcuno poi, usciva in esc1amazioni così ridicole e così ingenuamente impudenti, che non si crederebbero se non si potessero leggere nel testo originale. Il Cattolico di Lugano, per esempio, nel fascicolo del 31 ottobre 1834, scrive parlando clei discepoli del Lamennais: C< Questi, degli antichi suoi discepoLi., non conservava ormai più che il Signor Montalembert, giovane scrittore, le cui idee ultra democratiche sono sì esaltate, che è giunto a SO· gnare una repubblica universale, di cui sarebbe presidente il ponte/ice: in cui, cioè, la forza materiale sarebbe completamente rimpiazzata dalla potenza morale». Come i lettori vedono si tralLa di una vera pazzia, che potrebbe ricordare quelle molto somiglianti del pontefice \;regorio VII e di San Francesco d'Assisi! Ma di tale pazzia potevano meravigliarsi gli atei, i Jt\iscredenti; non i ~eguaci del Cristo: , Gurno ZADEL PIERO GOBETTI Editore Torino - Via XX Settembre, 60 i: USCITO, GUIDO ZADEI L'Abate Lamennais e gli italiani del !;UO tempo " 300 pagine -· L. 12 La figura dell'abate Félicité de Lamennais (17821854) di Saint-Malo è una delle più interessanti fra quante primeggiarono in Europa nella prima metà del secolo XIX. L'abate bretone ebbe grande rinomanza in Italia dal ì820 al 1848, poi le sue opere furono dimenticate ed oggi le nostre biblioteche sono quasi affatto sprov- \Ìste degli scritti suoi e degli studi che sul Lameunais sono usciti, numerosissimi, in Frnncia. Uno studioso bresciano (la cui cultura lamennai- \ siana è stata recentemente consacrata in Francia dalla • Bibliograph~ de Lamennais del Duine e dalla accoglienza ch'ebte a Saint-Malo una sua comunicazione fatta dinanzi ai migliori storici del Lamennais) si è accinto all'opera di far conoscere lo .:5<:rittorefrancese agli italiani e mostrare quanto sia stata grand,~ l'io• fluenza sua sugli uomini nostri del suo tempo. Nel volume ci sono alcune delle più beih~ 1•a• gioe lamennaisiane e si leggono interessantissimi giudizi sull'Italia. In appositi capitoli saranno stu• diati con ampiezza di informazioni i rapporti del Lamennais con la Santa Sede, con Giuseppe Mazzini, con Vincenzo Gioberti, con Gino Capponi e col Tom• maseo, con Pier Silvestro Leopardi e con Giuseppe Montanelli. Notizie pressochè inedite intorno ai rea• i:ionari suoi oppositori quali il conte Monaldo Leo• pardi e il canonico Borioni di Ancona e sull'opera del principe di Metternich rendono il volm;ne interessante anche per i francesi. François Duine, indubbiamente il più profondo conoscitore di tutto ciò che si riferisce al Lamennais., scriveva alcuni mesi fa, dopo aver letto i due articoli che, con lo stesso titolo del nostro volume, Guido Zadei aveva pubblicato in una rivista milanese: ,e Je espère bien que vous reprendrez ce méme snjet: U,1bate de Lamennuis e gli italiani del suo tempo, ponr le développer en un volume, qui serait très lu, et lrès préciem..: pour les étrangers camme moi ». L'abate Charles Boutard, autore di tre grossi vo• lumi e di parecchi opuscoli bmcnnaisiani, scriveva il 25 marzo 1923 a proposito dei due articoli suaccerinati: « Dès les premières pnges, j'ai vu que vous possédez votre sujcl cl que rien ne vous manque pour le traiter avec compétence ». C. BRUNELLO il pensierodi C. Cattaneo Lire 10. I fiancheggiatori del Cinquecento ,, Gli int,.-:flf,tti P[M;ati trascenrlono il grfJ/Jr> 11,manr;. P .,i orcost11nri alle natarP celesti .,,, nia <( senza dahhio /za miglior,, tPmpo nel mondo, piu lunf!o. vita, e~ ù in uno certo modo piU f,,fir<, rhi è d'irtgPf!JU.1più po&i. ti1•,, " (Gu1c<.1uwi:-.1: ,, Rjcordi p<;Jiticj e ci vili >,, 3:17). E qnr•slr,1 P PJJSPr·''"'U) ,., .'iaper r;it;Prr,. Senza dubbio il nostro savio ama la gloria, P rlm1idera di jflre u CO.'Je brrandi ed eccelse ,,, ma, ingegruJ positivo, com' egli è, a p11tto che non sir.i con sur.1 danno o incomodità. Gli crv . ,rono di borra parole d'oro. Parla -r;olentiPri di patrir1-, di libr,rtà, di onore, di gloria., di umanità; ma vediamolo a' falli. Ama la pa,. tria e s,~ Jwrisce glie ne duole non per lei, perchè co.\i ha a essere, ma per sè, (( nato in tempi di tantr~ infelicità" (ivi, 189). È zelante del ben pubblico, ma " non s'ingolfa tanto nello Stato ,1 (ivi, ,H9), dfL mettere in quello tutta ltL sua fortuna. Vuole la libertà, ma quando si sia perduta; non è bene /arP mutazioni, perchè spesso mutan<.1 " i visi delle persone non le cose 1, (ivi, 276), e come non puoi rrtutare tu solo, " ti riesce altro da quello che avevi in mente e non puoi farP fondamento sul popow » (ivi, 121) così in,. -'labile, e quando ti vada male, ti tocca la ~ila spregiata del fuoruscito. Se tu fossi « di ,,ualità a essere capo di Stato ,1 (ivi, 379), passi; ma, cosi non essendo, è miglior con,. siglio portarsi in modo che quelli che governano non ti abbWno in sospetto, e neppure ti pongano tra i malcontenti. Quelli che altrinie'!ti fanno, sono « uomini leggieri » (ivi, 177). Nel mondo sono i savi e i pazzi. E paz=i chiama quei fiorentini, che cc vollero contro ogni ragione opporsi», quando i ,, savi di Firenze arebbono ceduto alla tempesta • (ivi, 136). A nessuno dispiace più che a lui « l' ambioone, l'avarizia e la mollizie ,ui preti » e il dominio temporale ecclesiastico; ama Martino Lutero « per vedere ridurre questa cater1;a di scellerati ai termini debiti. cioè a restare o senza vizi. o senza autorità ,. (ivi, 28, 346); ma« per it'suo partieulare » è necessitato amare la grandezza de' pontefici, e operare a sostegno dei preti e del dominio temporale. Vuole emendata la religione in molte parti; ma quanto a lui, << non combatte con la religione; nè con le forze che pare che dependono da Dio; perchè questo obbietto ha troppa forza nella mente delli sciocchi» (ivi, 253). Così il nostro savio si nutre di amori platonici e di desideri impotenti. E la sua impotenza è in questo, che a lui nianca la forza di sacrificare « il suo particulare n a quello ch'egli ama e vuole; perchè quelle cose che dice di amare e di desiderare, la veritù, la giustizia, la virtù, la libertà, la patria, l'Italia liberata da' barbari. e il mondo liberato da' preti, non sono in lu,i sentimenti uivi e operosi, ma opinioni e 'dee astratte, e quello solo che sente, quello solo che lo niove, il suo particolare. La lotta era accesa in Germania per la riforma religiosct e si stendeva nelle naz:i.oni vicine, e non mancavano i cc pazzi » tra noi che per qitella combattevano e morivano; in Italia si combattevano le ultime battaglie della libertà e dell'indipendenza nazionale; il paese si dibatteva tra svizzeri, spagnuoli, tedeschi e francesi; e il nostro savio non pare abbia animo d'uomo, e non dà segno quasi di accorgersene e non se ne commuor;e, e libra, e pesa, e niisura quello che gli noccia o "li giovi. La vita è per lui un calcolo aritmeti:o. L'Italia perì perchè i pazzi furono pochissimi e i più erano i savi. Città, principi, popoli, rispondevano all'esemplare stupendamente delineato in questi Ricordi. Un individuo sim,ile al nostro savio può forse vivere; una società non può. Perchè c. tenere insieme uniti gli uomini è necessità che essi abbiano la forza di sacrificare, quando occorra, anche le sostan;;e, anche la vita; e dove nianchi questa virtù, o sia ridotta in pochi, la società è disfatta, ancore/tè paia viva. Questa forza mancò agl'italiani, simili in gran parte a quel roniano ricchissimo, che non volle spendere cento ducati per fo comune difesa, e nel sacco di Roma perdette l'onore delle figliuole e gran parte della sua fortuna, Questa forza mancò, perchè le idee che mossero i loro maggiori erano esauste, succedztta lei s~anchezza e l'indifferenza, e in tanta cultura e prosperità la tempra, la cc stoffa de l'uonio )) era logora, mancata quella fede e caldezza di cuore che «conduce le ~ose grandi » (ivi, I) che può comandare ai nionti, come dice l' Evangelo, o, se vi piace meglio, può rendere facili e dolci i più duri sacrifici. Che cosa rimaneva? La saviezza del Guicciardini. Mancala era la forza; supplì l'intrigo, l'astuzia, la simulazione, la doppiezza, E pensando ciascuno al suo particolare, nella tempesta comune naufragarono tutti, Come erano rimpiccioliti gli italiani e in quant<Lfiacchezza morale eran caduti, quanti erano i disegni, i desideri tra tanta tempesta, può far fede la descrizione che fa il Guicciarclini dell'animo de' suoi concittadini: « La consuetudine nostra », fa dire a loro

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