La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 25 - 21 giugno 1925

104 Suez fosse aperto e che l'unità d'Italia fosse nata. Ho detto che l'Italia tiene un « monopolio di posizione " geografica. Ma debbo aggiungere che questa posizione-chiave, se è spesso utile all'Italia, è anche talvoha incomoda e pericolosa. Perchè in grazia di quella posizione geografica, tutte le correnti della politica continentale e della politica mediterranea, prima o poi, per un motivo o per un altro direttamente h indirettamente, investono l'Italia. Tutte le Potenze, che circondano l'Italia per terra e per mare, hanno interesse ad attirare l'Italia dalla loro parte, e ad evitare che sia attirata dagli avversari. Offrono vantaggi, p1iù o meno reali, in cambio dell'amicizia; le minacciano, più o meno apertamente, danni, più o meno gravi, non solamente se accenna a diventare ostile, ma anche se desidera di rimanere neutrale. Così l'Italia è continuamente trascinata nei problemi continentali dalla importanza militare della pianura del Po, e nei problemi mediterranei dalla importanza navale della sua penisola. Per questa ragione, è assai difficile all'Italia mantenere un .atleggiamento di neutralità in una grande crisi internazionale. Se vuole rimanere neutrale, l'Italia deve mantenere una forza militare altrettanto grande, e deve essere assai più cauta, che se volesse schierarsi con una delle due parti nelle ostilità. Ed è spesso assai difficile agli uomini di Stato vedere chiaramente e scegliere saggiamente una direzione sicura nel complesso intreccio delle questioni continentali e mediterranee. Derivano da questa condizione di cose le oscillazioni, o - se più vi piace chiamarle così - le ambiguità col così detto ,e 1nachiavellismo l>italiano. Ma noi italiani sappiamo benissimo che esse derivano quasi sempre da quella indecisione, che è inevitabile, quando cj sono molte e incerte possibilità, e quando non abbiamo l.a fortuna di avere al timone del Governo un uomo di genio come il Conte di Cavour. La esperienza degli anni, che succedono al 1870, dimostra in quali difficoltà e pericoli incorre il Governo italiano, se vuole mantenere una posizione di neutralità. Era allora ministro degli esteri tm nobile lombardo, il marchese Visconti Venosta. Egii pensava che in Francia le tendenze liberali sarebbero alla fine prevalse sulle tendenze clericali e che la marea dei sentimenti antiitaliani sarebbe passata. In attesa cercava di evitare una rottura violenta, e osservava per quanto era possibile un atteggiamento conciliativo. Nello stesso tempo procurava di avere sottomano qualche combinazione diplomatica, su cui l'Italia potesse appoggiarsi nel caso che la Francia movesse guerra senz'altro all'Italia. La più ovvia di queste precauzioni consisteva nel coltivare rapporti amichevoli colla Germania. La maggioranza parlamentare francese era ostile non solo all'Italia, ma anche alla Germania. Se la Germania e l'Italia fossero rimaste divise di fronte al pericolo francese, il primo paese ad essere assalito dalla Francia sarebbe stato probabilmente l'Italia; e in seguito, prima o poi, la Germania avrebbe trovato l'intera forza militare della Francia concentrata verso il Reno. Invece, un'alleanza fra la Germania e l'Italia - per quanto Bismarck non avesse un'alta opinione della capacità militare dell'Italia - avrebbe obbligato la Francia a dividere ìe sue forze fra le Alpi e il Reno, e avrebbe reso disperato ogni tentativo di rivincita della Francia contro la Germania. Per questa ragione, Bismarck diceva nel 1873 che l'alleanza fra la Germani.a e l'Italia era <e predestinata ». Ma sotto l'apparenza della cordialità, c'era una profonda disarmonia fra Bismarck e Visconti Venosta. Bismark avrebbe desiderato con l'Italia una permanente alleanza non solamente difensiva, ma anche offensiva. Visconti-Venost.a non voleva saperne di un legame così completo e incondizionato. Pensava che la Germania avrebbe dovuto sempre affrontare la inimicizia della Francia per la questione dell'Alsazia-Lorena. L'Italia invece non avrebbe avuto più nulla da temere eia parte della Francia nella questione di Roma, non appena i gruppi democratici e repubblicani riescissero a prevalere in Francia. In questo caso, neanche un'alleanza difensiva con la Germania avrebbe rappresentalo per l'llalia la stessa utilità che per la Germania: i rischi, che l'alleanza difensiva avrebbero coperti, non sarebbero stati equivalenti per i due paesi. Meno che mai Visconti-Venosta avrebbe consentito ad un'alleanza offensiva. Nel luglio 1875 egli scriveva al conle Rubilant, ambasciatore italiano a Vienna: << Se la guerra dovesse essere provocata dalla Francia, con un alto di follia o di grande imprudenza; se la guerra dovesse scoppiare stilla questione clericale; la nostra posizione sarebbe perfettamente chiara; e il nostro atteggiamento ci sarebbe dettato e sarebbe gius,ificato da un diretto interesse comune f1·a la Germania e noi. Ma potrebbe anche darsi che la Francia non desse alcun ragionevo]e motivo di guerra; la guerra potr~bbe s~op~ . piare semplicemente per la ferma rntenzl' .,e della Germania di assalire la Francia. (,;uale sarebbe, in questo caso, la nostra posizione? ...., LA RIVOLUZIONE LIBERALE Da una parte, io ammetto gli inconvenienti della neutralità. Dall'altra, confesso che proverei la massima repugnanza a vedere l'Italia prendere parte, essa sola, .ad una p;u.Prra, che sarebbe ingiustificata r,rll'opinjone dell'Europa, e vederla segwre la Germania, meno come un'alleata, che romc un sicario prezzolalo. Inoltre, se dovcsse scoppi.are una guerra fra la Germania e la Francia, il risultato di questa gu<'rra, qualunr1ue fosse, sarebhe sempre dannoso e pericoloso per l'Italia. Se la Francia dovesse vincere - i I <"hc non ~ affatto probabile - l'Italia si troverebbe immediatamente in una posizione estremam<"nte incerta e pericolosa. Se invece, come è quasi certo, la Germania dovPsse nuovamente prostrare la Francia, sarebbe necessario fare qualcosa per farla finita con la Francia una volta per sempre: smembrarla: creare una di quelle combinazioni eccessjve, innaturali, e perciò effimere, che ricorderebbe quelle con cui Napoleone usava fare e disfare le sne paci. Ora io penso che l'Italia è uno di quei paesi, che possono avere un avvenire sola,nentc in un'Europa, in cui esista uo cerlo equilibrio di forze >. Per queste considerazioni, Visconti-Venosta manteneva bensì le rrugliori e più cordiali relazioni con la Germania come base della politica estera italiana; ma nello stesso tempo desiderava aspellare con calma il risultato della lotta fra clericali e democratici in Francia; e riservava la propria libertà d'azione. Cercava, insomma, di segtrire quella che gl'inglesi chiamano la politica del " wait and see >): aspettare ed osservare. Questa attitudine riservata irritava assni Bismarck. Egli voleva separare assolutamente l'Italia dalla Francia. Quando si avvide che la questione romana e le provocazioni dei clèricali francesi non erano sufficienti a far piegare la politica estera italiana verso la Germania, incominciò a cercare un altro pew da mettere nella bilancia dalla propria parte. La Reggenza di Tunisi, nell'Africa settentrionale, era il più ovvio <Cpomodi discordial> fra l'Italia e la Francia. Malamente amministrata dal locale governo musulmano, Tunisi era facile preda agli intrighi e ai colpi di mano. Contigua al dominio francese dell'Algeria, e divisa dalla Sicilia solamente per un breve tratto cli mare. Tunisi può essere considerata come una continuazione geografica ed economica tanto dell'Algeria quanto della Sicilia. Gli ospiti italiani vi erano assai più che i francesi, e il loro stanziamento era assai più spontaneo e più antico. Ma i francesi erano più ricchi e meglio organizzati, e possedevano le imprese economiche più importanti. L'Italia, quando fosse diventata padrona di Tunisi, avrebbe potuto assalire l'Algeria futura, e tagliare per mare, dalla base navale di Biserta, le comunicazioni tra ]a Francia e l'Africa settentrionale. Se fosse stata, invece, occupata dai francesi, Biserta era Considerata in Italia come un pericolo mortale per la Sicilia. Una soluzione positiva del problema, che conciliasse gli interessi, le suscettibilità, !e vanità dei due paesi, era estremamente difficile a trova~e. Una politica negativa di disinteresse bilaterale avrebbe richiesto, tanto :n Francia quanto in Itali:.., una saggezza sovrumana. Invece la storia della politica internazionale è quasi sempre, in fondo, una storia della umana follia e dell'umana cecità. Bismarck eccitando il Governo francese ad occupare Tunisi, poneva alle prese l'Italia e la Francia. E nello stesso tempo, sperava che la Francia, occupata nel crearsi un impero coloniale coll'aiuto della Germania, av,:ebhe dimenticato pi;, facilmente l'AlsaziaLorena, e .avrebbe finito coll'abbandonare ogni rancore contro la Germania. Come diceva un giornale ufficioso tedesco in questi anni, Bismarck piantava nell'Africa settentrionale un parafulmine per proteggere la Gennania contro una rivincita della Francia. Nel gennaio del 1875, Bismarck scrisse alJ'an1basciatore tedesco a Parigi, che la Germania non avrebbe opposto nessun ostacolo se il Governo francese avesse voluto « sciogliere ]a Tunisia clalla posizione di vassallaggio verso la Porta, e, metterla in 11na posizione di dipendenza dalla Francia n. Il ministro degli esteri frnacese accolse cruesta comunicazione· con « viva approvazione >>. Le conversazioni fLuono riprese dopo la minaccia di guerra della primavera del 1875. Così cominciò a delinearsi quella intesa coloniale fra la Germania e la Francia, che doveva condurre nel 1881 la Francia a Tunisi. E via via che si rallentava la tensione fra la Gern1ania e la Francia, Bismarck non sapeva più che farsene delJe buone relazioni con ]'Italia, e accentuava il suo malmnore contro quella, che egli chiamava la « prudenza tradizionale dells politica italiana ,,. Questa freddezza fra la Germania e l'Italia aveva nn cattivo effetto anche sulle relazioni fr.a l'Italia e l'Austria. Dat,e le cattive relazioni fra l'Italia e la Francia, i governanti italiani non domandav'ano che di essere amici col Governo dell'Austria. Solamente gli estremi gruppi democratici, che rimanevano fedeli al]e idee di Mazzini, propugnavano la politica della lotta • .<.1orlecoll"Austria: allearsi con tutte le nazionalità non tedesche, che erano incorporate nell'Impero degli Absburgo e farle insorgere contro rl dominio tedesco per dissolvere l'Austria nei suoi clementi nazionali, e annettere j territori italiani all'Italia. Ma questi gruppi erano più turbolenti che numerosi. La grandr maggioranza del paese avrebbe giudicalo come una pazzia il mettersi male con l'Austria, mentre la vha stessa dell'Italia era minacciata dai clericali, che predominavano in Francia. Senoncb,,, nella guerra del 1866, J'Jmpero austro-ungarj<;.c, aveva conservato Ja Venezia Giulia e il Trentino. La popolazione del Trentino era interamente italiana. Nella Venezia Giulia la popolazione era mi~ta di italiani e di slavi: i r..ontadini erano qua8i tutti slavi: gl'italiani prndrminavano nelle piu ricche e piu colte classi delle citta. Ora, nessuno in Italia, neanche nei partiti di Governo, concepiva la possibilità di lasciare queste rep;lonj per @empre sotto il dominio austriaco. E qui nascevano formidabili difficoltà. In Austria ne!Ja questione di ulteriori cessjoni di territorio aH'ltalia, tutti, dall'imperatore al più umile saddito, erano concordi in una sola opinione: e questa opinione era contraria a qualunque domanda dell'Italia. Gli amhienti 1nilitari tenevano a vile l'esercito italiano; si dicevano sicuri di batterlo al primo incontro; avrebbero desiderato una alleanza fra l' Au,itria e la Francia contro l'Italia. Il clero cattolico faceva una vivace propaganda fra i contadini di tutte le nazionalità dell'Austria per la restituzione del dominio temporale del Papa. È vero che il conte Andrassy, ministro degli esteri austo-ungarico a cominciare dal novembre 1871, rifiutava di lasciarsi trascinare dai clericali in .avventure pericolose per far piacere al Papa, e resisteva energicamente alle correnti anti-italiane. Ma sulla questione della frontiera italo-autriaca, egli era non 1neno intransigente che i clericali, i mili.tari, l'imperatore. « La frontiera fra l'Italia e l'Austria-Ungheria - dichiarava nel maggio 1874 - è fissata da ora in poi per sempre. L'Austria non può accettare nuovi cambiamenti territoriali, neanche per via di ncgoziati°amichevoli. Si tratta di und questione di principio. Il giorno, in cui noi ammettessimo un cambiamento di frontiera per ragioni etnografiche, sorgerebbero subito simili domande da altre parti, e ,arebbe quasi impossibil,, rifiutarle. Noi non possiamo dare all'Italia le popolazioni, che parlano italiano, senza provocare un movimento centrifugo verso le nazioni sorelle al di là delle frontiere in tutte le altre nazionalità, che vivono alla periferia dell'Impero». Andrassy era dispostissimo ad assicurare l'Italia che l'Austria non aveva intenzione di assalirla, e non avrebbe sollevato questioni come quella della situazione del Papa. In compenso domandava che l'Italia lasciasse mano libera all'Austria nelle questioni balcaniche, e non parlasse mai di rcttiffiche- ai frontiere austro-italiane. Dal punto di rista austriaco, aveva perfettamente ragion~. Ma quelle stesse necessità di vita, che in uno Stato plurinazionale come l'Impero degli Absburgo, impedivano di accettare il principio di nazionalità come base di riordinamenti territoriali, quelle stesse necessità di vita impedivano al Governo italiano di abbanàonare lo stesso principio. Perchè lo Stato italiano era nato per forza di fede nel dù-itto di nazionalità. Su questo diritto solamente, il nuovo Governo trovava la sua base neutrale. Il Governo italiano poteva deplorare, e magari reprimere, come inopportune e pericolose, le m.inifestazioni più turbolente del sentimento nazionale, non poteva ripudiarle, proprio quando era continuamente obbligato ad invocare il di.ritto di nazionalità per afferma re il proprio diritto all'assistenza contro i e::ovrani spossessati e contro il Papa. Non poteva rinunziare :td ogni .rivendicazione per tutta l'eternità. Perciò i rapporti fra i due Governi erano sempre ado,nbrati da un senso di inquietudine dovuto alla mancanza di reale fiducia reciproca. Ques.ta diffidenza invincibile fu sempre il caput niortuum, il cancro roditore delle relazioni italo-austriache; era una antitesi pern1anente, che ad onta di tutti p.Ji sforzi personali dei governanti, c(mdannava i due Sta Li a una lotta per la vita: lotta che poteva rimanere latent-3 ma che non poteva essere mai del tutto eliminata. In fondo, i governanti austriaci desidera~ vano non tanto di avere l'a111icizia dell'Italia, quanto di evitare che l'Italia avesse con la Germania e la Russia rapporti tali che potessero rapprcseut;1re una 1ninaccia per l'Austria. Per questa ragione, J'atteggia,nento di Andrassy verso l'Italia oscillava secondo che oscillavano le relazioni fra l'Austria e la Russia da un lato, e l'Austria, l'Italia e la Germania dall'al·.ro. Fincbè i rapporti austro-russi rimasero malsjcuri, e i rapporti fra Germania e Italia se1nhravano cordiali, Andrassy si mostrava mnichevo]e con l'a1nbasciatore italiano. Ma nel 1873 Bismarck riesciva a conciliare le corti di Vienna ~ di Pietroburgo nelle questioni balcaniche in un compromesso, che doveva rivelarsi illusorio nell'ora di una nuova crisi, ma che per il 1nomeuto sembrava assicurare la pace e la collaborazione fra i tre imperatori di Russia, di Vienna, di Germania. E via via che la cosidetta <CLega dei tre imperatori» sembrava eliminare i] pericolo di una guerra austro-russa per le que- ,;tioni halcaniche, la ccrdialità di Andrassy verso l'Italia si raffreddava. Quando, poi, Bi,marck comincio a dimostrarsi malcontento del Governo italiano " a favorire la Francia, allora anche l'atteggiamento di Andrassy paseò dalla freddezza sospettosa al disrfogno e all'ostilità. Proprio ne] momento jn cui le relazio"1i ,,,tere dell'Italia erano così malsicure da 'un lato con la Francia, dall'altro con la Germania e con l' Au.str:.a, la Qneetione di Oriente entrava in una nuova a<;utissima fase, nell'estate del 1875, jn conseguenza della rivolta degli slavi della Bosnia-Erzegovina contro il dominio turco. G, SALVEMP.il. Lealtàtraoppositori Il Risorgimento ei di verte a polemiz:iare et.mo-o ,tj noi. Il Mondo e H Risorgimento intendono cori la ,jj. i-riplina tea antifasci.Eti: libertà di iminuazioni da parfe foro, ...-ilenzio no;;tro. H RiMrgimento si 8.degna perchè il sig. Bottai ha potuto utilizzare on noatrn c,critto so Matteotti di un anno fa. Con il suo Ftopore il Risorgi.mento dim,,,nra di parlare a vanvera e di aver mai cr,nos:cinto Matteotti: la sua impopolarità e "everità ver"o gJi e;~8. compagni era uno dei caratteri costit:otivi deUa per· sonalità del martire: ne poséOno dire qualcoia CqJombino e Balde.ci. Così stando le cose, noi non crediam<> che sia lecito mentire per evitare le specolazioni del signor Bottai. Questa è la no6tra lealtà di opporitori. Il Risorgimento continua con le .seguenti allep-e osservazioni: CJ Gobetti è anti•dernocrntico perehè segue, incon• sapevolmente, la moda del tempo; è anti-fa.sci~. perchè il fascismo forse turba, più che altro, una oua concezione esteti ca ». Conviene replicare a questa i.nrinuazione con una lezione di politica e di economia? ~oi antidemocratici? Rivoluzione Liberale è il primo mo..,,imento nato in Italia di democrazia europea e moderna. Prima di Rivoluri.one Liberale la democrazia in Italia era rappresentata dalle cricche meridionali, dai « paglietta », dagli avvocali camorristi che tj <:er• vivano delle elezioni giolittiane in complicità coi prefetti. Se il Risorgimento vuol ri...qiscitare questa democrazia borbonica ci chiami pure antidemocratici. Noi non vogliamo avere nulla cli comune con le mafie di Orlando e di Di Cesarò, che stanno a cuore dei noslri amici romani. In quanto ad antifascismo ci sono le collezioni della Rivolu;:;i.one liberale da nna parte e del Mondo dall'altra che possono dire se il fasciroio l'abbiamo capito noi o i signori che nel novembre 1922 erano disposti a trattare con Mossolini alla sola condizione che egli sciogliesse la milizia. ::o;oiabbiamo sempre parlato del fascismo come di nn fenomeno destinato a dorare decenni se gli italiani non erano capaci .,i una rivoluzione economica e morale che li portasse a maturità di popolo moderno. Altro che estetiroio; I nostri contraddittori di oggi, nel settembre 1924 contavano ancora sul dannunziano Del Croi., ! È troppo arguto dunque parlare scherzando della Mecca torinese; quando in fatto di impostazione reramente democratica dell'antifascismo il Mondo deve riconoscere di essere stalo alla nostra scuola: la tattica deÙ'Aventino per noi di Rivolu.=ione Liberale risale al 1922. Amicizia di Gramsci, filocomo.nismo. qui sono diversivi polemici degni di spiriti l.orbonici e inconsci delle condizioni politiche ed economiche dell'Italia settentrionale; nel ::'.'\ordnon ci sono clasa medie che tengano; la lotta antifascista si identifica: nel proletariato e bisogna lavorare lealmente a superare le divisioni che indeboliscono il mo,imento operaio. Naturalmente ammettiamo anche noi che non ~ia facile comprendere queste cose, quando si è amici del fascista Bonomi e del Duca della mafia. G. B. PARAVIA & C. Editori - Librai - Tipografi TORINO-MILA~O-F!~ENZE • ROMA-N~POLI •PALERMO Piccola biblioteca H.osminiana La « Piccola biblioteca rosminiana »- dirella da CARLOCAVIGLIONE,pubblica, in ;erie. opere o parti di opere, edite ed inedite, di A. Rosmini (specialmente fra le edite quelle rare o più significative); pubblica altresì opere espositive e critiche di competenti sulla filosofia e la vita del r;rande roYeretano. che volle ccrichian1are la scienza nazionale ai suoi principii >>. Già usciti: A. Ros~11NI - lntroduzione alla filosofia. Parte I . Discorso sugli studi . Parte II • Dell'idea della sapienza . Parte III · Sistema filosofico Parte IV . Lettere filosofiche L. 7,- » 7,50 » 7,- » 8.- Quest·opera era da tempo esaurita e gli studiosi solo potevano constùtarla in biblioteche pubbliche e private. Effetto dei nuovi progra111mi è stata pilL di una parziale pubblicazione, ma questa edizione in quattro volumi è l'unica integrale. Essa è curata da Carlo Caviglione che aggiunse utili prefazioni, sommari, indici (alla parte lll), opportune note dichiarative, non che riferimenti alle altre opere rosminiane. PIERO GOBE'r:.rr Direttore responsabile. 'l'ipografia Cnrlo Accame - Torino .

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