La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 25 - 21 giugno 1925

LA RIVOLUZIONE LIBERALE Prerisorgimenfo I CONCORDATI tasse. Era una forma dell.a rivoluzione nazionale contro il cattolicesimo internazionale. La lotta per un principio un:ico di sovranità si affermava nella questione dei tributi, del foro e del diritto di asilo. Queste materie rim.asero in discussione dal '27 al '92, e ,J buon diritto dei principi riusci a prevalere. Lo Stato sgominava Je resistenze an listatali, anarchiche del feudalismo ecclesiastico. Non si poteva concjJjare con l'esistenza c.Jj una gju~ stizia lajca, esercitata da organi stata]i, Ja persistenza barbarica di un dhitto d'aajJo che rappresentava una vera e proprja autorità in contrasto con la legittima. Era giusto che 11 privilegio del foro ecclesiastico fosse almeno limitato (1727-1742), dato <;he ancora il Governo non aveva forza bastante per aho]ir]o. I provvedimenti contro le immunità e le esenzioni <lei benefici ecc!esjagtjci poi rientravano in Lutla ]a po]jLica, arditamente intrapresa, di unificazione dello Stato e di rm~uzzamento delle pretese delle classi dominanti e privilegiate. Il concordato del marzo 1727 e quelJo del 1728 autorizzavano Villorio Amedeo II ad esigere tributi dai beni che l.a Chi.esa avesse acquistati dopo iJ. 1619; e nel 1783 Vittorio Amedeo III e Pio VI convenivano di assoggettare a tributi nella misura. di due terzi anche i beni acquistati prima del 1619. L'opera dei principi sabaudi, nei conflitti di giurisdizione con la Chiesa durante il Settecento, è tutta cli carattere politico senza pretese religiose e senza intransigenze rivoluzionarie. Gli storici, da Oriani a Ruffini li accusano cli troppa moderazione. Sn Vittorio Amedeo II pesa l'onta dell'esilio del conte Radicati, su Carlo Emanuele III il tradimento e l'arresto di Giannone. Ma a guardare le cose sul serio è proprio il caso dei carnefici che cospu:ano con le villime. Se infatti per una lotta religiosa chiara e uetla mancava tra noi il fondamento indispensabile di una coscienza nazionale, Vittorio Amedeo II col garantire l'indipendenza dello Stato dalle pretese del Vaticano lavorava appunto per le premesse. I principi di Savoia guardano all'avvenire, ma tuttavia con moderazione e immaturità. Seguono il secolo nella lotta contro i Gesuiti; seno i primi a togliere loro le scuole. La tendenza del primo re si volge a deprimere 1 sovrani poteri dei nobili e degli ecclesiastici, per stabilire l'unità e l'organicità dello Stato: le parvenze democratiche servono all'assolutismo. Nia bisogna convincersi che solo l'assolutismo riusciva in quelle condizioni ad operare in una direzione laica. Ecco che almeno per questo aspetto il despoU! lavorava per la rivoluzione. Senonchè una volta rassegnati a ignorare la libertà e a non proclamare la tolleranza non dovremo stupirci di vedere poi il re scendere ai ripieghi dei concordati, i quali significa'ndo un venire .a patti, lasciavano in discussione la stessa autorità statale. Cosicchè due secoli di esperienze ebbero nn valore laico, appunto perchè acuu:0110 le menti e le attenzioni, abituarono i diplomatici a resistere al Vaticano e ad imporgU le riforme che miravano a seppellire il potere temporale. Si trattava cli preparare gli uomini, i combattenti: intanto si ~arebbere, maturati i programmi e le idee. 1 L'equivoco contro cui si trovaVano a lottare i principi cli Savoia era una tradizione d; ossequio al Pontefice e di rapporti inguaribilmente ispirati all'idillio tra le due autorità. Papa Nicolò V aveva concesso nel 1451, quando Amedeo VIII rinunciò alla tiara, il famoso indulto e i duchi avevano riposato da allora snlla tranquillità di un potere riconosciuto, esteso sino all'autorità -d; dqr riconoscimento ai dignitari ecclesiastici del proprio Stato. La prerogativa era ripagata ad usura dall'ossequio e dalla sottomissione continua. Nelle sfere ecclesiastiche si riteneva che pochi cattolici fossero così concilianti e fedeli come i buoni sovrani piemontesi. È indubitato che proprio a Vittorio Amedeo II spetti la responsabilità di avere capovolta la situazione; ma il secolo che lo precedeue non vi fn del tutto estraneo. La dominazione francese aveva portato in Piemonte i liberi usi della Chiesa Gallicana. L'istituto dell'appel comme d'abus diretto a consolidare l'autorità sovrana contro le invadenze della giurisdizione ecclesiastica fu portato a Torino nel 1539 da Francesco I, ed Ema1mele Filiberto si affrettò a mantenerlo e :;. regolarlo nel 1560. Una seconda esperienza Ji carattere liberale all'estero si potè fare 11 Re, nel tempo che tenne la Sicilia. Gli intenti laici nascevano insieme con la liberazione dal provincialismo. E non è senza interesse notare-. con1e la r1vùlta contro la Chiesa cattolica venisse anche in Piemonte a coincidere con le prime timide manifestazioni di carattere democratico. E nelle Assemblee rappresentative che si parla la prima volta di anticlericalismo per opera e ispirazione del Terzo Stato. Si domanda una refforrnation des ttbbuz et excetz ininioderez ecclesiastiques, tant des prelatz que inferieurs, si protesta contro le ingiustizie quilz se commecte~t en le stat ecclesiastique cn abusant de leurs pretendus privileges. Da questi lamenti alle proposte positive di Radicati non v'era troppa distanza e infatti i propositi di riformare il clero nacquero e si diffusero quasi naturalmente. Tuttavia era più facile ottenere lusingando che minacciando. Il riserbo dei governanti piemontesi corrispondeva ad una profonda ragione di Stato, a una specifica esigenza Ji espansione che consigliava una politica di dignità verso il Vaticano, ma imponeva insieme la necessità di evitare nuovi nemici. D'Ormea e Bogino furono i diplomatici di questa situazione, dalla quale nacquero i àubbi effetti dei concordati. D'Ormea m~ndato a Roma per trattare con la curia le questioni più urgenti vince con le astuzie del commediante, più che con le Tisorse della dottrina. « Davasi a divedere delle religiose pratiche osservantissimo; e solendo il Papa di buon mattino dir messa in una Chiesa poco fre- •quentata, ginocchione ei gli si parava d·i- "nanzi tutto assorto nella preghiera, un grosso rosario snocciolando ... )>. • Si seppe sfruttare sino al fondo lo spirito 0 di conciliazione del cardinal Lambertini diventato papa alla morte di Benedetto XIII. Solo Bogioo non ebbe bisogno cli siffatte scaltrezze per la sua poHtica volta all'abolizione dc1le 1m.anomortc. Ma la situaziQne era considerevolmente mig]iorat..a, nè bisogna dimenticare che lo spirito di maggior conciliazione portato nei dissidi da re Carlo Eman11cle JTJ, servì piutLOsto a consolidare i risultati, rironfennando i concordati contro le nuove velleità controffensive della Cnria, che a continuare il processo, tranne che neHa faccenda della Nunziatura. La politica ilei padre fu creativa e battagliera, il figlio ne seguì in tutti i campi 111ediocremente le ortne. Che cosa rappresentano i concord.ati? Come se ne valse Jo Stato piemontese? Le materie regolate riguardavano piuttosto la sovranità civile che le necessità ecc1esiastiche. Con cinque concordati (1726, 1727, 1742, 1791) si finì per riconoscere al Re di Sardegna il diritto di proporre alla Santa Sede i candidati ai benefizi concistoriali (vescovj e abati). Questo dirillo di intenzione e consentimento era un caratteristico provvedimento di natura giurisdizionalistico, che ci ricorda le proclamazioni intransigenti del Radicati 1e ci mostra il re deciso ad avere sorveglianza sugli affari ecclesiastici. Nessuna meraviglia, se il concetto di una Chiesa Nazionale era in Europa diffuso, per la specifica influenza degli ambienti cli Riforma. Coi concordati del 1727 e 1741 e con un altro del 1749 il Re affermava invece un suo preciso diritto di sovrnnità contro la giurisdizione che vescovi esteri dovessero delegare in dette frazioni un vicario che li rappresenEccoci giunti non soltanto per la cronologia alle porte della Rivoluzione Francese. Il Re di Sardegna mira a farsi riconoscere il diritto delJ'Exequatur sui provvedimenti ecclesiastici; limita la conoossione del braccio secolare. Nè importa che la Chiesa dia a queste riforme il carattere di sue concessioni sovrane. Ciò che si. concede su questo cammino non si riprende. Il futuro è tuttavia salvo. Lo spirito della lotta contro il feudalismo può far agire tutte le sue risorse. Se a q1.1esto punto i sovrani si fermano perchè intravedono nella Chiesa una difesa cobtro il pericolo di novità, l'iniziativa passa ai popoli, le riforme sboccano nelle rivoluzioni. Resta a vedere come i] Piemonte fosse preparato a questo passo. p. g. La politica estera della Destra ( 1871-1876) Gaetano Salveniini, prinia di esser arrestato stava lavorando ad una vasta opera di storia della politica estera italiana do po zl '70. Offriamo ai nostri lettori una parte dei suoi studi sulla politica della Destra. Dopo la guerra franco-germanica del 1870, ~'Italia era in Europa come un viaggiato.re inaspettato, che entra in treno e cerca un posto anche per sè, e così disturba tutti gli altri viaggia;tori che si erano già sistemati. Per dodici secoli l'Italia era stata divisa ia piccoli Stati locali, spesso in guerra gli uni con gli altri. Per effetti di questa disnnione', che sembrava innata nel popolo italiano, tutti i vicini avevano per secoli considerato l'Italia come un paese assai comodo ad utilizza.re negli scambi diplomatici, in cui ognuno poteva entrare quando gli piaceva, prendersi quel che desiderava, ed impiegarlo come pedina nel proprio gioco. L'unificazione nazionale dell'Italia era un fatt0 nuovo che si era determinato inaspettatamente neÌ corso di pochi anni, fra il 1859 e il 1870. E i diplomatici delle grandi Potenze tradizionali dovevano fare un grande sforzo di immaginazione per adattarsi alla idea di questa nuova realtà: gli uomini in crenere e i diplomatici in is1)ecie, sono lenti a 0 ~odificare i loro atteggiamenti mentali, e non ama110 guardare in faccia le nuove situazioni, speciahnente quando la situazione antjca era più conveniente della nuova. A parte quest'attitudine di sdegnoso compatimento, che era tradizionale nei vicini, sta il fatto che nel 1871 l'Italia era realmente uno Stato debole, che doveva affrontare difficoltà formidabili. Oggi, non contando la Russia, che attraversa una fase eccezionale della sua storia, le popolazioni dei p1·incipali Stati dell'Europa si dispongono nel seguente ordine nurnerico: Germania Gran Bretagna Italia Francia Nel 1871 l'ordine era Germania Francia Austria-Ungheria Gran Bretagna Italia 60 47 40 39 milioni )) )) )) assai diverso: 41 milioni 36 » 35 ,, 32 ,, 26 » L'Italia, quindi nel 1871, poteva difficil1nente essere considerata come una grande Potenza. Piuttosto teneva un posto intermedio fra le grandi e le piccole Potenze: era la più piccola fra le grandi, e la più grande fra le piccole. Inoltre, essa non possedeva nè ferro, nè carbone: cioè, mancava delle più importanti materie prime su cui si basava la potenza dei grandi Stati dopo la rivoluzione industriale del secolo XIX. Le sue finanze, la sua struttura amministrativa, le sue forze di terra e di mare avevano ancora bisogno di essere consolidate, se non addirittura create. Sopratutto, il Governo italiano era aggravato continuamente dalla questione del potere temporale del Papa. Oggi non esiste più nnlla della geperazione che vide mezzo secolo fa la fine cli tutti gli antichi piccoli Stati locali italiani, e fra questi, dello Stato del Papa. Maestri elementari, 1nedici condotti, giornali, organizzazioni economiche, organizzazioni dei diversi partiti politici, tutto ciò ha sottratto a poco a poco la maggioranza della popolazione alla influenza del clero. Lo spirito dello stesso clero si è interamente trasformato nell'ambiente politico, sociale e spirituale della nuova Italia. E ultimamente, la guerra mon- \iiale ha smembrato l'Austria-Ungheria, cioè la sola grande Potenza da cui il Vaticano avrebbe potuto, caso maj, aspettare aiuto per la restaurazione del dominio temporale. Perciò la questione romana si e esinanita orainai fino a tali proporzioni che non rappresenta più nessun pericolo per l'Italia, nè nella politica interna, nè nelle sue r,dazioni interna2iionali. Ma cinquant'anni or sono, era questo il problema centrale della vita politica italiana. Il Papa Pio IX rivendicava, in ogni occasione, la città di Roma, e tutti gli altri territori che per undjci secoli avevano formato lo Stato pontificio dell'Italia centrale. Il clero italiano dirigeva la vecchia aristocrazia fedele alla Chiesa, e dominava quasi ovunque le masse dei contadmi, per i quali la parrocchia era la sola forma di organizzazione sociale e di vita spirituale. E così quelle classi sociali, che in tutti gli altri paesi formavano la base dei partiti conservatori, E"i trovavano spezzate in Ìtalia jn du·e sezioni: il gruppo, che teneva il governo, raccolto intorno alla dinastia di Savoia e il gruppo legittimista, che sosteneva la causa del Papa, dichiarava illegittima la unità· politica d'Italia, si asteneva dal votare nelle elezioni politiche, era come rm esercito accampato in paese ne1nico, pronto sempre a muovere al- ] 'attacco. Fuori d'Italia, le grandi masse cattoliche facevano eco alle proteste del Papa e dei cattolici italiani. L'unità politica d'Italia, sorta com'era sulle rovrine del potere temporale •della Chiesa, era descritU! ovunque dai propagandisti cattolici come una creazione del demonio, la cui distruzione fosse il primo dovere di ogni credente. La osLilità più violenta e più pericolosa contro lo SLato nazionale italiano partiva dai gruppi monarchici e clericali francesi. Questi gruppi ritenevano che fosse massimo obbligo della Francia restaurare l'aJttico Stato della Chiesa. I preti raccoglievano ovunque firme per protestare contro la oppressione del Papa e in alcuni dipartimenti della Francia vendev.ano come reliquie la paglia su cui dicevano che era costretto a dormire il prigioniero del Vaticano. Nelle elezioni del 1871 10.3 i gruppi monarchici e clericali avevano conquistata la maggioranza nell'Assemblea nazionale: non riescivano a ristabilire la monarchia; in compenso si afogavano contro l'Juilia. I deputati della maggioranza domandavano che il Governo della Repubblica intervenisse a sostegno del Pupa. E solamente l'autorità di Thiers, il capo del Potere Eseeutivo, riesciva a frenare le passioni esaltate e ad evitare una rottura immediata coll'IuiJia. Ma che cosa sarebbe avvenuto da un momento aU'altro, se la maggioranza eliminava Thiers dal Governo e dava libera carriera ai suoi sentjmenti an6-it.aHani? Per tutte queste ragion:i, molti in Italia' e fuori d'Italia avevano poca o nesruna fede aUa solidità del nuovo Stato nazjonale: ;] quale sembrava continuamente nel punto di sfasciarsi sotto i] peso deDe difficoltà interne ed esterne. Ma l'Italia aveva un grande vantaggio fra le grandi Potenze europee: il vantaggio della sua posizione geografica. La pianura del Po, in.fatti, è a conuitto con i paesi dell'Europa centrde; e per effetto di questa posizione intermedia fra la regione del Danubio e la Francia meridionale, ha sempre avuto una grande importanza militare, e perciò anche politica, anche prima della unificazione iuiliana. Nelle guerre fra i Re di Francia e la Casa d• Austria, quella fra le due Potenr,e cbe riesc;va a controllare militarmente la pianura del Po non aveva più hisogno cli preoccuparsi della frontiera itaHana, e poteva concentrare tutte le forze nel territorio germanico. Questo spiega l'imporU!nza, che fino dal XVI secolo lo Stato della CLlsa di Savoia ba avuto nella politica eu.rope..t: importanza così sproporzionata alJa piccolezza d.el territorio e alla forza militare assolut:1. I Sa\'Oia erano sor,rannominati «i guardaportoni delle AlpL,. Quando si alleavano col Re di Francia, permettevano a una parte dell'esercito francese di sceildere in Italia senza difficoltà, e :n collegamento con le truppe francesi minacciavano il dominio austriaco in Lombardia: e così P Austria era costretta a mantenere una parte notevole delle sue truppe in Italia, mentre la Francia poteva attaccare in Germania col massimo delle p1op rie forze. Invece, quando la Casa di Savoia si alleava con l'Austria, allora la Francia si trovava minacciaui in Provenza dalla Savoia, ed era costretta a dividere le sue forze fra il Reno e le Alpi; mentre l'Austria lasciava sguarniui la Lombardia e concentrava tutte le ,me forze militari sul teatro germani~o. Noi possiamo dire, in linguaggio economico, che la Casa cli Savoia occupava una « posizione-chiave », aveva un « monopolio di posizione )) nella politica europea; e approfittava di questa posizione per inserirsi nel gioco dei potenti vicini. Si alleava con la Fra'ncia per conquistare, con l'Austria per conservare. E così si mangiava il carciofo italiano a foglia a foglia, come diceva il duca Emanuele Filiberto nella seconda metà del '500. Quando con la unificazione nazionale iraliana il carciofo fu quasi finito di mangi.are, la vecchia << posizione-chi ave » non fu in alcun modo svalutata. Anzi la unificazione politica accrebbe l'importanza della pianura del Po: perchè da ora in poi il nuovo Stato nazionale poteva concentrare uell'Italia settentrionale, verso l'Europa centrale, le truppe reclutate in tutta la penisola; mentre prima il piccolo $taterello piemontese poteva manevrare solamente con un piccolo esercito. La penisola italiana con l'isola di Sicilia esercita nel mare Mediterraneo una funzione militare e politica analoga a quella che la parte continentale dell'Italia esercita verso l'Europa ce•Itrale. In tempo di guerra, la Pv1enza che riesce a controllare il Mediterranf'"o, può intercettare i rifornimenti a tutte le Potenze nemiche. Ora l'Italia divide il Medit<-rraneo proprio nel mezzo. Concedendo agii amici e neuando ai nemici l'uso delle sue basi ;avali e il sussidio della propria flotta, il Governo itali.ano rappresenta un fattore importante nell'equilibrio delle forze marittime mediterranee. L'importanza della penisc.la italiana pd controllo del MediterraneQ fu notevolmente accresciuui per il taglio dell'istmo di Suez fra il 1859 e il 1869. Per t>ffetto cli quest'opera, il M-editerraneo diventò ancora una volta ciò che era stato nel periodo classico e nel medioevo: la grande via delle "enti• il passaggio obbligato per il commerci~ n1a: rittimo fra l'Europa e l'Oceano Indiano e l'Estremo Oriente. Per l'Irnpero brùannico il Mediterraneo diventò la via più breve per le Indie, l'artei-ia jugulare Òt ll'intero sistema circolatorio. E l'Italia si stende prnprio a mezzo di quest'art,eria jugulare Ora, precisamente in quegli stessi anni, in cui fu ragliato l'Istmo di Suez, l'Italia si costituiva in Stato unitario: cioè il Governo della nuova Italia poteva da ora in poi ar-' ~are le sue basi navali con maggiore efficienza che non fosse stf,to possibile agli .antichi staterelli locali. E in conseguenza, le alt.re Potenze mediterranee erano obbli"ate da ora in poi a prendere in consideraz~ne l'Italia in tutti i loro calcoli militari e in t~:te le loro iniziative diplomatiche, assai· p1u che non dovessero prima che ;1 Canale di

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