La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 25 - 21 giugno 1925

b 102 Matteottiamministratore ~iacomo Ma_treotti .. ·:. grazie a qualche baiocco s~arso in alcuni paesi - così egli diceva sorridendo - potè essere amministrato.re in parecchi Comuni del Polesine (Fratta, V1llamarzana, San Bellino, Badia, Lend inara, Rovigo, ccc.) in giovane età. Nei Comuni di Fratta e di Villamarzana ebbe anche le fm'.zioni di assessore e di sindaco. Partecipò a~s1du_ameute ai lavori del Consiglio provinc,ale 111 rappresentanza del mandamento di Occhiobello: leader della minoranza socialista. Ebbe la carica di presidente della Dept~lazione provinciale per brevi giorni nel 1914. Escluso dal Consiglio provinciale per sopraggiunte sue incompatibilità, vi 1itornò con le elezioni dell'autunno 1920 che diedero ai socialisLi 38 seggi su 40. Fu membro dei Consigli amtniuistrativi di molti enti ed istituti locali. I problemi scolastici furono O"· getto di suo assiduo appassionalo studi~. Ope'.·a diligenl~ egli diede nel Consiglio provrnciale scolastico coi comp.agni Gastone Costa, Aurelio Balotta e Dante Gallani. La fondazione cli biblioteche popolari e scolastiche il riordinamento delle scuole primarie dei Comuni rurali ebbe da lui grande impulso. Oltre ai problemi della istruzione popol.are si dedicò principalmente a quelli della finanza comunale. Pubblicò parecchi saggi appunto sulla finanza .locale, collaborando al libro :Nel Comune socialista, edito a cura del giornale Avanti! Scrisse uno studio, mirabile frutto di profondi studi amministrativi: Il Regolamento per le imposte comunali. Fu per alcuni anni membro del Consi«lio direttivo della Lega dei Comuni socialisti, della quale tenne anche con molta solerzia l'ufficio di segretario. Nel 1920 promosse l'istituzione di un Ufficio di consulenza legale e di ispezion,, amministrativa per i sessantatrè Cornuni del Polesine, allora tutti amministrati dai socialisti, _facendo affidare la direzione ad un esperto segretario comunale - il rag. dott. Ezzelino Faccini - e al deputato provinciale avvocato Enea Ferraresi, già sindaco di Stienta, co1npetentissimo in materia amministrativa. Il Convegno nazionale dei rappresentanti di 250 Comuni socialisti, tenutosi in Bologna - nella sala del Liceo Musicale - nei giorni 16 e 17 gennaio 1916, gli offrì l'occasione di farsi conoscere come studioso competente di problemi municipali. Il sindaco di Milano Emilio Caldara, aveva terminato di illustrar; la sua relazione sul tema: « Le finanze comunali di fronte ai pesi tributari da parte del Governo ", quando il Matteotti chiese la parola e, ottenutala, oppose al" punto di vista del Caldara, fondato sull'esperienz,: milanese, il suo di esperto amministratore di almeno una decina di comunelli e di controllore ed ispettore di una trentina. Il sindaco milanese, per fare approvare la sua relazione, dovè - non senza disappunto - acconsentire che le conclusioni della sua relazione fossero modificate per quanto riguardava i Comuni rurali. Alcuni dei maggiot-ent1 socialisti furono scandalizznti dalla mancanza di tatto del Matteotti che Eon si era peritato dal criticare la relazione di un uomo in fama di competentissimo in materia amministrativa, ritenuto quasi infallibile! Il Matteotti era un amministratore sevedssimo. Per comprendere questa severit~1 non bisogna dimenticare che era figlio di ru1 rigido conservatore parsimonioso nell'a1n1uinistrazione del patrimonio domestico ed allievo dell'onorevole prof. Alessan,ho Stoppato, conservatore di stile e di razza, parlalllentarc fra i più rappresentativi, militante nelh destra clerico-moderata. A quell'esempio, a quella scuola egli era cresciuto. Anche senza mandati precisi si era fatto con trnllore di pubbliche Amministrazioni. Era l'incubo dei sindaci e dei segretari comunali per la sua diligenza di spulciatore di atti e di bilanci, per le critiche inesorabili, severissime. I bilanci co~unali dovevano essere compi-r lati con onesta 111 realistica con·lSponclenza con le possibilità finanziarie del Municipio. Economie fino all'osso, niente debiti. Se per opere pubbliche di grande utilità e per le scuole mancavano i fondi, si provvedesse aumentando le tasse fino ai limiti rons,,ntiti dalla legge. Compilava lui stesso i prGgetti dei bilanci per i Comuni dove temevs che le sue istruzioni non fossero applicate per l'ostruzionismo dei segretari com1u1ali, i quali approfittavano talvolta della inesperienc,.1 dei sindaci per farla da padroni. I segretari Comunali maneggioni e faccendieri di alcuni Comuni, gli impiegati facili e tolleranti, lo consideravano come un n~mico. Egli non aveva molta stima del ceto impiegatizio e vedeva con sfiducia l'accorrere degli impiegati nelle leghe confederali e nelle sezioni socialiste appena la fortuna arrideva ai socialisti. Avrebbe voluto che fossero sistematicamente respinte le loro domande di ammissione alla lega e alla sezione. Che cosa poteva fare per gli impiegati un partito operaio classista? Egli considerò sempre con scetticismo il movimento per la conquista dei ceti medi delineatosi nel partito qualche anno fa, oggi molto caldeggiato in seno al partito unitario. Si trattava insomma di categorie economicamente improduttive, il miglioramento delle cui condizioni era di pendente dallo spoI.A RIVOfUZIONE TJBFRALE starnento dei redditi e da altre caus" complesse. Urgeva invece provvedere per i lavoratori manuali già proletari. I ceti medi si sarebbero proletarizzati certamente - se pur era possibile - solo dopo un lungo processo cli tempo. corno Matteotti, il rruale fin dal 1910 aveva già scritto in La Recidiva: " Per l'Italia nostra, troppo ricca di delinquenti I' di analfabeti insieme, nelle disgraziate rr>gi()nim<~ridionalit ci permettiamo un uniro ritto di fede, contro ogni dubbio eh" dia VPSte .'lci,~ntifica,fJll'in~rzia, al malvolere; cr,~dia,no all'utilità dcll'i.,truzione, credir.1,mr.1, con l'antico greco sapiente, che sol chi conosce il bene possa operare il bene, crediamo all'istruzione capace di richiamare a più larghi orizzonti il pensiero e l'attività umana, r-rediamo che essa possa insegnare l'altruismo com,:, l'ottima forma di egoismo JJ. ALoo PARINI. Quando tutli gli impiel(ati comunali dornandaronO nuove concli:z;ioni d·i lavoro, egli fece deliberare dalla Lega dei Comuni provinciale che le trattative si ,;volgessero su base provinciale, ed egli stesso vi prese parte attivissima dimostrandosi tcnacissimo neJJa difesa degli interessi dei Comuni. Le trattative laboriosissime concluspro ad un rnpitolatotipo da introdursi in tutti i Comuni per deliberazioni singole. In questa circostanza gli impiegati di alcuni Comuni, solitamente re1nissivi e ossequiosi nei confronti dei vecchi amministratori clerico•modcrati, si dimostrarono ballaglieri e aggressivi. LA PETROLIERA ROMANTICA Il Matteotti aveva già collaborato in riviste e giornali come: La rivista di diritto e proced1,1,ra, dirella daH'on. prof. Eugenio Ji'lorjan di Venezia; Lu lotta,, l'Avanti!, L'idea socialista, ecc., 1na i suoi magistrali articoli su temi di bilancio comparvero nella Critica Sociale solamente quando aveva studiato e lavorato per anni ai bilanci comunali. Con qucst~ base d~ seria preparazione egli ~i pose in evidenza al1a Can1era dei Deputati per i suoi discorsi pronunciati contro i progelli Giolitti del 1920. Membro della Giunta del Bilancio e della Commissione di Finanza, stese parecchie relazioni, tra cui quella al bilancio del1'entrata del 1922. Segretario della Commissione per la riforma burocratica, scrisse frequenti relazioni cli minoranza e per la minoranza fu relatore contro la concessione dei pieni poteri al Ministero Mussolini. 1 Rigido difensore dell'erario in materie di spese, fu anche tenace propugnatore della libertà in materia doganale. Il liberismo doveva essere una scuola di n1aturità polilica e sindacale. Così egli si oppose sempre ai tentativi degli agrari polesani di avere l'adesione dei lavoratori nel sollecitare provvedimenti protezionistici dal Governo. Una volta sola, nel 1920, derogò dal suo rigidismo liberista quando si trattò di aiutare alla conclusione di un patto di lavoro per le risaie del Col"une di Porto Tolle. Si trattava di indurre i conduttori delle valli coltivate a risaia a non abbandonare la coltivazione. L'abbandono voleva dire far ritornare la valle a palude coi suoi miasmi e la malaria, la disoccupazione per circa tremila lavoratori. Per queste considerazioni egli .acconsentì a presentare al ministro dell'Agricoltura una Commissione di conduttori vallivi e di lavoratori , chiedente - ed ottenne - un lieve aumento del prezw del risone limitatamente alla produzione dell'annata nel Comune di Pm·to Tolle. Non volle però avere nessuna parte nella trattazione del patto e fu lieto che io assumessi intera la responsabilità della démarche presso il ministro. Perchè egli mai ebbe in comune con certi riformisti la complicità nel protezionismo. Nel suo ostinato liberismo egli aveva due alleati nel gruppo socrolista: Nino Mazzoni e Emanuele Modigliani. Di quest'ultimo spiaceva al Matteotti l'abilità nelle manovre parlamentari, la scaltrezza curialesca, il possibilismo collaborazionista, ma il vederlo al suo fianco nelle battaglie liberiste dissipò ogni aprioristica antipatia. E Giacomo si legò di affettuosa amicizia al Modigliani del quale ebbe poi sempre molta stima. Per il Matteotti il problema della redenzione operaia era un problema di produzione e di capacità. Si vale per quanto si produce e si produce per quanto si sa. Bisognava quindi educare, istruire il proletario. Come il Proudhon, egli chiamava gli operai all'emancipazione per mezzo del¼ :istruzione. Nel suo Polesine in questo campo vi era molto da fare. Dopo la grandiosa bonifica della terra, vi era da compierne un'altra non meno importante, quella dell'uomo. In questi ultimi anni l'istruzione ha avuto nella plaga fra il Po e l'Adige un notevole incre1nento, ma al tempo della prima agitazione dei contadini al grido: la boie (1884), vi era ancora colà il sessanta per cento della popolazione analfabeta! Giacomo vedeva nella scuola Llll formidabile strumento di elevazione, di indipendenza e di redenzione proletaria. Ma i lavoratori facessero da loro stessi non si affidassero al governo o alla bo1·ghesia. I diseredati si sollevassero con le loro forze. La filantropia, la beneficenza non erano che elemosina poco utile perchè non eliminavano le sventure sociali e nemmeno bastavano a lenirle. Peggio, funziona-.rano talvolta da sussidio sobillatore di fanmùlaggine. Marxista, egli pensav.a col grande di Trcviri abbisognru:e per pri1no all 'nomo la dignità più ancora del pane. La fatica dei migliori, degli uomini di fede, doveva essere rivolta all'educazione delle masse, prima ancora che ad ottenere il loro miglior.amento economico. il salario sarebbe aumentato invano ove l'uomo non avesse perfezionalo la propria educazione. Formare !'nomo ciel lavoro per formare la classe e :innalzarla. La forza collettiva della massa insieme alla capacità per organizzare le forze della produzione e preparare alla gestione sociale. Su questa via di conquista avviarsi con passi progressivi. Non im• porsi mai, ma conquistare e convincere con la propria virtù. Questo il pensiero di GiaL'esule. Rosa Luxemhourg è in Svizzera, esule, non anrora ventenne. Dame hystérique et aca~ rilltn~ la insultano j suoi compagni soc·iaJ-isti polacchi, la rinnegano perché non è patriota, perc-bè da buona marxista non ba voluto oentir parlare di ricostruzione dello Stato polacco. Il s110esilio durerà la sua vita. Sofo nel 1905 rivide Varsavia per qualche sellimana sulle barricate. Ma in nesr,una lellera si trova un suo rjm~ pianto di esule. f,; una donna forte; capace rli stare sedici ore a tavolino surle statistiche. Vuo·le e sa essere una vera rivoluzionaria, al di sopra delle cose umane, patria, famiglia, vita privala. Nessuno può dir nulla delle sue debolezze, della sua vita sentimentale, delle sue vicende pratiche. Il pettegolezzo non l'ha polula toccare, se non con il facile insulto di isterica. Niente confidenze di miserie femminee; delle difficoltà della sua vita solitaria nessuna lamenteJa. Tutto ciò sembrerebbe troppo vicino a un vigoroso ideale, a una falsa e arida costruzione: ed è invece umano come il fondo romantico dello spirito di Rosa, come la sua monelleria di fanciuJla abbandonata al suo temperamento e alla sua spensierata gioia di vivere. La petroliera gioirà in carcere di coltivare fiori come si abbandonava una volta libera all'aperto nei momenti « che la vita ci formicola alla punta delle dita e si è pronti a qualunque pazzia "· Dopo mesi di prigionia si firma: vostra sempre ed incoreggibilmente felice. Con candido entusiasmo legge a quarant'anni un libro di geologia, come una rivelazione e si lamenta « come ci resta poco da vivere e tanto da imparare!». Conservò questa esuberanza di giovinetta sino all'ultimo giorno e fu pittrice, propagandista, letterata, economista, conferenziera, com~ battente, traduttrice; ora osservatrice ironica di particolari, ora umorista sottile, ora preoccupata di meditazioni metafisiche, ora intenta alla strategia rivoluzionaria. Un inguaribile romanticismo le diede il necessario distacco dalle cose, la superiorità sulle contingenze: « Noi viviamo in tempi agitati in cui tutto ciò che esiste è degno di scomparire ». Ecco un suo ricordo, forse il solo della casa paterna. Un mattino prima del levar del sole. Era il momento più bello « prima del risveglio della vita stupida, rumorosa, assordante nella grande caserma/di affitto. La calma augusta dell'o/a mattutina si stendeva sulla trivialità del selciato: in alto nei vetri scintillavano i primi ori del giovane sole e più alto ancora ondeggiavano piccole nuvole rosee, prima di sciogliersi nel cielo grigio della grande città. Allora io credevo ferman1enle che la << v~ta », la << vera J, vita fosse in qualche lontana parte, laggiù, di là dai tetti. Da allora io cammino a cercarla. Ma essa si nasconde sempre dietro qualche tetto. Insomma ogni cosa si è presa gioco di me, e la vera vita non è restata forse laggiù in quel cortile, dove la prima voìta ho letto con Antoato Le origini dell.a civilta? >). Questa scontentezza di sè le pare necessaria per agire. E infatti chi considera mai la sua opera se non con il sentimento della scontentezza di sè << a meno che non sia un deputato al Reichstag o nn mandarino della Commissione generale dei Sindacati? )). Il suo pessimismo ha un 'ispirazione di idealismo e di grandezza morale. « Incomprensibile e :insopportabile - scrive dm·ante gli anni di guerra eh' el1a passò tutti in carcere - mi riesce questo completo smarrirsi nella miseria quotidiana. Guarda la fredda serenità con cui Goethe si teneva al di sopra delle cose. Inunagin.ati a che cosa ha dovuto assistere dm·ante la sua vita .... E con quale tranquillità, con quale equilibrio intellettuale egli continuava durante questo tempo i suoi studi sulla metamorfosi delle piante, sulla teoria dei colori, su mille cose. Io non ti domando di fare della poesia come Goethe, n1a la sua concezione della vita - l'univer~ salità degli interessi, l'armonia interiore - ognuno può darsCla o almeno cercarla. E se tu mi dicessi: - Goethe non era un politico rnilitante - li risponderei: - Un militante deve pii, di ogni .altro cercare di mettersi al di sopra delle cose, altrimenti egli affoga sino alle orecchie e nel primo fango che capila ,>. Perché la sua politica era una cosa sei-ia ed eticamente motivata, Rosa Lnxembourg ha potuto vivere la sua vita in carcere e in esilio. Le barricate erano la sua poesia. Uno spirito goethiano deve guardare nn poco la vita così, dall'esilio; e in Rosa Luxembonrg l'equilibrio olimpico è appunto nna sola cosa col disinteresse dell'esule. Di questi grandi motivi ideali ella nutriva il suo esilio goethiano. La rivoluzionaria. La petroliera ai concede, nelle lettere, trei;ne, riposi di femminilità. « Le donne! per quanto sia sublime il loro spirito vedono le eravatte prima di ogni altra cosa! J), oppure: " Ho parlato all'aria aperta davanti a duemila persone in un giardino con luci di molti colori: era molto romantico 1,. M.a nelle questioni di idee e di partito era inesorabile. Dice Luisa Kautsky, moglie del r, rinnej'.!ato ,, e perciò teste non sospetta: " Sp_ecialmente nei conflitti tra compa,,mi di partito, ella flagellava ogni esitanza come vusillanimità) ogni conceesione r;ri-me deholezza, ogni velleità di conciliazione come vigliaccheria, ogni tendenza a patteJ!h,jare come un tradimento. La sua natura appassionata la faceva andare diritto al fine inte,rrale. Aveva orrore di tutte le concessioni anche di fronte agli amici politici più vicini "· Perciò gli indulgenti polacchi la chiamavano: ,, danie hysterique '!t acariUtre )); ma j] fascino che esercitava era dovuto al fatto che ella fn sempre pronta a subire tutte le conoeguenze dei suoi atteggiamenti. Quando i suoi amici la esortavano a scrivere dal carcere polacco al presidente Witte o al console tedesco, rispose: « Questi signori aspetteranno un_ pezzo che una socialdemocratica (1906) chieda loro protezione e giustizia. Viva la Rivoluzione! ». Pregava che nessuno si rivolgesse « per esempio a Bulow; in qualunque ca.so io non voglio dovergli nulla, perchè non potrei più nella mia propaganda parlare di lui e del governo liberamente come si deve )>. 1;enera per un romanticismo di cospiraton sapeva poi porre i problemi della rivoluz!one con realismo marxista. Dopo l"esperienza deUa prima rivoluzione russa fu decis2mente leninista, anche quando combatteva Lenin. Le sue osservazioni sul 1905-906 sono penetranti. Per es.: « La polizia è impotente contro i movimenti di masse )>. Per giungere d una situazione rivoluzionaria occorre che << l'antagonismo tra !e classi sia approfondito, i rapporti sociali accentuati e chiariti ». Rosa Luxembourg accetta sin dal 1906 i con.siali di fabbrica: <e Altro fenomeno interessa;te della rivoluzione: in tutte le officine si sono costituiti spontaneamente dei comitati eletti dagli operai che decidono sn tutte le condizioni di lavoro, assunzione licenziamento ecc. >>. Ella nota come con;ro i consio-li di fabbrica gli intraprenditori cerchino di intendersela piuttosto con gli stessi partiti sovversivi. In questa eroica .fiducia nelle masse, in questa sicm·ezza della loro ,olontà di liberazione, Rosa Lu..x.embourcrs'è preparata a morire sulle barricate. Er~ convinta che le masse fossero/ più mature dei loro capi. « Perdio, la Rivoluzione è grande e forte a meno che la Socialdemocrazia non la mandi in rovina! "· E nel 1917: « La socialdemocrazia di_ questo Occidente superiore e snluppato e composta di abbietti poltroni che, spettatori pacifici, lascieranno i russi a dis• sanguarsi >). In quattro anni di carcere il suo temperall!ento silenzioso si era nutrito della speranza dell'azione. La pensava fantastic.ando · come si fantastica quando si è da lungo te~po in. carcerati. « Preferirei vedere la storia del mondo diversamente che attrarnrso le inferriate )), osserva scherzando la prigioniera. E si dimentica l'oìimpica serenità una sola volta nella pagina commossa in cui è ricordato Liebknecht. « Ma errare liberamente laggiù, per i campi, o anche per le vie, fermarmi in aprile o in maggio davanti a ogni giardino, a bocca spa~aucata, ossen~are il rinverdire degli albe. rell1 che hanno ciascuno le loro gemme volte a loro modo, vedere l'acero seminare le sue piccole stelle giallo-verdi e nascere, sepolti nell'erba, i priori aster, le prime veroniche, questa sarebbe oggi per me la gioia suprema; io non domando, non invoco altro, purchè possa passa1·e così anche una sola piccola ora per giorno. Comprendimj bene! Non dico di limitarmi in questa contemplazione e rinunciare alla vita attiva e pensante. Voglio dire che vi troverei la mia felicità personale e sarei poi armata e fatata per tutti i combattimenti e tutte le privazioni)>. Così nel carcere si iniziò al martirio. p. g. Oltre alle Lettere dalla prigione 1 si vedano nella bella collezione del Rieder (Paris, 7, Piace Saint• Sulpice): Les prosateurs étrangers modem.es; ROSA LuxEMuounc: Leures à Karl et Louise Kautsky.

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