La Rivoluzione Liberale - anno IV - n. 2 - 11 gennaio 1925

bi 6 Il~R~RHMn ~tlU AUrnH~Ml[ Occorre che gli uomini nU01Ji che agitano oggi un problema non nuovo per l'Italia, il pròblema delle autonomie, non si facciano illusioni cli sorta sulle cliificoltà della loro lotta; non s'illudano sopratutto sulla portala ed il valore d'un largo e facile proselitismo iniziale tra elementi che, in Yerità, non si rendono conto dell 'enonne importanza de.Ila questione. V 'è da far tesoro di tutta la nostra moderna storia fino ad oggi; v'è da far tesoro della recente esperienza politica post.bellica. Il decentramento e l'autonomia, più o meno larga, della regione fu in questi ultimi anuì una ban<lic-,ra agitata da ben numerosi partiti politici, ed una riforma (sic) burocratica doveva bastare perchè da quasi tutti fosse ripiegata. Non diversamente avrebbe potuto avvenire quando m.ancava una pur rudimentale c<lucaz.ionc politica cli fronte a questo ponderoso problema. Altro è chicdece che si salvi lo Stato da una wort.e per congestione progressiva e palese, sperimentabile 111 tutti i suoi anche più cle1nentari organi d'amministrazione, altro t; chiedere cbe 1-ad.icaJmc.ntc se ne rinnovi la struttura fondamentale. Nel primo caso basterà un buon salasso che, mom,;n_ tanca.mente, ristabilirà una qualunque possibilità fun:dona.le; nel secon<lo non s-i dice nulla quando si chiede autonomia dei Comuni ed Enti locali e della regione, o magari.. cle.Ila provincia (ed allora, invero, si dice almeno llll enorme strafalcione), se non si è "preparati a fronteggiare la questione in tutta la sua vastità e complessità, perchè si tratta nè più nè meno, abbia.m detto, che di ordinare su basi nuove lo Stato. Il problema non può essere quindi di amministrazione solamente (sia pure di ... straordinaria amministrazione), ma è essenzialmente politico, nel senso più specifico del termine (potremmo dire istituzionale), giuridico, ec:onomico, sociale. Può una forma di costituzione politica che non sia schiettamente democratica. o socia.le accedere ai posttùati autonomistici? Vi può accedere quindi lilla società capitalistica, ttn ordinamento socia.le che si fonda su l 1a.ttua.lesistema economico e lo sostiene? Infine - poichè il nvstro non è solo rm problema di teoria politica - vi ·può accedere in Italia l'istituzione monarchica.? E' evidente che no. Lo sviluppo de.I. capitalismo nel nostro paese, iniziatosi più tardi che altrove, mentre forse, per le condizioni stesse d'ambiente, più presto che altrove toccherà il culmine de.Ila parnbola, tende logicamente al pi: rigoroso accentramento monopolista d 1ogni forma d'attività. E' necessario al capitalista che da Roma si muovano i fili da cui dipende la vita. d'ogni gTande o piccolo centro di produzione, percbè gli è necessario poter disporre d'un governo che abbia in mano direttamente tutto il paese, per il gioco incontrastato dei trust e del. le speculazioni hallcarie. D'altro canto solo una tal forma di costitnzione rende possibile all'alto ai.pitalismo di manovrare la politica interna ed esterna conforme ai proprii esclusivi interessi, a danno effettivo di quelli generali della Nazione. li capi talismo si sostiene ed ingigantisce - si dirà - anche in pa.esi che di questo accentramento non soffrono: noi non vogliamo dire che la soluzione autonomistica comporti senz'altro l'immediata trasformazione dell'ordi:11.amento sociale · essa è solo un elèmento, abbiam già avvisato,' per quanto essenziale, del problema più vasto che la comprende. Ma è indubbio anche che, se oggj dovesse in Itali;! trionfare, q11esta wluzione coinvolgerebbe UD. fondamentale jn.n.c,- vamento di tutta la costituzione, e però anche de.I problema del lavoro. In questo senso il capitalismo è il più fedele alleato della monarchia accentratrice. Il problema del reggimento politico è per noi infatti - anche fuori d1ogni questione dottrinale - risoluto dalla esperienza storica. li contrasto di federalismo e unitarismo che sof. focò ne.I nostro Risorgimento il problema delle au,tonomie o dell'accentramento, riusci di tutte, profitto della monarchia. E quando la monarchia seppe farsi padrona dell'unità, la soluzione nel senso accentratore del secondo problema fu decisa. - Un'altra soluzione non 'avrebbe potuto riuscire per il nostro paese che come la condizione e insieme la conseguenza prima e diretta d'una costituziorte rep-ubblicaua, poichè la lotta per il sistema autonomistico o accentratore si era già impegnata tra repubblicani e monarchici nel corso della formazione unitaria. Cosicchè oggi - giova esser franchi - sotto le spoglie del p1"oblema delle autonomie, Iisorge la vecchia lotta sopita, ma non mai spenta, tra repubblica e monarchia. Oggi la monarchia resta - nè potrebbe iutendersi alttim.enti un reggimento monarchico - essenzialmente legata al sistema accentratore. Non può cedere d'un palmo su questo terreno. E' forse per questo che i nostri socialisti han sempre guardato con occhio benigno all'istitut.6 principesco. Ci si spiega in tal modo come il partito repubblicano anche nelle ore di smanimento (ricorse invero troppo frequenti) dové conservare il postulato autonomistico, e potè procurare in certo modo su questo punto l'accordo tra Mazzini e Cattaneo. E come, d'un altro lato, si vedano correnti evolute çlel socialismo, fuori. da lontane mire di collettivismo - che solo· può giustificare l'accentramento statale in una cOstituzione socialista -, indirizzarsi, sia pur lentamente, -,·erso il nostro programma, perchè l'ordinamenLA RIVOLUZH.1"'l:. LlbERALE to autonomistico non potrehbe che riuscire oggi un colpo formidabile e forse decisivo all:i società capitalistica. • La soluzione del problema, teoricamente comJCÒ.tau, rge che si traduca nella pratica. Pure eh, non affronta insieme - questo noi vogliamo avvisare - il problema strettamente politico e giuridico della forma del reggimento, e quello economico e sociale dell'ordinamento della produzione, non può agitare seriamente e con probabilità di riuscita la questione delle autonomie. Perchè sono questi aspetti djversi d'un solo problema, il problema d1 una costit.uzjo11e<Jcmocratica o sociale dello Stato. Occorre - a nostro parere - evitare il doppio enore che ha dominato fin qui. Quello di affer. POLEMICA Maxio Vinciguerra, benchè professore, è intelligente, benchè giornalista è galantuomo, benchè democratico-socialistoide, ha per me della simpatia; ma, pu..r troppo, Mario Vinci guerra, (e ciò non m'è agevole perdonargli) s'è rivelato improvvisamente per un mediocre nota.ro. Infatti, •inventariando» su Ri-voluzione Libera/e quella molta polcuta con pochi uccelli meglio conosciuta sotto il nome dj cultura italiana dell'ultimo ventennio, arrivato al tordo Papini e al beccafico Giuliotti, ba detto su l'uno e su11'allro più c.. che parole. Esempio: • Il Croce (così l'amico neo-tabeL !ione, nella rivista sullodata del 16 settembre), era ben lontano da quelli de Lacerba quand'essa comparve; tuttavia è acqµisito alla storia che Lacerba accolse il Papiui già « vociano :& e « et'ociano " e ciò non fµ per un caso fortuito. Il Papini - mi si permetta l'espressione protocol1a,re - rappresentò nel mavimento futurista il plenipotenziario della prima estetica presso il dannunzianismo marinettian.o >. Si risponde: 1'Iario Vinci guerra sogna; e giacchè mentre sogna seri ve, e, scrivendo addormentato, non s'a~rge di scrivere delle sciocchezze, noi gli tireremo, perchè si svegli, un biscottino sulla punta del naso, e gli faremo toccar con mano che proprio tutto l'opposto di ciò che afferma « è acquisito alla storia , . Egli dunque deve sapere (e cercare di non dimenticarlo nel rifar l'a inventario,, la p1·ima volta mal fatto) che Giovanni Papini, il presunto crociano, ha combattuto invece, e fin da principio, le già fortunate rintedescature immanentistiche del metafisico Cimabue di Pescasseroli, ora « superato » dal Giotto di Castelvetrano, conforme è spietatamente dimostrato dai seguenti scritti : r. - Rispondo a B. Croce (Leonardo, novemll{e 1903); , 2. - La logica di B. Croce (Iieonardo, giugno.agosto 1905) i 3. - La religione sta <la sè (Rinnovamento, 1909); 4. - Stroncatura del libro d:i Croce su G. B. Vico (Anima, 19n) ; ~, 5. - StrQncatura del Breviario di Estetica di B. Croce (Stampa, _29 aprile 1913); 6. - Discorso di Roma . Contro Croce (dicembre 1913). E a.rrogi (direbbe Messer Ardengo da Poggio a Caiano) che Papini, scambio d'essere stato accolto di Lacerba • quale plenipotenziario, ecC. >, fondò lui, proprio lui, unicamente lui (infamia o gloria che fosSe - io dissi e dico iniamia -) quell'anarchica, paradossale e turpilo- • quente ri,ista, e ne spalancò le porte al forsennato futurismo, sopratt11tto perchè (secondo la sua natura paradossale) gli piacque di reagire, iu tal modo, papinescamente, contro la crocian.issima «Voce». Ed ora, in11intariati questi primi errori del1'« inventario,, vinc:iguerresco, passiamo ad altri errori molto meno involontari e, perciò, molto più imperdonabili. Il nostro notaro1 dunque, sempre nell'esercizio delle sue funzioni (vedi ancora Ri-voluzione Liberale del 4 novèmbre) parlando de.I tentativo, com'egli lo chiama, giuliottiano-papiniano e di reazione. restaurazione alla Giuseppe De 111aistre, (Ora di Barabba, Storia di Cristo, O-mo Sal-vatico - il quale sarà ripreso, statene pur certi, dalla coppia crvminale -) dopo avermi lodato, anche troppo, per la terza volta (la prima su Rivista di Cultura, la seconda, ahimè! 1 su Conscientia), a U1l certo punto, in questa guisa sj esprime: , Il Giuliotti ha avuto una parte diretta e potentissima nell'avvenimento (conversione di Papini) ; ed io penso che non si possa parlare di lui neanche oggi come un collaboratore del Papini, sibbene come un ispiratore». E fin qui, salvo quella , parte diretta e potentissima», la quale invece fa. parte d1altre cause, prossime e lontane - principalissim.a la guerra -, che spinsero Papini, già da qualche tempo oscillante, in Chiesa1 « ego te absolvo ». :Ma l'amico Vinciguerra (e d'ora in poi, per la crescente acredine che rivela contro Papini, mi comincia a diventar nemico) seguita 1 rincarando la dose, su questo tono: , Sarebbe poco agevole sceverare quello che del Giuliotti è nella Storia di Cristo; ma anche a non conoscere il Giuliotti personalmente, basta aver letto attentamente l'Ora di Barabba per aver seutore della vena giuliottiaua nelle parti sostanziali di quel libro,. Pessimo critico, ii nostro inventaria tare! Papini, in tutta la Storia di Cristo, vastamente e marsi per le autonomie come soluzione di UD problema meramente :-\mministrati vo, girando lo scoglio del reggimc-nto politico e dell'ordinamento ~ociaJe; e l'inverso, cli avanzare troppo astrattamente il problema del reggimento come quasi unicanwntc politico, pon<.-ndo in seconda Lin<:agli altri lati dalla questione. Questi ~rrori non si devono più ripetere e noi si deve affrontare la que,;tione di petto, nella sua in.scindibile umtà. Per noi italiani essa presenta aspetti particolari molteplici; ma inutilmente, crediamo, si cercherà <li risolvere problemi pur vitali, come sono quelli dello sviluppo agricolo e della campagna, e quello cosidetto meridionale e insulare, senza impadronirsi del nerbo di tutti essi. Nodi come questi non si sciolgono che con la spada. RODOLFO MO.RASOI SU PAPINI caldamente dipinge. e, qua e là, violentissimamente scolpisce; io, nell'Ora di Barabba, Io, sul muro, co11la punta d'un chiodo, a for:1..a <li graffi rabbiosi, micidiali caricature di persone e d'idee che mi ripugnano; il mio stile ha l'artiglio del gatto, lo stile di l'apini i1 rostro e ]'ali dell'aquila. Nè mi si creda tanto vile da far l'umile per ipocrisia, o il lustrascarpe a un runico plù alto di me. Perchè io l'altezza intellettuale di Papiui la riconosco, la rispetto, 1'ammiTo, e ne godo; ma plù amo ed ammiro la sua grande luce morale, la sua miscouosciuta. bontà. E seguitiamo: Mario Vinciguerra tentando, puerilmente, d'innalzar me perchè la statura di Papini diminuisca ili quakhe centimetro, così rafforza: , Se ad uno sguardo superficiale il nuovo "Pa. pini può parer nuovo, di fatto è il medesimo vecchio Pa.pini, che per non essersi potuto rinnovare nella nuova materia, soggiace completamente all'influenza dell'amico p1ù forte e più volitivo (sic!!!) e fa un lavoro non molto clis· simile a quello dei monachetti medjoevaJi (Papini!) cbe alluminavano le iniziali dei messali sotto la guida del padre superiore. Il Papini , brillante letterato, è diventato un , brillante letterato cattolico ,,, trn decoratore del pensiero di Domenico Ginliotti ». E qui (ahi ;i.hi Vinciguerra !) qui I'esagerazione laudatoria e denigratoria è cooi esagerata e cosi stupida che non c'è neppm· bisogno d'arrabbiarsi. Questo infelice nctaro fa veramente pietà. i.\-Iaecco, intanto,· che mi sorge un dubbio: io dubito dunque che se io fossi stato non già il cattolico sfregia-grugni di quel) 'Ora di Barabba, che pur avendo fatto fracasso, non è u.séita, infine, dall'Italia, ma lo scrittore cattolico (cioè uni1Jersale) della Storia di Cristo, tradotta come si sa (oh se si sa!) in tutte le lingue de.I mondo, io dubito, clico, che Vinciguerra e soci (non cattolici, e nondimeno miei strani panegiristi) mi avrebbero trattato - sebbene con gli stessi meschinissimi restùtati ~- ,,alla stessa guisa di Papini. Infatti le quercie hanno addosso le fonnicole; e al piede i funghi. DOMENICO Grui.1orn Caro GrnLIOTTI sjamo alle solite. Malgrado gli affettuosi ammonimenti di coloro che ti vogliono bene - è tra questi sono e rimarrò io, anche se tu decreterai di volermi male, perchè ho toccato il tabù Pap,ini - ; malgrado gli affettuosi a:mmo. nimenti, ti ostini a fare lo spaventapasseri della v:igna letteraria italiana. Se il tuo Papini ti pare un tordo e riconosci te stesso in un becca.fico, credi poi che io sia un ingenuo pas5ero? Sono , cose cogni te a noi notaro , come si dice in istile di tabelliçme. Riponi pnre questo armamentario dozzinale per altra occasione; e qua.nto meglio sarebbe che non lo. cavassi più fuori e che pensassi una buona volta che ricadi troppo spesso e troppo volentieri nel primo e quarto peccato mortale. Lasciamo quindi la molta frasca impillaccherata, con cui vorresti frastonarmi, e veniamo ai magri argomenti. Il Papini non è stato crociano? Lasciamo andare! Ho cominciato a 'frequentare casa Croce circa vent'anni or sono, e so troppo bene quello che dico. Che sia stato tra i pri1ui della Fronda crociana questo è verissimo, ed era inutile che approfittassi dell'occasione per rispolverare e rimettere in vetrina alcune coserelle del Papini di anni or sono. (Questi benedetti neo-cattolici, che «reclamisti»!). Ho tenuto conto anche di questo, quando ho detto del Papini che è un , femminile, : il che si dice, in tali casi, nel senso meno buono della pru·ola, nel senso della canzone di Francesco I : « 5 ouvcnt fe1n1ne 11arie , ... « Non. è vero che il Giuliotti sia stato 1 'ispi- -rat01·e, perchè lui fa i graffi e l'altro caldamente dipinge, ecc., ecc. ». Nessuno è giudice in causa propria. Questa è regola per cattolici e per non cattolici, per cristiaui, per turchi e per tutti. Qui si contempla ùi nuovo il primo peccato capitale. Io posso guardare bene o male uno sc1ittore; ma questo scrittore mostrerà pochissimo spirito a dire - in nome proptio o per delegazione - : « No, così non sono bello. Così invece mi dovete guardare». Lo scrittore scriva ed abbia la JXlzienza di tollerare quello cbe si dirà di lui. Così va il mondo, caro Giuliotti, e tu non hai il diritto di ribellarti all'ordine delle cose stabilito da Domineddio, pretendendo d'imbeccare agli altri -il giudizio che più ti piace sull'opera tua e dei tuoi ainici. Cbe poi io non abbia tutti i torti a peru;are che il Papini sia &tato il succnbo e tu il volitivo, <.be gli fai minia.re i to.oi pensieri - magari all'insaputa di tutti e due - è provato dal fatto che quando uno dice cose c]i questo ge:nc-,e chi salta fuori a fare la voce groS6a? Precisamente tu, caro Giuliotti, che mi fai la parte <li quelle mamme popolane, che quando i loro marmocchi banno presa qualche botta in istrada dal com. paguo di gioco, escono fuori scarmigliate, urlanti e con un truUllco di scupa in mano per fare le alte vendette. .Non racco1go 1'insinuazione finale, che non mi riguarda nè p-unto nè poco ed è frutto ,'i poca riflessione. A parte l'esibizione delle traduzione in infinite lingue (quante copie: Che • reclammisti , , <.be ( recla.mmisti > !) crr::do che ntS.Suno, che abbia avvicinata la mia povertà disinteressata e s.erena, pos,;a avere il più piccolo sospetto di calcoli commerciali. Ma se non pi.ù tardi di qualc-he settimana fa ti bo fatto inviare in dono uno schema di contratto v..r un editore, del quale avevi bisogno! Buoni afiad, amici miei; ma bada.te a non f.arvi un'anima da spr<:7..zanti e sospettosi Epuloni. Che il nuovo anno ti rochi salute e santità. .MARIO VISCJt;.UERRA. PRO DOMO SUA Assisto con amara soddisfazione al trionfo della mia filosofia. Devo porr<: da bancia la modestia, e raccomandarla caldamente ai signori dell'opposizione. Subito dopo il '22 i fascisti proclamarono che 1 loro avversari erano in i.stato di totale incomprensione. Ho sempre pensato e detto che i fa. scisti avevano ragione. E tale incomprensione deriva per buona parte dal fatto che molti degli oppositori sono irreparabilmente inquinati <ii quella filosofia crocio.gentiliana che è diventata la filosofia ufficiale proprio de.I fascismo: così Arnendola (vedi La. wlontà è ii bene), cosi Saìvatorelli, Caramella, Gobetti, persino scrittori della GiuStizia. Per tale filosofia la realtà è spirito, ossia, fondamentalmente, ragione. La formula essenziale di siffatta filosofia è, ònnqne in ultima analisi, sempre quella di Hegel ; ciò che è reale è ra.ziocale, ciò che è razionale è reale. Questa formula è suscettibile di veni.- interp.-etata in due modi. Uno è il seguente: ciò che è, pe.l solo fatto che è, lo chiameremo ragione, è ragione. Con questa interpretazione il raziona. lismo iàealista è conservato solo verbalmente; in realtà esso è trasformato in posi tù·ismo •i fatti sono perché sono; non e' è altra s.piegazione dei fatti che la constatazione della loro esis1:elli'.adi fatto). L'altro modo è il seguente: soltanto ciò c-he è ragione, può essere. Questa se::onda interpretazione è quella gennillamente conforme allo spi. 1 ito de.I razionalismo idealistico. E' naturalP. che gli uomini dell'opposizione, inquinati di tale filosofia, questa seconda interpretazione àella loro formula filooofica l'abbiano nel sangue. In base ad essa, ragionano =e segue. Nel: fascismo siamo davanti ad un assurdo, ad un assurdo mostruoso ed enorme. Sin qui sono pienamente nel vero. Ma aggiungono : e pvichè è nn assumo, poichè è irrazionale, non può durare, domani, posdomani ,sparirà. Questa aggiunta - che ricorda i tre stadi dell'illusione di Hartmann o la fede de.I credente che la logica della vita morale si realizzerà nella vita futura - è il grave errore in cui la loro filoeofia li pr<>- cipita. Se si fossero accostati dù1a mia, avrebbero appreso che la formula d;i Hegcl è _wra, se ro--"e· sci<>l.a; che la realtà è eminentemente irraz:ionalc anzi non vuol dir altro che contra.ddizione ed assurdo (già lo spazio e il tempo, categorie fondamentaH di essa, sono le categorie dell 1assurdo, il mezzo per cui il perfettamente razionale Uno eleatico si spezza nei Più, diversi, contrastanti, contraddicentisi, inspiegabili) ; che, in particolar modo la realtà storica umana non è costituita se non da. una serie di ass-u.rdi, chiaramente \·isti come tali dalla ragione al loro primo afiacciarsi e h-apassati, ciò non ostante, in fatto: tipicc,, il caso del Cristianesimo. Se si fossero famigliarizzati con queste mie idee, gli uomini dell'opposizione avrebbero forse edta.ta la meritata accusa d' incomprepsione mossa loro dai fascisti. Non avrebbero con1messo l'errore di: pensare: la situazione attuale è assurda, dunque domani cesserà. Avrebbero pensato : è assurda, dunque non c'è nessun motivo per cui domani debba cessare; anzi: dunque ~ probabile che continui. lo (posso legittimamente dare questo esempio soggettivo, -~hè tutti ~ giudizi in questione sono fondati ugualmente m una visuale soggettiva) io dico: l' •attualismo> è un assurdo è tllla paz.z..ia,non può durare. Esso ha conquistilto buona parte delle menti della nuova generazione. Tutti diciamo: la situazione politica attuale è fonn.ata e diretta da.. irrazionali. Verissimo. Ma ciò nou vuol dire che debba cadere. Bisogna arrendersi al pensiero da me svolto in quasi tutti i miei libri: che il mondo è irr,1zionale, la realtà ass~d.a, le cause perdute quelle che razionalmente dovevano vincere, le cause vincitrici quelle che avrebbero dovuto perdere, la. ragioue motivo d'insuccesso delle prime, l' grrore e la demenza condizione di trionfo de.Ile seconde. Offro questo pensiero, come viatico di consoln.zione, agli uomini dell'opposizione. GIUSEPPE RENSI

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