La Rivoluzione Liberale - anno III - n. 35 - 23 settembre 1924

INVENTARIO II. In curva L'aspetto comune degli avvenimenti, che ho cere.a.Lod1 tratteggiare nel precedente stud10 è che da punti di partenza diversi per vie diverse ,con inLenzioni diverse ~ col proposito di fare il contrario tutti c;n. tribuirono, nei primi quindici a~ni del secolo, a una visione frammentaria della vita. Furono tanti Curiazi, che si trovarono, nell'ora tragica., sparpagliati di fronte al nemico comune, che era una grande crisi storica sopravvanzante. E' stato un fenomeno g·enerale, perchè la crisi era generale; m Italia lo sbandamento si è visto in forme più spettacolose, perchè le condizioni della . nostra cultura erano diventate più precarie, per le c1rcostam1eche ho acoennate. Si apre quindi colla fine del 1914 e non è ancora chiuso un periodo caCJticodi transizione molto difficile a cogliere nella sua fisionomia, perché oltremodo fluido. Esso però porta, più o meno visibili, le impronte del mancato equilibrio, che il-.Croce cercò invano d'imporre nel periodo precedente. 11 Croce si trova anche in questo in una posizione preminente, e talvolta finisce per soggiogare il pubblico; ma i rapporti tra lui e la letteratura in voga (l~teratura nel senso ampio, culturale) sono quelli che seguono le disillusioni dei mattimoni male assortiti. E' la fase della cosidetta incompatibilità di carattere. Questo spostamento di rappo11Lic, he costituisce il primo tratto saliente del nuovo periodo, si determinò fin dal principio, appena dai circoli politici si riversarono nel gran pubblico le preoccupazioni e i dissensi intorno alle sorti che si apparecchiavano all'Italia, se avesse partecipato alla guerra. Si vide allora e poi durante la guerra un fenomeno, che parve strano ad osservatori superficiali, ma che era la riprnva dell'equivoco, su cui poggiavano già da prima i rapporti tra il Croce ed il pubblico italiano. Alla vigilia della guerra il Croce, salvo alcune inconciliabili, ma sorde resistenze nel mondo accademico, non aveva avversari app110zzabili.Tutti erano crociani - compresi i primi dissidenti, che partivano dalle premesse dell'Estetica, compresi i futuristi, che gli facevano 'le boccacce e non si accorge- ,'ano di mendicare a mal dedotti corollari' della teoria dell'arte come lirica il magro sostentamento per il loro pietoso esibizionismo. Tutti crociani, dunque, e nessuno crociano. Tanto vero che quando l'irrompere della guerra - come avviene nei cataclismi del mondo fisico - mise a nudo il vero essere di ciascheduno, e il Crooe sentì sùbiio i-I dovere di cittadino e il bisogì'lo di pensatore di prendere il suo po;,to e di chiarire la sua condotta, si vide in poco spazio di tempo abbandoriato quasi per intero dagli innumerevoli crociani della vigilia. QueS'to è un punto delicato pel ricordo dei molti motivi passionali che si mescolarono - com' era fatale - agli avvenimenti ctell' anno 1914-15: Probabilmente l'isolamento, nel quale si trovò allora. e durante la guerra il Croce, fu acuito proprio .<laun mòtivo di ordine psicologico. Il Croce non è privo - C()me purn si è, detto - di corde sentimentali, ma aborre per istinto dai moti della passione. Questo certamente accrebbe l'incomprensione iniziale. Ma il nocciolo di quella incomprensione era altro e più profondo. Mettendo da parte, come qui è necessario, la m,aberia specifica dei dibattiti politici del tempo, e cercando di risalire al conflitto di mentalità, che può illuminarci intorno al sottinteso spirituale della crisi politica, che non può dirsi ancora chiusa è chiaro che il Croce non poteva accoglie;e in una visione armonica della vita una guerra, c_he,sfrondata da slanci passionali dei quali non sentiva l'eco, si presentava, -specialmente per l'Italia, come una di quelle 'fratture irreparabili_ della stona, la quale scrollava una trad1z10ne _europea., di cui ·appena da qualche decenmo 11nostro _paese aveva potuto raccogliere an: ch'esso alcuni frutti. Ciascuna delle grandi potenze, che erano gÌà in conflitto, in modo diretto o indiretto, intenz10nalmente o no, aveva mosso qualche forza, che aveva_~eterminato il funesto evento; ma la politica italiana, specialmente nel_ nuovo secolo, aveva agito sotto una continua pre_occupazione che un avvenimento fatale si venf;- casse e nella continua ricerca di stah:ti,·e un equilibrio di forze. Non era allora da sperare che ad essa fosse dato di_mauLcn_er•! una simile posizione, da princ1p10 1mbarnzz,ante e spinosa, non priva per altro d1 vioore morale neUa sua indipendenza; ma che le avrebb·e permesso in un migHore domam di trovarsi forse aUa testa di un nuovo equilibrio europeo ? . . . Quale che fqsse 11valo'l·e politico_~ntmgente di questi pensieri, è facile mtender~ come essi fossero perfettamente coerenti con la mentalit:à del Croce inteqrale, che ho cercato ai tratteggiare nel precedente stuLA Rl VOLUZiONE LLUERAL~ DI CULTURA dio. Anche l' immagine di un'Italia raccolta in sè stes~a - riflessiva, non abbandonata a corpo perduto nei marosi delle passioni politiche fuggevoli e non preoccupata della solitudine - quale il Croce doveva certo accarezzare con commossa fantasia, anche se non teneva conto, per eccesso di affetto, di alcuni elementi ancora deficienti neI carattere civico dei compatriotti, rispondeva senza dubbio al temperamento ed all'educazione di colui, che accarezzava quell'immagine. Ma proprio per questo era naturale ohe i crociani a metà, da quelli della Voce a quelli dell'Acerba fossero nella impossibilità mentale di cogliere nel pensiero politico del Croce il senso della continuità nella vita, della tradizione nella storia,· infine quella profonda sostanza conservatrice, che non aV>evanocolto nel Croce filosofo e letterato. Tutti quei frettolosi seguaci deU'intuizioni:,mo semi-crociano trovarono invece durante la guerra uno, sbocco naturale e una compiacente gistificazione in un' altra forma teorica, che per la faciLeiformulazione e per la sua stessa schematica rigidità toglieva l'assillo del continuo controllo mentale, che è la valvola di sicurezza dell'ideal-isrno critico, chei caldeggiava il Croce fin dal 1903 (si ricordi anco~·a il programma cit. clJella Critica). Fin dal 1917-18, dunque, si poteva diTe che la « filosofia di moda ,, era l'idealismo attuale o attualismo di Giovanni Gentile. In Rubé ciel Borgese - che è indiscutibilmente uno dei libri più significativi clJell'immediato dopo guerra - un personaggio, lo scienziato « fine secolo XIX ", deluso dalla triste ,e sconvo·lgente realtà della guerra che ha sovvertito i più sottili dati speculativi, finisce per dire: « Io credo che bisogna avere un grande rispetto per le cose che· accadono. E' quella che si chiama la volontà di Dio. La guerra è stata un'immensa cosa, gigantesca, e bisogna guardarla con riverenza, con osse_quio ». Il Borgese ha mes;sosulla bocca di questo suo personaggio, in termini precisi, l'espressione di un sentimento che con giusta intuizione aveva colto nell'aria, in forme diverse. indistinte e confuoo. Lo sctenziato del roma~zo il quale dalle sue delusi.cmi è riuscito a salvare la modestia dell'uomo di studio, conclude con onesta semplicità: « Ora bisogna pensare a vivere qanto più umanamente è possibile e a non dimenticare. quello che abbiamo vissuto ". Padre Mariani - l'altro personaggio del romanzo - ·concludeva che bisognava cercare di accostarsi con più ri_verenza di prima alla volontà di Dio. E l'una e l'altra conclusione si trovavano sulle vie maestre del pensiero umano nell'era cristiana; ma nessuna delle due poteva avere una piena risonanza nel cuore avvelenato di una ge, nerazione, che si trovava a faccia a faccia con una fine mediocre, insoddisfaoonte, di una guerra apertasi nel colmo di una crisi morale. Era inevitabile che lo stesso orgoglio che aveva gonfiato e sviato gli uo~ mini durante la guerra, trovandosi non soddisfatto si ribellasse a piegarsi davanti alle prime prove degli errori .commessi, e proseguisse invece rapidamente pei:. tutta la - catena degli errori, passando dal « rispeUo per le cose che acca_dono'.' al • « cu)to del fatto compiuto", umca gmst1ficaz1one d1 anime vaganti, che hanno estirpato ogni radic,e che s' immerga profondamente nel terreno della fede o della tradizione o della s'Cienza. Una generazione che non era riuscita a coordinare le proprie idee - anche prima che la bufera gliele sparpagliasse ai quattro venti -; una generazione, che aveva preso il cinematografo come propria norma mentale per la visione della vita, era naturale che· si gettasse con fervore su di una filosofia che almeno ai suoi occhi, accarezzava i s~oi g'usti e copriva le sue deficienze. La fine del secolo XIX aveva idoleggiato il superuomò, l'era contemporanea. idoleggia il superatto essi;ndo incapace di r1conosoere e fissare n~lla mente anche l'unità uomo. E siccome ogni epoca, come ogni paese e ogni individuo ha il so:vrano e il filosofo che si merita, quest'epoca e questo pa,ese hanno avuto il filosofo dell'atto puro. li panloo·ism·o gentiliano, nella sua elastica astrattezza e nella facilità di mecca,mzzazione dialettica presta i suoi trampolini a tutte le spiegazioni ed a tutte le giustificazioni ·anche meglio del lattnorum di Don Abb~ndio. Nel gioco dialettico ricco di sottintesi capziosi tra la logica astratta e la Joo·icadella realtà e con tutte le scappatoie di° uno stile da iniziati - che dà una tal quale idea di massorue-ria filosofica - s.i presenta come una delle tante. forme dell~ sofistica una- forma affine, pei suoi effetti pratici ~l probabilismo dei gesiti. Nella vita culturale contemporanea speittavà' dunqué al Gentile di portare alle ultime consèguénze e ridurre m formule àstratte preéise e sistematiche la deviazione di pensiero, che ebbe origine dalla prima 8stetù:a del Croce e giunse alla Voce ed al Marinetti. Il Gentile è in certo modo il teologo del futurismo. . * In questo momento la filosofia del prof. Giovanni Gentile è impartita in pillole indigeste nelle scuole medie, come una trentina d'anni fa la filosofia di Ardigò attraverso i compendi del prof. Giovanni Marchesini: segno evidente che anche quella percorre la sua parabola verso il luogo comune. Ma le condizioni generali della cultura, per le ritgioni sopra esposte, sono tali, che non permettono che si determini a breve scadenza un nuovo e netto indirizzo di pensiero. Anche questo fenomeno non è solamente it_aliano: in Italia è più evidente, e dà più viva quella perplessità di chi si trova nel mezzo di una curva, e già ha perduto di vista il punto di partenza e non vede ancora quale potrebb' essere il punto di arrivo. Se si cerca di dare un'occhiata complessiva al panorama necessariamente confuso di una vita. culturale ancora informe si vede da una parte la cultura ufficiale, accademica in condizioni ancora _più basse di prima, più di prima distaccata dal pubblico e dalla vita, e da un altro lato alcune isole culturali, che si vanno formando laboriosamente e che reagiscono in maniera diversissima l'una dall'altra, e quasi sempre ignornndosi. Ciò indica abbastanza quanta via ci sia ancora da fare perchè si possa parlare di un movimento di vera e propria ricostruzione della nostra cultura. Ma è già un sintomo importante quando il malato sente di essere malato e desidera affannosamente! di guarire. Per rintracciare i primi segni di questo senso di malessere, che era il sentore di una crisi avanzante, bisogna rifarsi un poi indietro ed a documenti non di pensiero, ma di poesia. Il sentiimento vago e indistinto di qualche cosa; che manca nella propria vita è in Pascoli. Quello stesso insistere sulla inobliata tragedia familiare e sulla dese,r\a, giovinezza, è, se si guarda tutta intera la vita di Pascoli, un intimo bisogno di giustificare anche ai propri occhi, con un avvenimento di una consistenza incontestabile, una esistenza caduca, senza un potente nucleo vitale; lo sfogliarsi inerte, al vento della sera, di un fiore tenerissimo. Si aggiunga, per determinare con esattezza l'injìuenza di Pascoli, che gli ultimi sforzi per· un• ritorno a Carducci, mediante la poesia storica e civile, produssero cose mediocri, di andatura accademica, che non ebbero 1,isonanza nel pubblico. Quello, per cui batteva il cuore dei giovani « decadenti" italiani era il fanciullino pascoliano, in cui c'è qualche cosa di malato e qualche cosa di viziato. Di là discendono in linea retta sia la poesia dei crepuscolari, sia la divagante critica di Renato Serra, come giustamente ha fissato il Borgese. (V. Tempq. di edificare - Milano·, Treves - « Le mie letture", V.), e sia, aggiungerei io, la prosa lirica di Alfredo Panzini. Il -tormento interiore di Pascoli suppone il .riconoscimento di un ideale, di vita compiuta e virile (l'ideale carducciano) non potuta raggiungere; nei crepuscolari tutti insieme si affievolisce fino ad un sospiro e ad un soffio•il motivo lirico derivante da quel contrasto; la vita ristag·na, rispecchiando le cose su di una superficie tremula allo SI?_irare della brezza. Tutti i motivi lirici si adeguano a quella diminuzione di sè stessi accettata per accidia - in sostanza una forma raffinata di egoismo. Qualche mese prima dello scoppio della guerra europea usciva un libro di critica di Renato Serra, intito~ato Le lettere: una rapida,. talvolta frettolosa rassegna della Letteratura giovanile del tempo, fatta con un tonD tra sprezzante e infastidito e che si chiudeva con risultati desolanti. La giovanissima letteratura, com;i il « giovinetto " giustiano, portava in fronte il segno della vecchiezza precoae e della sterilità. Da quella palude .emergevano il Gozzano e il Panzini, appunto perchè erano riusciti a colorire d' un sorriso poetico la rinunzia, l'abbandono, l'adagiarsi dell'anima in un molle rimpianto. Questa è la parte più veramente negativa dei crepuscolari, che il Serra metteva a nudo senza pietà; .ma c'è nei migliori tra essi, quali il Gozzano e il Panzini, c'è un malessere, come un vag9 senso di « Paradiso perduto ", che se non riesce a liberarli dall'incanto di Circe, li ha già disillusi sulla sostanza dell'incantamento, e sulla propria abbiet,tez~a., e li spinge a drizzare lo sguardo umido e desideroso· verso forme di vita, che si sentono irrimediabilmente perdute· o irraggiungibili. (Ricorda Le due vie del Gozzano). Se essi rimanevano insensibili al male alll tempo - come i futuristi, che se ne facevano belli - avrebbero fatto part,e per intero della corrente comune; ma il _tormento che essi soffrono talvolta per loro male li salva in parte e dà ad essi un presentimento di avvenire, per quant-0 confuso e balbet- ,tante. 143 g lo stBsso Serra, che, nel 1914, era giunto ali' insofferenza •sdegnosa., sprezz.a.nte, non era che un crepuscolare della critica, lui, cosi geloso del suo provincialismo, cosi diseguale e indocile nel lavoro e lento nel!a sintesi, e poi non pago nè di sè. nè degli altri, e, sotto apparenze di non curante, assillato dal pensiero di mancare alla propria vita. Erano malati, che dovevano essere tenuti con tutti i riguardi. Invece furono p,resi in mezzo ad una grande crisi politica, che ii inghiotti. Ma non prima che dessero gli ultimi soffocati gridi di naufraghi con due scritti, che restano senz,a dubbio tra i più significati vi della nostra guerra: l' Esanie di coscienza di un letterato del Serra e il Diario sentimentale del Panzini, testé pubblicato. Il Serra sente veramente in quell'ora la miseria ùel piccolo dramma della propria generazione, che non riesce ad adeguarsi al gran dramma che romba tutt'intorno. Malgrado ogni suo sforzo non riesce a dare un intimo significato all'aggregal-0 d'immagini e d'idee che ribollono; ma l'orgoglio innato e acuito nella ùiffidente solitudine provinciale gli vieta di riconosoere chiaramente e semplicemente che si era trovato davanti ad un fenomeno enormemente complesso, che richiedeva riflessioni profonde, concentramento spirituale, sintesi e sopratutto ginnastica della volontà; e quindi egli si getta nelle tesi negative, che, nel loro assolutismo, danno l'illusione di chiudere una volta per sempre il dibattito pieno d' incognite, e di mettere in pace - sia pure con una pietra sepolcrale - l'affannoso andirivieni del pensiero. E', in tono minore, l' illusione leopardiana (« or poserai per sempre - stanco mio cor »). :via che sia un'illusione lo dice anche questa volta la palese contraddizione di questo intellettuale, che dopo essersi accanito a strappare ogni velo, per fissare il lato funesto, turpe della guerra, per togliere ad .issa ogni speranza di avvenire, quando suona l'ora della guerra anche per I' Italia, ci si getta dentro a capofitto, con la speranza opposta di placare nel massimo di una cieca attività quel- !' affanno, quell'incubo dell'incertezza, eh~ credeva di aver seppellito coi suoi dinieghi. Egli termina riconoscendo che le basi della sua vita d' intellettuale, di critico, sono venute meno ; ma il suo essere « non è che un fremito ", al quale si abbandona senza domandare altro. La sua sola certezza non è ormai che quest1: che si vede attorniato da un popolo di combattenti ~ non si sente -più solo. Egli ha paura del vuoto che ha fatto intorno a sè stesso, e cerca una liberazione che è agli antipodi dal suo temperamento, dalle sue opinioni e dal suo abit-0 mentale. E per avere una più completa idea della posizione del Serra, specialmente negli ultimi tempi, si noti che la parl,e critica dell'Esame di coscienza, era critica sopratutto dell'ideale « ferino » del D'Annunzio e del- ]' ideale «dinamico» del Marinetti, che gli avvenimenti, in quello che avevano di esteriormente fragoroso, parevano rimettere di moda. Contro tutto quell'agitazione gonfiata dalla letteratura il Serra, per impeto :!i contraddizione, si sente portato a vedere la guerra addirittura come un fenomeno statico: ' La guerra è· una vecchia lezione che non cambia nulla assoluta.mente nel mondo. Neanche la letteratura ..... D'Annunzio che ha guadagnato in questo momento in realtà con tutto il favore delle circ(.,-stanze e della fortuna non è poi cresciuto di nulla; non ha fatto niente che sia degno di quell'apparente ingrandiment-J mo:rale (che è la guerra) ..... ..... Del resto la .guerra .è una perdita cieca, un dolore, uno sperpero, una distruzione enom1e ed inutile ... Alla fine tutto tornerà press'a poc:o al suo pOb'to. La guerra avt·à Huuidato una. situa_ zione che già 'esisteva, ma non ne avrà creata una. nuova.. MARIO VINCIGUERRA PIERO 60BETT1- Edifo1112 TORINO - Uia XX Settembre, 60 Dovere di ogni abbonato della « RiYoluzione Liberale » è di abbonarsi subito alla prima serie dei QUADERNI DELLA RIVOLUZIONE LIBERALE Integrano l'opera de1la rivista e raccolgono gli scritti fondamentali della nostra cultura politica. PRiìl1A SERIE r. ì\1. Missiroli: li colpo di Stato L. 5 2-3. V. Nitti: L'opera .di Nitti » 12 .,, 4. A. Cappa: Vilfredo Pareto ,, 6 5. S. Mili: La li~ertà, prefaz. di L. Einaudi » 8 6-7. L. Sturzo: Sintesi sociali, con una storia del movimento pòlitico cattolico in Italia » J.2 S. A. Poggi: Socialismo e cultura . » 8 9. O. Zuccariui :Lo Stato répubblicano » 9 10. G. Gangale: La rivoluzione protestante . » 8 L'abbou8.ll!ento alla prima serie costa solo 50 lire. - I volumi si spediscono agli abbonati chè hanno pagati raccomandati franchi di porto. Chi possiede già uno o due volumi può abbonarsi ai rimanenti togliendo all'importo L. 5 per ciascun numero 2osseduto. Fino al 15 Ottobre gli abbonati di « Ri voluzioue Liberale,, potranno abbonarsi alla prima serie dei quaderni spedendo vaglia di sole lire 45 (quarantacinque).

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