La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 9 - 10 aprile 1923

s~uole cli metodo, da cui nacque poi tutto il giornalismo scolastico dello stato sardo. Fu un vero Slurm,_u.nd-d.1·ang pedagogico che ebbe, .uonostante la fretta una forte ef6cacia nella formazione dell; classe dirigente che guidò l'esperienza del '48-49. Dopo la gueiTa il problema si ripresentò nella forma più urgente, imprescindibile. Il 11u.ovostato, costirt:wito a democrazia scuza pàrtecipazione popolare, doveva prendere la sua posizione e la sua responsabilità di fronte a partiti inesistenti o immaturi, doveva affrontare un compito ikleale, non ancora sentito dai cittadini, l'istrnzione del popolo, e preparare per questo un.a.classe di maestri. I'er tale esigenza la politica scolastica liberale doveva venir sacrificata provviso!'iament,e a una politica scolastica unitaria e i_uman- .:aru,a citi nna morale e di uno spirito uazionale e laico si tentò di creare nna scuola di stato. La psicologia dell'italiano di fronte alla 1,-cuola fu caratteristicamente piccoloborghese e, per l'impotenza d~ preparare sntti.azibn~ sto1;che concrete d~ maturità, vagheggiò di sovrnp1xirre sui dissidi delle anime una tinta comu.ne di cultura generale ottimii:stica e borghese. Il dilettantismo della erudizione e la retorica fiduciosa dell'autoincensamento sostituiva la coscienza del produttore e la responsabilità del realista. Bisogna riconoscere tuttavia che tali vizi nacquero origiuariame.ute come ripari· 'della necessità; e l'espediente della scuola di stato venne alimentato in coscienze per natura libertarie o liberali. Dalla libertà come da punto di partenza inconcusso movevano per esempio Bertrando Spaventa e Domenico Berti : ma la libertà del Berti era quella del ,:-attolico diventato liberale per influenza dell'economia inglese e della recente esperienza 5toriqi; Spaventa cercava la li.bertà sognata da Cuoco e da Colletta nella g,i,ustificazione teorica di Hegel. Non pateva dnnque sfuggire allo Spaventa il carattere della civiltà m.cder:ua che noii chiede organi o istituti per u.na propagaiida dogmatica, ma si serve d~ tutte le antitesi e di tutte le critiche: egli infatti rifiutava ·irr1sede teorica persino il .:oncetto di una ,s,cuola di stato. Ma lo stato imliano, o per esso lo stato piemontese, deve difendersi <l'Ì! fronte al pericolo clericale; per- .:iò anche Spaventa pensa a un insegnamento ufficiale, timoroso della prevalenza cattoii'Ca, almeno fino che non fosse tolta alla è~iesa la. posizione di p1;vilegio -in cui la metteva il primo articolo dello Statuto. Il pensiero dello Spaventa nel r85r era dunque -identico col pensiero del Berti nel '49. - Senoochè ,1 Berti a due annà. di distanza aveva attenuato la polemica anticattolica, e colla libertà della scuola voleva avvicinarsi a Cavour per preparare intorno a lui la nota concentrazione, che fu per il Piemonte non infe- ~onda di successi politid. Anche il liberalismo del Berti dunque nascondeva un equin.-cv. Egli aveva compreso dall'esperienza della prima guerra che l'unità d'Italia sarebbe avvenuta soltanto mediante la transazione coi cattolici : perciò •verso la · scuola .:-attolica egli non, poteva pùù nutrire timori di sorta, anzi era tratto a considerarla come fattore primo d~ nazionalità. Un terribile problema poi incombeva sul nuovo stato: l'educazione di tutto il popolo; e a compiere questo dovere, secondo il Berti, bi.sognava che si t111iisserogli sforzi della nazione intera, senza distimzione di partiti; a questo solo patto era possibile la lotta contro l'analfabetismo: bisognava concedere la libertà d'insegname.nto a tutti, la libera concorrenza. avrebbe permesso poi che solo le .-;,cuolenuglton prendessero svilupJJO completo : le scuole limitate confe.<ss.ionaE non a- ,rrebbero avuto mai vita vigorosa : ~i sarebbero affaticati i liberali al lavoro a fondare anch'essi scuole private modello', e a dare "l'esempio ci sù era messo il Bert~ s.in dal '50. }.,fa un avversano della libertà scolastica poteva per le stesse ragioni storiche obbietta1·e: di fronte all'immensità del problema òisogna che da parte del governo venga u.na parola decisiva: lasciar la scuola alla bbera concorrenza vorrebbe dLre cond,urnare le region~ più povere a non avere scuole, a non èOmbattere l'analfabetismo: vorrel:}be dire r~nclere impossibile l'unità. Bisogna dunque che 11nuovo stato affermi la sua laicità anche a costo di sovrapporsi alle iniziative private: _b1_sognache s'impegni a da.re la scuola a tutti 1 comuni E se questo n~u fu il pensiero esplicito di Bertrando Spaventa diventò tuttaV'ia il urogramma del governo, che non si accont~ntò ,~1fare, ma ,·olle, e continua a volere stratare. ' Nel mon~ento presente nn'attiV'ità scolastica troppo mvaclente dello stato si riduce a sostituire· alla coltura i pregiudizi della burocrazia. Del resto Monti ha dimostrato che la Flit~ca scolastica dello stato italiano dopo il 70 e stata tutta orgamcamente diretta con i pregiudizi della- cultura generale, dell; neutralità del sapere scientifico, ecc., ad attuare una concezione dv classe e a formare uno spi1;to borghese anzi, diremmo noi, piccolo-borghese. La lotta politica intensa del .dopo-guerra p1'eparando la Jonuazione dei LA RIVOLUZIO~E LIBERALE 39 partiti capovolge invece tutto lo spirito della scuola italiana e instaura nn nuovo equilibrio di forze, desiderose di comballcre su ogni terreno. La formula dei popolari per la libertà scolastica in un ambiente siffatto non ha più nulla di clericale, ma dLventa un caposaldo di libera lotta co.ntro lo stato bnrocratico. D'altra parte l'esistenza di grossi nuclei organizzati e di precise tendenze psicologiche, drui socialisti ai popolari, a,i: combattenti, era, al tempo della lotta pei· la riforma Croce, la più sicura garanzia contro ogni possibilità di monopolio e di im,postazione dogmatica-partigiana. La tesi cLi Mondolfo e di Limentani diventava anacronistica e insufficiente di fronte alla esigen~ domiuante di far servire ogiii istituto di cultura alla lotta e alla elaborazione delle idee. In sede teorica si potrebbe anche ammettere l'attività scolastica come funzione di stato quando per stato s'intenda la sintesi delle ini.ziatcive dei cittadini. Ma l'equivoco dei socialisti riformisti e di tutti gli ammiratori della statolatria consiste per l'appunto nel confondere questo Stato ideale, oggetto caratte1;stico delle speculazionù dei filosofi. del diritto con lo Stato-amministrazione pubblica. Il fatto è che le funzioni del primo Stato non debbono affatto tradursi in organi di quest'ultimo. Nel momento in cui le funzioni cercano D loro organi entra in gioco il libero contrasto delle forze economiche ed amministrative. Solo uno Stato teocratico può rivendicare il diritto del monopolio scolastico; lo Stato moder.no non ha una funzione patriarcale di educatore e clri parla di un'etica dDStato parla per metafora, esaurendosi necessariamente la morale pubblica in quella dei cittadini e non potendosi parlare di nna civiltà sociale diversa da quella reaLi.zzata dagli indiV'rdui La scuola e la cultura sono state organizzate e promosse dall'alto. e si sono sorvapposte alle iniziative dei singoli m momenti ,storici specifici, e non la filosofi.a del diritto, ma la psicologia e la politica devono discutere questi limiti dell'empiria. La Chiesa ha creato l'università, e ha realizzato gerarchicamente la sua pred1icazione umanitaria per opporre alle invasion~ barbariche un l:}aluardoconservatore delle antiche civiltà. Le corti umanistiche promovendo la letteratura e la scuola di cultura sen>ivano all'arte loro cli governo ~n un tem,po in cm le plebi italiane sognavano un regime paterno. Oggi, di fronte al fascismo, una politica che rivendichi la libertà della scuola utile ieri, è diventata i.nsufficiente perchè ~on si può fare della tecnàca quando il fronte unico della lotta è diventato il terreno politiéo. La lotta contro la tirannide non sà può fare invocando riforme e concessioni dalla tiranni'<le, ma contrapponendole rinvend:icaz,ioni integra]~ di libertà. Il fascismo instaurando la sua politica scolastica di classe travolgerà le illusioni pedagogiche di Gentile e di Lombardo Radice e continuerà la scuola piccolo borghese e ·parassitaria della terza Italia. La pregLudiziale per proporre il vero proble"ma dell'educazione nazionale è dunque la noii co11aborazione. E' chiaro che in questo senso la nostra scuola non ha bisogno di swole, e possiamo discutere di problemi pratici soltanto in senso astrattb e per un vizio di progettismo. In un'Italia moderna, quale la veniamo preparando co.n la nostra lotta, in cui i cittadini sappiano creare la loro scuola « interessata » come la predica Monti, aderente alle lqro esigenze, contro la monotonia generica della scuola di stato, l'esame è natmalmente svalutato in quanto la scuola si fonde con la cultura e con la vita. Invece cli allevare impiegati lo Stato si r.iduce alla sua funzione di controllo. Se può sembrare interessante conoscere i nostri progetti confesseremo che prima del fascismo il problema di questo controllo si riduceva per noi neù termici segne11ti : r) per la scuola elementare : lotta diretta dello Stato contro l'analfabetismo, mobilitazione di tutte le forze nazionali, preti o massoni, bolscevichi o conservatori, poichè si tratta di preparare gli strument~ elementari deUa vita moderna indipendentemente da ogm considerazione etica. Affrontare risolutamente il problema nel Mezwgiorno come ha faHo l'Associazione: l'opera cli questa è m1rabile non per un valore eroico d,i,apostolato, ma per una precisa neces&i.tà amministrativa. Non si rinnoverà il popolo meridionale con scuole elementari improvvisate, ma la lotta contro l'analfabetismo è una impresci,ndi\>ile esige.uza _economùca.per il problema ettcamente e pobhcamente più importante del Snd: l'eruigraz.ione. 2) per la scuola elementare bisogna formare dei maestri, ossia lo Stato deve istituire delle scuole normali, anzi delle scuole medie modello, Llmitate di numero e coi posti concessi ad allievi per concorso; a integrare qnesta azione di stato provederà l'iniziativa privata : per fornire di scuole poi i paesi rurali .non c'è altra soluz:ione fuor di quella trovata dal Mmlti dell'assunzione d-i personale non d:iplomalo e dell'ab·ililazione. Ma della scuola normale o media non bisogna sopravalutare il significato : la qllf:Stione dell'analfabetismo si risolve solo creando una situa:cione rivoluzionaria delle vecchie abitudini e suscitatrJce di nuovi sforzi, come bene insegna Lenin in Russia. L'affollamento alla scuola media verrà meno non appena le Stato non darà più ai suoi studenti titoli o lauree : poichè lo postra piccola borghesia è diventata una casta che ha il suo titolo nobiliare nel diploma. Il problema del'università è identico con quello delle scuole medie e lo si potrà risolvere solo riconoscendo che da parecchie decine cl'annii la cultura universitaria è inferiore alla cultura del paese, alimentata sopratutto dalle libere inizia- • tive del gior.nalismo, dei partiti,, delle assot'Ìazioni. 3) Poichè queste riforme parranno alla nostra rea1,ionaria e demagogica borghesia troppo antidelll.OCratiche o rivoluzionarie si tratta di prepararle proponendole come rifonn.e essenzialmente economiche. La scuola cli stato infatti è diventata per lo stato uu problema di finanza che non si può risolvere se non sfollando gli istituti, coll'aumentare le tasse scolastiche (mettendo a concorso i posti gratuiti) ed eliminando il parassitismo professorale mediante il solo sistema infallibile di cui si disp:mga, ossia riducendo loro gli stipendi. • Il fascismo non farà ;inlla di questo perchè ba hisogno di gregari fedeli e non può otten.erli se non in cambio di un impiego governativo; non può lasciar libertà d'altra ~rte alla cultura per timore delle conseguenze e perchè in ogni tempo l'oscurantismo burocratico e la morale di Stato furono le migliori anni dell'assolutismo. Pn::1to GoEE1T1. Esegesi delle fonti --------- L'articolo di Carlo Rosselli e la postilla di T11llioLiebman nel!' ultimo numero di e Rivoluzione liberale, mi fanno pensare: perchè l'esegesi delle fonti non è altrettanto in onore nelle scienze economichee sociali come lo è nel diritto romano o nella storia dell'evo antico e medio? Non entro nel merito dei problemi trattati dai due scrittori; nia è evidente che in certi casi la forma ed il metodo decidono il merito della controversia. Il metodo tenuto da Liebman per criticare l;t critica di Mosca a Marx pare sia il scgueoté: - il materialismo storico è tma teoria diversa da quella esposta da Mosca; non dice che il fattore economico sia la causa' dei fattori giuridici, po1itici e morali (proposizione A) - esso dice invece che nessuno dei varii fattori è la causa unica o principale degli altri, ma che indubbiamente il fattore economico è il meglio atto a lumeggiare gli altri fattori (proposizione B) e quindi. la comprensione delle variazioni del fattore economico è atta a far comprendere (, com- ~rendere , e non I( cagionare '») le variazioni <lel fattore politico o giuridico (proposizione C). - Quindi Mosca perde il tempo a confutare A chè il materialismo storico è B e C. A è meccanicistico e superato, e sepolto; e B e C, che sono le vere essenze del materialismo storico non sono affatto materialistici. ' Osservo: l\foscacritica il materialismo di Marx e nou•quello di coloro che lo banno superato e sepolto. Per criticare Mosca con fondamento, occorreva dimostrare che Marx non espose la proposizione A, ma quelle B e C. Badisi bene che tale dimostrazione occorre sia data coi testi alla mano; i testi di Marx e non quelli dei superatori e seppellitori. Testi citati non a memoria, ma cou i brani precisi e le pagine ed i volumi; confortati, occorrendo,con le citazioni di altri squarci e pensieri dello stesso Marx o dei suoi contemporanei. Fino a che questa esegesi delle fonti non sia fatta, la postilla di Liebmaw, si potrebbe tradurre così: 1) Marx espone una proposizione A. 2) Molti scrittori confutano questa proposizione A ; ma poichè la proposizione A ha la vita dura1 ìVIoscaaggiunge ora un suo contributo a tale confutazione; 3) Constatato che la proposizi_oneA è infondata, altri sctittori, i quali amano, pur superando e seppellendo, di dirsi ancora materialisti storici 1 mutano la proposizione A in altre B e C. 4) Operata la trasformazione, tali scrittori guaràano dall 1alto iu basso coloro che seguitano a confutare' A; e dicono: « quanto siete ingenui ad uccidere un motto! ». Non è più elegante fare come faccio io; ossia copiare la vostra coufutazio11e, farla mia, e ripresentarla, sotto la Yeste di B e di C, col titolo di , vero• materialismo storico? '\'ella titolografia accademica il metodo è noto :il candidato ai concorsi, che non ha la forza cli creare da sè u·na dottrina nuova, se la appropria, le cambia faccia e poi sputa nel piatto dove ha mangiato, assalendo in nialo modo l'autore derubato. Non yorrei che Liebm.an, il quale probabilmente è un giovane sttirlioso, cadesse, senza volerlo, per bramosia di ragionamento, in uno dei più brutti peccati della nostra vita accademica. Rosse11i vuole mettere in contraddizione gli economisti liberali; i quali constaterebbero cerli fatti in materia cli uniOI\Ìsmo operaio (tendenza al monopolio, '\Ila lotta di classe, all'egoismo) e predicherebbero certe massime tutte diverse (collaborazione col capitale1 difesa degli interessi col1ettivi, critiche dell'nnitatismo legalistico, ecc.J ecc.), e cadrebbero in siffatte contraddizioni perchè costru_iscouo la scieuza sulla base di un dogma fondamentale, quello della libera concorr~nza, elaborato più che cento auui fa da menti sovrane al primo sbocciare della economia capitalistica. Anche qui dico: fuori i testi! I testi autentici degli scrittoti in cui il dogma è esposto per la prima volta e poi ampliato e applicato i i testi da cui risulta che la scienza economica si fonda sul « dogma» della libera concorrenza i i testi da cui sia spiegata la ragione per cui, secondo gli economisti, sarebbero u non fatti " ,:, « non teor·ie » i mouopoli, i sindacati e non esisterebbe una teoria del prezzo di monopolio o questo sarebbe • condannabile , o , bio.- simevole .- in confronto ai prezzi di concorrenza. E' probabile si possa dimostrare che alcuni & molti economisti, dopo aver constatato scientificamente, ad es., che i dazi protettivi conduconoad uno sperpero di ricchezza (tesi scientifica) non si acquetano alla constatazione del , fatto , che il mondo è invece protezionista e lottano per sostituire, come talvolta sono riusciti, un regime liberistico ad uno protezionistico (atteggiament,, pratico); ma sarebbe interessantissimo trovace i testi dai quali risulti che gli economisti, noti contenti di affermare la tesi scientifica (coste dei dazi) negano l'esisten7.a del fatto protezionistico o si rifiutano a cercarne la genesi (tesi storica). E' probabile che si trovino dei testi nei quali sia dimostrato che io date circostanze un.a data azione delle leghe operaie cagiona una diminuzione dei redditi della classe operaia nel complesso; ma sarebbe curioso trovare i testi nei quali si neghi che nelle stesse circostaou quella stessa azione possa provocare, pro tempore, un aumento di salari alla speciale categoria operaia interessata. La esegesi delle fonti - quelle originali, genuine, non quel1e riportate o lette o indovinate di seconda o di terza mano riserva talvolta curiose sorprese ancbe a scrittori di grido. Non è stato forse di moda, Ira gli scrittori della scuola storica dell'economia, - e cito Scbmoller Knies Brentano, Held, Hildebrand, - afie~are eh~ gli economisti classici non tenevano conto delle condizioni di civiltà, di tempo, di luogo, assumevano l'egoismo individuale come unico movente delle azioni umane, reputavano che il libero sviluppo dell'interesse individuale coincidesse coll'interesse colletfr~:o, predica,·ano il e laisser faire », favorivano una teoria puramente negativa e dissolvente dello Stato neo-avano la •opportunità di limitare la libertà i~di~duale secondo le esigenze dell'interesse collettivo? Sono affermazioni che hanno una stretta aria di famiglia con ]a designazione di dogma fondamentale della scuola fatta dal Rosselli di un e libero gioco delle forze economiche ». i\1a è bastato che il dott. Riccardo Schiiller scrivesse un aureo libretto sugli e: Economisti classici ed i loro aYYersari • (trad. francese, pubblicata da Guillaumio, 1896) perchè il castello di affermazioni crollasse. , Schiiller paragona le , ricostruzioni> fatte dai critici delle teorie degli economisti classici con le parole scritte da costoro; e, testi alla mano, dimostra che le « ricostruzioni » erano parto di fantasìa e che gli econonllsti si erano espressi ben diversamente. Cosi sarebbe augurabile si facesse semore. Quando si critica qualcuno, o si espone llila ..teoria altrui, ci dovrebbe essere l'obbligo di non citar nessuno senza aver ,Usto, con i propri occhi, la fonte ed averla attentamente studiata. Titolo, volume e pagina : pedanterie, forse; ma necessarie se non si YOglionocombattere mulini a Yento. O dicasi chiaramente che è una propria concezione di cui si vuol parlare. E' lecito scrivere: 11 io ritengo che gli economisti abbiauo pensato cosi e cosi, o doYessero pensare così e così; e m..i propongo di dimost.J-arel'erroneità di tale at~eggian1ento >. Sarebbe chiaro che gli econo1n1sti possono non avere nulla a che fare co~il discorso1 e che può anche darsi si tratti di una mera esercitazione logica intesa a dimostrare con la posizione di 1ma tesi e cli un 'antitesi l'in~ gegno dello scrittore. ' Purtroppo, tutti abbiamo sulla coscienza ,rrayi peccati di interpretazione delle fonti ; e ne~uno più cli me propabilmente corre ogni giorno pericolo cli combattere contro tesi avversarie mala111enteinterpretate. Fin che ci si riesce, è preferibile perciò combattere la tesi dell'A 11anti / di quel numero e di quel gion10, piuttosto che quella dei socialisti in genere. La ricostruzione del pensiero altrui è una fatica tremenda e può dare origine a Yere creazioni. Forse è perciò cli~ in Italia abbiamo alcuni gioielli di teoria economica e finanziaria; ma non abbiamo ancora nessuna Storia della nostra Scienza. Ed è dubbio se quella storia sia stata scritta altro,·e. LUIGI ErNAVDI.

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