La Rivoluzione Liberale - anno II - n. 8 - 3 aprile 1923

l.J.A lU \t O LU~ I ON B LI BER. AL E LE.TTERESCOLASTICHE III Lascuoladeipadroni elascuola deiservi Cno Gobelti, E il rimedio alle devastazioni menate dalla • coltura generale , nella scuola e nella società italiana? Uno solo, date le mie premesse: quello di sban• dire definitivamente dalla nostra scuola, come dalla nostra vita, la maledetta «coltura generale, del periodo rivoluzionario ora spirante, per mettervi al posto la < coltura particolare ,, la coltura tecnica, concreta, precisa, interessata, rispont!ente al carattere dell'epoca pur dianzi incom.inciata. E cioè: ridurre, per tenerci uel campo scolastico, a scuole « tecniche .., a scuole « professionali , autentiche, le scuole medie pseudotecniche e pseudo-professionali che abbiamo, e trasformare in « tecuica >, in « professionale :o, in « interessata, la « scuola u1edia di coltura geuci-aJe », attraverso la quale si van da troppo tempo rovinando le generazioni della nostra classe dirigente. O meglio: togliere il dnalismo posto, o accent1,ato, dalla ri-voluzione francese tra scuola tecnica e scuola di colt1tra, fra scMla intere.ssata e scuola disiu.teressata, e risolverlo nel senso da noi accennato della identità fra i due tipi di swola, della necessità che ogni atto ed11cativo, come ogni alto de!la vita dell'1tomo, sia interessato irn.mediatarnente, per esse1·e disinteressato niediatmn.ente, si proponga un. fine relativo 1nateriale utilitario, se 1mol riuscfre ad un effetto gratuito ideale assoluto. La rivoluzione francese, per sè sola, non è stata capace di tanto, perchè non è stata capace, per &è sola, di esprimere un suo tipo di umanità partìcolare e tt11iversale, rappresentativo della sua età, come era stato l 'orator per Roma, il chierico per il medioevo, 1'11omo di corte (principe, cortegiano) per il Rinascimento, e l'abate (letterato e prete) del sei e settecento; la rivoluzione francese, da sola, non ha saputo darci che il tipo del cittadino, cioè dell'uomo poliUco, cioè dell'uomo elettore, che non è uomo, che non è nulla, che può ispirare un Flaubert o un Sardou ma non può inforu1ar a sè un sistema scolasÌico; perciò la Rivoluzione francese, in quanto tale, non ci ha dato la su..a scuola rappresentativa, ma solo quella gelatina di scuola, che è la scuola di « coltura generale))_ Però la rivoluzione francese, ponendo, con la libertà politica e con il trionfo della « scienza )), le premesse della cosidetta « civiltà capitalistica >, poneva anche le premesse per il sorgere di un nuovo tipo di unianità, bene concreto e bene rappresentativo, che poteva bene informare a sè una scuola, come andava informando a sè uua società: voglio dire, nessuno si scandalizzi, il tipo del l<nioratore, o, se più vi piace, del produttore: il tipo -insomma dell'operaio, del tecnico, dell'imprenditore, dell'ape ne1itra: il tipo d'uomo che potrà o meno piacere, ma che indubitata!Dente è il tipo caratteristico del]a società che or ora è nata, e che va prendendo il posto della società creata dal1a rivoluzione francese. L1aomo moderno, l'uomo del nostro tempo è il la·vcra:tore : la scuola 1noderna1 la scuola n..ost1·a uon può essere che la scuola del lavoratore, o,. se volete, la scuola. del lavoro. Abbiamo detto che l'età nostra, l'età post-rivo1uzionaria non aveva una sua scuola, una vera scuola; correggiamo : la nostra età ha la sua scuola, e questa è la scuola tecnica : solamente che questa scuola, nel suo senso preciso della parola, si ha solamente nei paesi dove c'è il1ecnicisrno, dove cioè la civiltà ha l'aspetto di civiltà capitalistica; altrove, in paesi arretrati, come per esempio da noi, essendo la scuola tecnica la scuola interessata, sorta artificialmente prima del tecnicismo, essa, a poco a poco, fatalmente, è tornata al tipo tradizionale della scuola letteraria, e da questo accostamento è venuto fuori quell'ira cli Dio di scuola media tecnico-professionale che ognuno di noi conosce. Nia anche nei paesi più progrediti nella via della civiltà moderna la scuola tecnica, tanta è la forza della tradizione, è rimasta come in .flisparte, è rimasta in basso neUa pubblica estimazione, è ritenuta come una scno1a 1·:ninorwmgentiit,111,J e ad ogni modo non è divenuta ancora la scuola tipica, la scuola rappreisentativa, la scuola media, la scuola per antouomasi~, come il suo «tecnicismo» i il suo « attivismo,, non s'è ancora trasfuso consapevolmente in tutto il sistema scolastico dei singoli paesi, sino a imprimere di sè tutti i tipi di scuole, compresa la sct10la media, la scuola della classe dirigente. -~risticle Gabelli, che aveva visto tante cose nella nostra vita pubblica e nella nostra vita scolastica, aveva ''.isto anche questa e aveva eletto, pili di~ quaranta anni fa, che « la scuola dovrebbe consis.tere in.... u1ia specie di officina, dove gli scolari la-vo·rassero, ora collettivamente, ora ciascuno per s~, a 1nodo d-i operai, sotto la 1Jigilanza e la guida del loro capo , . Il voto di quel 1n10no e serio italiano si deve avverare, si va avverando, io credo: o io m'inganno o tutta la scuola, anche in Italia, tende, più o meno consapevolmente, ad assumere 1'aspetto di sciiola del la.varo. Non parliamo delle scuole tecnico-professionali, di cui sempre più urgente è sentito e proclamato il bisogno, ma anche la scuola èlementare, anche la universitaria si sente clJe vogliono trasformarsi sempre più da scuole di coll1tra generale in laboratori e palestre di esercizio particola re. Tagliata fuori da questo salutare movimento è rimasta, finora, la scuola media; è mestieri immettere anche questa 11ella corrente. E come, precisamente, si può far ciò, per la scuola 1ncdia, in genere, per la classica iu particolare I Un altro principio aveva affermalo la rivoluzione francese, nel quale era posta un'altra premessa per la costituzione della nuova scuola, della nostra scuola: il principio della sovranità popolare. Se il popolo è sovrano - ognuno lo sa a mente il ragionamento - questo popolo deve essere addestrato a esercitare la sua sovranità e deve essere per ciò educato e istrnilo: strumento speciale per tale addestramento, per tale educazione e istruzione, la scuola in genere, e, particolarmente, la sc.uola del popolo. Il ragionamento fila, con l'unica riserva, da parte nostra, che codesto della scuola non è lo strumento per l'educazione del popolo, ma è 1t,no strumento; uno strumento però capita1issirno, deUa cui importanza ci si convince più particolarmente quando si notano di questa scuola non i pregi, ma i difetti, 11oui benefici de' suoi pregi, ma i danni de' suoi difetti o della sua assenza. Il ragionamento, dunque, fila, ma codesto ragionamento vuole essere compiuto cosi: < se il popolo ,\ so• 'Vrano, SO'Vrana ha da esse1'e fra le alt1'e la scuo• la dove codesto popolo si educa, cioè la scuola. popolal"e: se il popolo ·è il cent'l"o della vita pubbl•ica d1uno stato 11wde1-no, cen:tro della vita scola; stica di questo stato deve essere la scuola popola,re >. (Prego credere, cafo Gobetti, che a questi lumi cli 1lllla1 non parlo cosi per seguir la corrente, nè per amor di popolarità). Accade questo nei nostri stati moderni? Al· trave non so, ma non credo; in Italia, certo, non accade. P~rchè questo sia, non basta che esista una legge per l'istruzione gratuita e obbligatoria, e non basta neanche, ciò che del resto non è, che questa legge sia applicata appieno; perchè questo sia effettivamente, occorre che tutta l'attività educativa di uno stato, e, per prima cosa, tutta l'attività scolastica, 1~ospiri a questo unico scopo: educare convenientemente il popolo. E per ciò la formula è in Italia: , ogni Italiano sia un 1naestro • : la quale formula, tradotta nella pratica scolastica, suona cosi : « tutta la scuola sia scuola del ·maestro ». E con ciò si sarebbe anch~ posta la soluzione dell'altro· probléma, della definizione d'un tipo di umanità totale e rappresentativo, che sia per l'età nostra quel che furono per le passate, via via, il letterato, il principe, ecc.: e che imprima di sè, come tutta la società moderna, cosi tutta la scuola moderna. Abbiamo detto che questo tipo esisteva ec1 era il tipo del lavoratore: ma questo è un qttakosa di troppo generico ancora per una parte, e di troppo ristretto, per U11'altra: per• chè questo tipo sia davvero consistente e davvero totale, e sia vasto abbastanza e abbastanza vitale, perchè sia, insomma, davvero 1-muino, occorre limitarlo ancora e ancora dilatarlo : occorre dire QUALE lavorato,·e debba essere tipico per la nostra scuola, e occorre che in questo lavora• tore sia contenuto evidente1nente e sinteticamente l'it,01no, come era del principe, del sacerdote, dell'omtor, permodochè evidentemente la scuola nostra formi, attraverso questo la.vo1·atore, 1 'uomo e il cittadino, come la scuola di Roma fo1uiava, attraverso JJoratorJ il civis e anche l'homo. Per me questo tipo di lavoratore e di uon,o è oggi il « niaestro », il a: 1naestro del lavoratore », , il -nweséro del popolo,; il maestro che è sempre 1naestro e sempre cittadino e sempre uomo, e che è maestro solo se è uon10, e in tanto è uomo in quanto è maestro, educatore : educatore di sè, anzitutto, poi de' suoi amici, de' suoi figli, de' suoi uguali, d~' suoi inferiori, de' suoi superiori; maestro sempre, in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni fortuna. La scuola nostra in genere, la scttola media in particolare, la scuola classica più in pruticolare ancora (del resto scuola classica= scuola, se vuol essere scuola), dovrà essere, se scuola vuol essere, scuola del 1naestro. E questo, caro 'Gobetti, era il secondo punto ch'io ponevo in qttel tale mio articolo di Rivoluzione Liberale dove dicevo : , La nostra scuola classica, se. vuol formare qualcosa e qualcuno, deve forn1are l'-italianoJ il cittadino} lJiwmoJ attraverso il tnaestro; deve essere professionale, interessata (magistrale) per il suo scopo immediato; disinteressata, di cultura generale (mnanistica), per il suo risultato ultimo , . Ma trasformando il ginnasio-liceo in « iscuola del maestro , non si sarà mica fatto grau chè per Ja scuola magistrale nè per la elementare; si sarà forse risolta la questione della scuola classica, nel senso 11011 di rannnodernarla o, Dio ci salvi, di «democratizzarla», ma nel senso· di più avvicinarla alla realtà del suo tempo, di darle quel suo perchè che essa ba perduto dall'89 in qua, e di cÙi essa, superba, dice di non saper che fare, ma senza 'clicui la scuola classica, come nessuna scuola, non può vivere, e senza di cui la scuola classica non è nè scuola nè classica. Ma con ciò llOD si sarà risolta la questione della scuola normale. • Il liceo normaliztato - di· cevo in quel tale articolo - potrà darci il mae• &tro buono per i grandi centri nrbani e per la scuola primaria di preparazione alla secondaria. Questo maestro sarà fuor di posto nella scuola elementare popolare e nella scuola rurale >. - • Per queste scuole (la rurale e la popolare) - soggiungevo - ci vorrà un maestro che venga da una scuola fatta apposta per lui, da una scuola veramente e solamente magistrale. Qne• sta scuola, secondo noi classicisti a oltranza, non dovrebbe avere, come materia centrale, il latino,. E qui interveniva Jean Paul, il quale « stupiva ,. a vedere come io, insomma, pensassi a uua scuola di maestri nrbani di.versa da quella dei maestri rurali, e trovassi che « il latino, buono sul livello del m.are e fra centomila anime, diventasse cattivo a mille metri di altezza e fra quattrocenli abitanti ,. E, pigliato l'abbrivo, lo scrittore di N. S., mi faceva un suo garbato scr• mancino s11 quel curioso vjzio dell'urbanesimo intellelluale di cui tutti noi siamo vittime un poco, e , per cui non vediamo possibilità di studio se non nei grandi centrj, ecc,._ Il quale sermone, ricordo, mi fece un poco riciere, perchè subito io ci feci la riflessione che considerazioni di quel genere io le avevo sempre udite fare da gente che nei grandi centri di studio era cresciuta e da quei. centri non s'era mai voluta spiccare. Ma per me, che questo po' di coltura che ci ho me Ja son messa insieme fra Giaveno e Basa, fra Chieri e Reggio Calabria, fra Sondrio e Brescia, dichiaro che se son riuscito pur vivendo in questi luoghi a mantenermi a galla, ci son riuscito unicamente grazie alle riserve che mi ero fatto in vent'anni di vita torinese, e che mi sono alimentate derivandovi sempre 11upvielementi da centri come Firenze o come 1\1ilano o come Torino o, magari, come Pisa. E a questo son riuscito solo con indicibili sforzi, con lotte infinite e stremanti combattute non mica contro le difficoltà dell'ambiente (scarsità di libri, impossibilità di , tenersi al corrente , ) ma contro la facilità dell'ambiente, cioè con quella possibilità, tutta propria del piccolo e mediocre centro, di passar per un grand'uomo' non essendo che un imbecille, cli esser tenuto per twa persona « che sa tutto JJ anche e specie quando non sai nieute. Ma il sermone di J. P. era una parentesi, e una parentesi è questa mia risposta. Chiusa la quale vengo al punto del latino nella normale, anzi al punto delle due normali, o meglio al punto della distinzione fra ,scuola classica , e < scuola magistrale ». Porre il latino nella normale riformata non vuol dire, per chi non sia un materialista della didattica, migliorare la normale, rifare la normale a .base umanistica, ecc., ma vuol dire, se vuol dir qualcosa, a: trasf2,r.tnarela scuola normale in scuola classica >. Al che io sono contrario, primo, perchè l'intesa è sempre stata, le scuole classiche governati ve di diminuirle di numero e non di aumentarle sia pure con un nome cambiato; secondo, perchè il processo eh 'io voglio si segua per la riforma della scuola è l'opposto di quello tracciato nella riforma Anile, e ora, pare, nella riforma Gentile : il mio è dalla classica alla normale, quello di Anile e di J. P. è dalla norniale alla classica; terzo, sono contrario appunto per quella famosa idea della , scuola del maestro rurale diversa dalla scuola del maestro mbauo ». Ed ora spiego questa mia ultima idea. Ho detto: il mio liceo normalizzato è buono per formare il maestro della elementare dei grandi centri urbani, anzi il maestro della primaria preparatoria alla media (nei centri urbani moder. ni, ormai, tutta la elementare è, in sostanza, pre· paratoria a un.a media o complementare) ; tale liceo nou è buono per il maestro di scuola nt• rale. La differenza non è didattica, è sociale; non è tra scuola e scuola, ma tra classe e classe, direi fra razza e razia. La scuola classica tradizionale (e il liceo magistrale, comltllque, sarà sempre scuola classica tradizionale), è uno strumento di coltura - di dominio - che si formò per sè nei secoli e si affinò la classe finora dominante, la classe degli àristoi, • degli otti»wti; e questa scuola ba di questa classe l'impronta, i vizi e i pregi. 1vfafuori dei padroni c'è sempre stata e c'è (non so se ci sarà) l'altra classe, l'altra razza, quella dei servi, quella dei kahoì. Finora, nei secoli, gli ottin1,i si son ridotti a vivere nei centri, e qui hanno plasmato simili a sè ancl1e quelli dei servi che s 'eran ristretti attorno a loro a servirli ,a sfruttarli, a sostituirli. Ma attorno a queste isole è rimasto il mare dei lw ko-l irriducibili, delle moltitudini contadine, altre, diverse dalle minoranze cittadine, chiuse ad esse, ostili: inutile ricordare jacqueriesJ Vandea, orde del Rufio, marioli toscani, fascismo rusticano : meno inutile avvertire che il cosidetto estremismo cli certe nostre n1asse operaie non è che l'odio per il padrone, per il civile, vivo ed esplodente nel contadino non ancora trasformato in operaio urbano. Comunque, sta il fatto che le due razze, le due classi ci sono: e che la prima Ila per sua scuola rappresentativa la scuola dassica i l'altra, finora, non ha avuta una scuola sua, o meglio, aveva la Chiesa, ma ora non le basta più, vuole, deve avere una scuola sua per sè; questa scuola rappresentativa della gran dormiente che si è ridesta, non può essere che la scuola del contadino, anzi la scuola del 1naestro del contadino; Yoler 35 soddisfare a questo bisogno offrendole una scuola normale classica o classicizzata, è far opera, lasciamo stare se onesta o disonesta, se reaziona~ o democratica, certo vana: è ammannire a quelle plebi un cibo che non è fatto per il loro stom&e•, ed è, se si insiste, condannare quelle plebi a far la morte di Bertoldo. (Prezwlini, l'immagine me l'hai suggerita tn). E qui Jean Paul insiste, e mi ripete la lezione cosi bene imparata: che la cultura < nella sua sostanza etica e nel suo valore spirituale è unica e invariabile,, e che quindi non ci son le scuole ma la scuola} ecc., ecc. Già : lo spirito unico, sempre quello. Sempre quello, ma sempre altro, unico ma diverso, alius et idem come il sole del Carme Secolare. E se codesto spirito (codesta cultura) è alius et idem, vorrà clire che uno che pensi alle cose dello spirito sarà padrone di preferire l'alius, come Ull altro sarà padrone di preferire l'idem: questione di ... punti di vista. Vorrà dire che Jean Pani, leggendo i libri del Gentile, insegnando pedag'1>- gia o filosofia a Pisa o a Firenze, e tenendo con.i estivi ai maestri, avrà avuto modo cli meglio considerare della vita scolastica l'idem. Angnsto Monti invece, avendo insegnato un po' di tutto un po' dappertutto, e convivendo da anni co•. maestri, con umili, con pauperes de spiritu, e a11cbe leggendo un poco i libri del Croce, di questa nostra vita scolastica e di questa nostra vita nazionale, ba avuto campo e modo di osservare particolarmente l'aliud. E sulla base di queste sne annose e concrete osservazioni egli dice : Ja realtà nazionale, etnica, sociale della nostra Italia è diversa, non è unica: diversa sia la scuola che mira a conoscere e a fecondare tale realtà ; la riduzione ad unità avverrà a ogni modo da sè, fatalmente, divinamente. Nei propositi siamo divérsi, saremo unici negli effetti. Poniamoci per di verse strade, tutte menano a 'Roma. Se vogliamo batter tutti la stessa strada, non ci capiremo dentro, si farà una gran ressa e per arrivare dovremo ancora sparpagliarci per forza. A voler mirare all'unico si arriva al vario, al diverso, al nulla; se è degli uomini fare il diverso, fare l'identico, l'unico è della Storia, o cli Dio. Antigu.elfo, nel replicare a Jean Pa1tl, ba avuta meno pazienza di me, gli ha fatto subito l'ultimo prezzo, e, nella sua nota • Il materialismo di U1l pseudo-idealista•• dopo a,·er riferito l'obiezione cli Jean Paul, l'ha buttata giù con un colpe d'anca, cosi: • In tutto ciò noi vediamo una sola cagione di stupore: che si voglia giudicare di complessi problemi pratici I senza averne alcuna esperienza, irrigiditi in uno schematismo filosofico peggio che illuministico,. Invece di pestare subito io ho preferito rag,.,. nare : Antiguelfo è stato più, con permesso, fascista, io ho voluto essere più, con permesso, evangelico; il che non toglie che Antiguelfo ed i., si possa andare, su.Il.! sostanza di certi argomenti, periettamente d'accordo. Continuando dunque a ragionare, per vedere di persuadere Jean Paul della vanità d'un tentativo di liceo magistrale, addurrò un ultimo argomento, ricavato non dalle altezze della filosofia, chè a ripir lassù alla lunga ci si perde il fiato, ma dalla umiltà della esperienza, in cui è pure, se non tutta la :filosofia, almeno tanta filosofia. Avevo detto già, in quel tale a1ticolo, che e UR maestro discretamente pagato, mediocremente colto, agevolmente trasferibile , non si adatta più a rimanere nelle disagiate residenze delle scuole di campagna, e avevo soggiunto : « aumentate: gli stipendi, aumentate la coltura del maestro, questo particolare stato di cose non farà che aggravars-i >. Ed è così: supponiamo pure che sia risolta la questione della coltura magistrale nel senso voluto dall'Anile e dalla Nostra Scuola, e, in parte, anche da noi, di dare al maestro una coltura classica; supponiamo che sia bello e fatto il liceo magistrale di cui parla Jean Paul, con latino, disegno, pedagogia, ecc., supponiamo che tutte le figlie di contadini che vogliou far la maestra siano avviate alla nuova normale inlatinata e: ne vengano fuori bene li umanizzate », credete voi che questi nuovi prodotti della nuova normale, sia pure adeguatamente trattati economicamente e giuridicamente, si adatteranno a restar nei loro selvaggi borghi natii e, restandoci per forza, ci faranno meglio che ora? Illusione la vostra se credete ciò. Provatevi a fare una statistica dei maestri italiani col criterio dei titoli cli studio, vedrete che tutti i maestri che banno, oltre la patente, una licenza cli ginnasio, di liceo, un diploma di corse, cli perfezionamento, una laurea, tutti sono nelle grandi e medie città; e quelli dei maestri che dopo la patente, studiano o per aver la licenza liceale, o tu/ diploma di magistero, o nna laurea, lo fanno per evadere dalla scuola rurale, se non addirittura dalla elementare, lo fauno insomma per « andare in una bella sede », cioè in una città grande. La maggior coltura li ha, dicono loro, « inciviliti »1 e quindi non possono più restare fra gli zotici figli dei campi, han bisogno di congregarsi coi « ci vi li », coi « cittadini », a cui la scuola di coltura li ha resi simili; date a tutti i maestri la coltura della nostra scuola classica, vedrete dove li andrete a pigliare i maestri, 11011chè per Sommaprata e Ca' del Conte, anche per Castagneto Po o per Santa Lussurgiu. E' inutile: per la scuola di città ci vnol tiu maestro cittadino, per quella operaia ci vuole uu maestro operaio, per quella dei contadini, ci vuole un con.tadùio 111aest1·O.

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