La Rivoluzione liberale - anno I - n. 10 - 23 aprile 1922

P~ATI E PASGOlil I. - Dall'annuario del 1864 desumiamo .-:he la superficie di prati naturali e artificiali nell'a,ttuale Piemonte, era pressapoco cli 300.000 ettari; e la produzione compless.iva quasi 10 milioni di quintali di foraggio. Le statistiche recenti (1909-14) dàuno una s.uper:fìcie di pr_ati_naturali, artificiali, e erbaj (questi ultimi occupano un 20.000 ettari in media) di 545 mila ettari con una corrispondente produzione di 27.300 milioni di quintali cli foraggio ragguagliati in fieno normale. Ammess.o, come io ammetto, che le cifre riportate siano confrontabili, non c'è da stupire del grande incremento del prodotto, assai più grande di quello della superficie: quando si pensa alle innovazioni introdotte: rotazioni, di concimazioni, di irrigazione; ai dissodamenti di incolti, alla riduzione della s.uperfie coltivata a cereali, riduzione che io credo avvenuta in base a quello che già dis.s.i addietro parlando del grano. Cause queste, che hanno contribuito all'aumento della s.uperficie e della p:roduzione. Quello che fa meraviglia è il non proporzionale aumento nel bèstiame. La quantità di foraggio indicata nou era sufficiente alla quantità di bestiame esistente in Piemonte nella stessa epoca; invece la quantità prodotta ora, stando alle cifre, sarebbe esuberante pei bisogni del bestiame. La cosa non pare molto credibile, tanto più che non risulta che il bestiame sciamantenuto in maniera opulenta, tutt'altro, ma le cifre son là, io le ripeto come le trovo ; e·per poter dire qualche cosa di chiaro sull'argomento, bisognerebbe avere notizie sicure s.ul commercio interno dei prodotti agricoli. La superficie dei prati inigui, assai importanti in Piemonte, raggiunge i 75.000 ettari. Essi sono - dice il Lissone • la base della proclw.ione foraggera, e rappresentano un cospicuo valore, perchè costituiscono il perno dell'industria zootecnica». In Italia i prati irrigui occupano complessivamente 310.000 ettari: di qui si vede s.ubito il posto principale tenuto dal Piemonte. Ap,punto ~rchè es.s.i costituiscono qui il perno dell'industria zootecnica - scriveva lo stesso autore - al tempo del famigerato decreto 10 maggio 1917 : « Nel Piemonte più che altrove è viva l'opposizione contro il dissodamento dei prati e non si può seriamente sperare di indurre gli agriwltori a rompere i prati stabiliti, senza la promessa di un compenso il quale copra ab;neno in parte la grande differenza del prezzo cht corre tra la s.uperficie prativa e quella arata». E riferendosi ai prati artificiali, aggiunge: « Grave difetto dell'agricoltura piemontese, che si riverbera sulla difficoltà in cui si dibatte l'allevamento del bestiame, e sulla s.tessa scarsità 9-ella produzione cli cereali, è la lamentata deficienza di .prati artificiali, in alcune zone quesi sconosciuti ». « È -perciò saggio e provvido consiglio intensificare la semina del trifoglio nei campi a frumento,. Di questo argomento ho parlato a proposito del grano e quel poco che ho detto là può anche valere qui. Certo è che, rispetto alle altre regioni della pianura padana ;] Piemonte, quanto ai prati artificiali, è mol- .to indietro : • Piemonte ha. 198.000 Lombardia » 355.000 Veneto 248.000 Emilia 432.000 Queste .cifre rappresentano la media del dodicennio 1909-20; ma seguendo, pel Piemonte le cifre dal 1909 al 1920, si può notare il s.uccessivo restringersi della. superficie di prati artificiali : ciò vorrebbe dir~ che durante la guerra fu data ai cereali una ~valenza maggiore di prima, anche o_ttenenclo in complesso una produzione mmore. E benchè non sia diminuita l'area dei prati irrigui è molto scemata in complesso la produzione complessiva (compresa quella degli irrigui medesimi). Infatti comprendendo i pascoli e gli erbaj l'Annuario Stat. It. 1917-18 riporta i seguenti dati di produzione complessiva ragguagliata in fieno normale per il Piemonte : Media quinquenn. 19ro-14 Ql. 32. 198.000 anno 1915 33.089.000 » 1916 » 29.856.000 • 1917 » 29.634.000 1918 » 24.529.000 Se si tien conto che la produzione data dai pascoli e dagli erbaj è calcolata in media 2.500.000 quintali di fieno normale, si può subito vedere la grande diminuzione della pi;oduzione dei pra_ti avvenuta nel periodo bellico. La quale s1 s.pi_egaoltre che per la diminuzione di .superficie, anche per le concimazioni più scarse e la meno accurnta larnrazione a causa delle cir<:ostanze già dette. \ LA RIVOLUZIONE LIBERALE Piemontese Ma è sopratutto nei prati artificiali che la diminuzione è avvenuta, riducendo il prodotto complessi,vo di due quinti . Tuttavia osservando che al 1918 la quantità di bestiame era alquanto superiore a quella del 1908 malgrado la falcidia delle requisizioni militari nel bestiame stesso e nel foraggio prodotto; bisognerebbe concludere, salvo la veridicità delle cifre uflìciaLi, che non si è avuta da lamentare, da parte degli allevatori, una vera scarsità di foraggio. 2. - I pascoli si trovano specialmente nella regione di montagna, a notevoli altitudini, dove salgono dalle valli le mandre a pascolare nella stagione calda. Essi occupano complessivamente in Piemonte un'area da 400 a 450 mila ettari ; e si calcola per essi una. produzione di foraggi che oscilla intorno a due milioni cli quintali in fieno normale. Essi sono, in gran parte, di proprietà pubblica, e tenuti quasi sempre in estremo disordine. Su di· essi la pastura si esercita di solito in modo promiscuo, senza nessuna organizzazione degli abitanti locali; e per conseguenza è facile immaginare quali debbano essere le condizioni di tali terreni, dei quali as.s.ai poco si occupano le pubbliche amn;iinistrazioni e nulla, come è naturale pens.are, i montanari. (1). Questi pascoli sono sorti spesso là dove sempre, data la posizione del terreno, avrebbe dovuto rimanere il bosco e perciò la loro esistenza è stata effimera essendo che le intemperie e i frammenti ne hanno. prodotta la degradazione. Notevoli estensioni di pascolo sono state trasformate in prati falciabili, ai quali si prodigano grandi cure; ma quanto al pascolo rimanente, sia pure di privata proprietà, bisogna dire che in generale, o per il sovraccarico cleU'Alpe, con quantità di bestiame superiore a quella che il pascolo di una certa località può alimentare, o per la trascuranza di quegli elementari precetti che i pastori dovrebbero seguire per la conservazione o la ricostituzione dei pa1coli stessi : esso è lontano da.I dare in modo pieno quei vantaggi che l'allevamento del bestiame potrebbe ritrarre dall'alpeggio. « Prati e pascoli sono generalmente scaglionati a diverse altitt1dini Ja.] fondo del:a vallata all'alto pascolo alpino, alla malgu, che si spinge oltre il limite superiore deì bosco. Il bestiame, migrando dalla valle al monte, segue il successivo inizio della vegetazione alle varie altitudini, per migrare poi dinuovo dal monte alla valle, dalle sedi estive a quelle invernali. Di qui la moltiplicità delle abitazioni e dei ricoveri, scaglionati alle varie altitudini; di qui anche la frammentazione in più appezzamenti della proprietà di ciascuno : frammentazione la quale doVllta anche. a consuetudini ereditarie, va poi spesso molto più oltre di quanto le ragioni della diversa stagione vegetativa, in rapporto alle altitudini, richiederebbero». (Serpier·i). La mancanza di p-roporzione tra il prodotto degli alti pascoli e quello dei prati a piè del monte, fa sì che non di rado il bestiame deve trasmigrare verso la pianura. Così si vedono mandre e greggi che tendono a svernare al piano; la pratica tuttavia, nota il Serpier-i, è in decadenza e non abbiamo a dolercene. Perchè i mandriani non dimostrano poi uno zelo ecoessivo a trattenere sulle strade le bestie che hanno in loro custodia, senza che facciano incursioni nei terreni coltivati che le strade attraversano; e la cosa non deve far molto piacere ai contadini danneggiati. Tanto più che non di rado avvengono vere e furtive invasioni in campi e prati. In conclusione c'è da augurarsi che si faccia Ji tutto perchè ai pascoli siano pres.tate più cure che ora non si faccia, scia dal lato della colti<vazione che da quello dello sfruttamento , il quale, là dove si esercita in comune su proprietà pubblica, dovrebbe essere fatto da consorzii di comunisti che provvedano ancbe al miglioramento, nonchè alla conservazione del pascolo che loro serve. 13ESTIA1Y.[E r. - In epoche diverse, la quantità di bestiame esistente in Piemonte è rappresentata dalìe seguenti cifre : 1876-81 1908 1914 1918 Cavalli 339n 6oo44 51039 Asini 29626 14739 n5000 15922 Mtùi e bard. 24176 26749 18447 Bovini 842940 961436 1076000 10o8143 Bufali n3 20 43 Suini 85301 186137 215000 146489 Ovini 365354 252745 255814 Caprini . 141473 149716 188640 (2) ., L'allevamento degli equini ha quasi nessuna impo1ianza. « Considerando che nel Piemonte la proprietà è molto frazionata e che i la!Voriagricoli si compiono mediante i bovini s.i comprenderà facilmente come questa non sia regione dove l'allevamento degli equini possa esercitarsi su vasta scala, opponendosi l'agricoltura intensiva ed il maggior tornaconto dei coltivatori-allevatori di curare il bestiame bovino che riesce più rimunerativo• (3). Quanto ai suini l'allevamento è più esteso, ma non come nelle altre regioni dell'Italia settentrionale nella Toscana e nella Campania, regioni dove l'allevamento stesso ha un indirizzo uniforme e si sviluppa attorno a pregevoli razze locali. Durante la guerra la produzione è assai discesa per il difetto di adeguati mezzi cli alimentazione (4) ma ha fortemente ripreso in questi ultimi tre anni, dopo il censimento: molti improvvisati allevatori si sono dati a questa industria., con nessuna preparazione, per l'attrattiva dei prezzi elevati; ma non so se l'attuale voga possa consolidarsi e mantenersi. Certo è che nella nostra regione esistono le condizioni d'ambiente per una vas.ta suinicoltura, tanto più se saranno s.eguìti i nuovi metodi cli allevamento all'aperto, ma si richiede anche una certa istnizione tecnica in coloro che vi si dedicano, istruzione che pochi hanno. In generale la popolazione ovina piemontese è molto degenerata e ben poco conserva della faina che già ebbe in altre epoche. Fa eccezione soltanto .la razza Biellese non molto dissimile dalla pregevole razza Bergamasca; è una discreta produttrice di carne e latte, ma la lana che rende è di qualità scadente. Un importantissimo posto occupa invece l'allevamento dei bovini, e a questo riguardo si può dire che il Piemonte, sia per le sue razze che per il numero dei suoi capi (per questo viene dopo la Lombardia e l'Emilia ma a piccola distanza, dopo L'ultimo censimento) è una delle prime regioni dell'Italia. Sulla distribuzione topografica delle varie razze scrive il Couin : « Nous pouvons nous figu1-er le Piémont camme constitué par un croissant de montagnes entourant une vallée centrale qu'arrose le Po. En descendant des cimes où ils prennent nais.sance !es nombreau..-xaffluents. du fleuve creusent des. vallées dans chacune 'des quelles vit une famille bovine, plus ou moins distincte, qui· va en s'améliorant au fur et à mesun: que le niveau s'abaisse, et vient fusionner avec la race améliorée qui occupe un, grand cerck limité par Chivasso, au nord, Vigoue à l'ouest, Fossario au sud, Bra à l'est, et, au centre, Carmagnole dont elle à pris le nom » (5). Fra le razze bovine allevate in Piemonte, scrive il Vezzani, la più notevole e più diffusa è la razza piemontese della pianura che si suddivide da alcuni in varietà scelta della f>ianura o varietà di Carmagnola, che e appunto quella testè indicata, ed in varietà ordinaria della pianura., che vive nelle: valli della provincia cli Cuneo specialmente. Le razze piemontesi hanno in generale attitudini per il lavoro e la produzione di carne e' latte. Dato l'allevamento ancora non molto intenso del bestiame in Piemonte, questa triplice attitudine si adatta bene alla struttura agraria della regione. Ma l'una o l'altra ha la prevalenza a seconda delle forme e dei bisogni dell'agricoltura nelle varie località; e la tendenza alla specializzazione diventa sempre più notevole, orientandosi verso la. produzione di lavoro in provincia di Alessandria e intensificandosi verso la produzione lattifera nelle rimanenti province. Quest'ultima specializzazione ha contribuito a rendere più acuta la crisi della carne manifestatasi ed accentuatasi nell'ultimo decennio, e r...r questo motivo non incontra grande favore presso una grande classe di consumatori, e presso gli studiosi che si preoccupano degli interessi di costoro e delle diminuite esportazioni e delle aumentate importazioni di animali. Lo svilupparsi e l'estendersi del caseificio « la crescente rjchiesta dei prodotti di questo, non ha tardato ad indirizzare l'allevatore su cli una via più sicura e più lucrosa, quella della produzione del latte. Ed oggi, infatti, in molte parti dell'Italia settentrionale non solo non s.i ingrassano più bovini, ma a centinaia i giovani vitelli, prima ancora che raggiungano un certo sviluppo vengono sacrificati al macello» (6). . Così si è scritto e non senza ragione. Ma il fatto non si è sempre considerato colla dovuta obbiettività; e le critiche si sono fatte in opposto senso, senza avere una esatta conoscenza del problema. Intanto sarebbe assurdo voler pretendere che gli allevatori non s.i disfacessero dei vitelli che per la loro cattiva conformazione non sarebbero suscettibili· di proficuo sviluppo, oppure, nelle annate che il foraggio è caro per la sua scarsità, essi si sobbarcas3t sera gravi spese per mantenere, senza convenienza la vita ai nuovi nati. Poi < in prossimità dei maggiori centri è certo che la domanda delle così dette carni bianche si accentua assai e l'agricoltura deve soddisfarla, come farebbe qualsiasi altro produttore, mentre d'altra parte i prezzi ivi acquisiti dal latte in natura sono tali da consigliarne il minor consumo possibile pei bisogni della stalla•. In altri luoghi, dove tali circostanze non esistono, l'agricoltura seguirà indirizzi diversi : o trasformerà il latte in latticini, o alleverà i vitelli in maggior numero seguendo s.empre strettamente il suo tornaconto. Non v'è nulla di strano in tutto ciò. Molto si è già fatto negli ultimi tempi per il miglioramento dei bovini piemontesi, se pure non sempre con ottimi risultati. Da tempo si introducono in Piemonte razze estere specializzate per la produzione del latte; s.opratutto nelle aziende del Novarese e nelle vaccherie attorno alle grandi città s'importano e si allevano di preferenza vacche Schwiz, e in parte olaBdesi. Per il miglioramento dei bovini piemontesi di piano e di qualche razza montanina, gli allevatori piemontesi perseverano nella via della selezione; i bovini dell' Ossola si vanno invece migliorando mediante importazione cli s.celti riproduttori di raz-ba bruna alpina, mentre per altre raz-.te cli montagna della provincia cli Toriuo si importano riproduttori Tarini e Simmental. Altre razze estere pure importate in Piemonte, in piccola scala, furono la Durhann, la Brettone e la Charolaise. In Piemonte si può contare una media 34,8 bovini per Kmq. cifra inferiore cli molto ai 50,3 della Lombardia e 51,9 dell'Emilia. Già ho accennato alla causa di tale inferiorità e ai modi della sua rimozione. Ma a comporre questa media concorrono cifre assai diverse a seconda dei luoghi : in taluni l'allevamento ha raggiunto un alto grado cli sviluppo, in altri si svolge in condizioni arretrate. Altro è l'alleva.mento della pianura irrigata, altro è quello dalla pianura ~sciutta, della collina, e della montagna. Il Piemonte, delle regioni dell'Italia settentrionale è 011ellache meno s'accosta colla media per Ku{q. alle cifre dei paesi più progrediti; e tuttavia in esse l'industria zoote<:- nica ha pur sempre larghe possibilità di sicuro sviluppo. Il quale, però, non credo che sarà tanto presto raggiunto. Scriveva recentemente lo. Zannoni che nell'allevamento del bestiame « purtroppo persiste una deplorevole stasi, una neghittosità ed una trascuratezza delle nonne igieniche e tecniche le quali, eccezione fatta per alcune località, sono davvero impresionanti ». Egli scrivendo queste parole si riferiva in modo speciale alla provincia di Alessandria, ma anche nelle altre province le condizioni non sono di gran lunga migliori. Tuttavia sarebbe ingiusto di non riconoscere che la buona volontà di avviarsi su migliiori cammini c'è: quello che manca è un'uniformità di criterii, una guida s.icura di norme razionali, una cooperazione efficace, fra gli allevatori; difetti questi che come vedremo s.ono difficili da eliminare più di quanto non sembri. BERNARDO GIOVENALE. (r) Per n1agg10n notizie, SERPIERI: La Montagna, i boschi e i pascoli; L'Italia Agricola. ed il su.o air"enire, fase. 2.; e il bellissimo libro del compianto VoGLIN0: Boschi e pascoli alpestri - Casale, 1912. (2) Cfr. VEZZANI: Industria zootecnica. Produzi.one, connnercio, regi?ne doganale. - Roma, 1918 - Pagg. 24, 26, 30, 31, 32, 33. - Annuario statistico italiano - 1917-18. Pagg. 177-178. (3) Cfr. AI.BERTI : Il bestiame e l'agrico . ura in fta.lia - Milano, 19()6, pagina 25. (4) Cfr. PIR0CCHI: Il patrimonio zootecnico italiano e i suoi pi?.t u.rgenti probl-enii. - Bologna, 1919, pag-. 25. (5) Cfr. Les bo-v-inesdu Piémont in L' Agricult·ure en ltat-te, estr. della Vie Apicale et rurale. - Paris, r920. (6) Cfr. GIULIANI: La cris'.idella carne in Ital'ia. - Catania, 1911, pagina 15. Ognuno dei libri sottonotati (in buone condizioni-) si spedisce senza aumento di prezzo a chi manderà una ca1tolina vaglia alla nostra ammi• uistrazione (Via XX Settembre, 6o). Per la raccomandazione aggiungere L. r. EwERS : Il raccapriccio (in tonso: invece di L. 6,6o) L. 5. VERGA: I mala-voglia (in tonso : invece di L. 9,90) L. 7. > E·ua (invece di L. 7) L. 4. PREZZ0LINI: Vittorio Veneto (in tonso: invece di lire 3) L. 2. BRACCO: Tra le arti e gl-i artisti (invece di lire 8,80) L. 6. DEGAS(16 opere , La Voce,) in tonso: invece di lire 5,50) L. 4· ROUSSEAU(12 opere , La Voce») (in tonso·: invece di L. 5,50) L. 4. O. NIGR0: Jns primae noctis (invece di lire 7,70) lire 4. i\1oRIKE: No-ve/le (in tonso: inYece di L. 7,70) lire 6.

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