La Rivoluzione liberale - anno I - n. 10 - 23 aprile 1922

b 38 posizione sia stata effettivamente più utile ai proletari di molte chiacçhiere ortodosse : e io peuso che pr.oprio per lo stimolo della sua polemica il problema del risparmio e del lavoro tecnico (disprezzati dai vecchi demagoghi del socialismo) .siano diventati preoccupazione e oggetto cli indagine dei comunisti torinesi : ma forse una più francà simpatia avrebbe meglio chiarito, aiutato ad intendere. Ave,1clo identificato il movimento operaio con le sue statiche formule collettivistiche, l'Einaudi lo ha discusso come una forma di socialismo di Stato. Ciò gli poteva essere consentito dall'esame di alcuni risultati empil·ici d'azione socialista, gli era contestato -dallo spirito autonomista e antiburocratico che presiede al risveglio operaio. ; Certo gli ideali del socialismo di stato si possono con molta ragionevolezza definire gli ideali dell'incapacità. Spiacciono all'Einaudi soprattutto i caratteri diseducatori della dottrina : il riformistico e quietis_tico utilitarismo, l'abdicazione allo spirito di responsabilità e ad ogni effettivo differenziarsi e specializzarsi delle energie produttrici. In uno stadio inferiore di vita sociale, ammessa l'incapacità dell'uomo a pensare da sè, può acquista.re un valore pirov,visoriouna pratica di governo che - quasi a preparare u,n modello - costringa le masse ad nu'opera,di previdenza, organizzazione, solidarietà. Ma se si deve porre l'antitesi tra Inghilterra e Ger:~ia, tra iibertà e organizzazione l'Einaudi sta col primo elemento del dilemma. J\[egare che qÙi vi sia.no.i residui di astrattismo del « lettore appassionato quasi monomaniaco cli libri inglesi » non rnrebbe possibile. Poichè appunto in quur:.o l'antitesi è così recisamente pbsta, trattasi più di una questione cli linguaggio che di una questione sociale. Libertà e organizzazione son termini correlativi che non si distruggono, ma reciprcr....a.mentes'invernuo e non si possono ipostatizzare o qt,asi identificare con due diverse nazioni dove la stessa parola ha una diversa storia e i rapporti tra due identiche designazioni sono profondamente diversi. La «libertà» degli inglesi non è sinonimo della « libertà » dei tedeschi; anzi piuttos'to dell' «organizzazione» e vice,rersa. Anche qui la spiegazione della preferenza dell'Einaudi è di natura teorica e si manifesta poco dopo. « La esperienza storica prova essere impossibile governare secondo « ragione » ; ed essere un fatto incontroverso che i sentimenti, le passioni ed anche i pregiudizi degli uomini sono una forza•di valore grandissimo di cui devono tenere assai conto la scienza e l'arte di governo» (op. cit. pagina 212). In questo riconoscimento della praxis consiste dunque sostanzialmente il suo liberismo che è una fede non una dottrina, e perciò intollerante ma non dogmatica. In siffatta concezione il liberismo economico benchè rimanga talora astratto e limitato tende a inverarsi in un superiore liberismo spirituale. • E' preferibile di gran lunga uno stato di libertà di scambi raggiunto in seguito alla esperienza _di errori protezionisti, che non un libero scambio imposto àalla civiltà alla barbarie ». L'intima natura sp-iritualistica del liberismo dell'Einaudi riesce infine a esprimersi in termini teorici precisi e adeguati, superando le difficoltà dei pregiudizi autifilosofìci, nella limpida e vitale professione di fede : Verso la città ideale. Qui al~ l'ordine, all'autorità, alla disciplina, al dogma viene contrapposto il mito della lotta, de! disordine, della disunione degli spiriti. Certi spunti addirittura hegeliaui, indipendenti da Hegel e consci della propria importanza, stupiscono in un empirista. • L'idea nasce dal contrasto. Se nessuno vi dice che avete torto, voi non sapete più di possedere la verità ... Il giorno della vittoria dell'unico '- <leale di vita la lotta ricomincerebbe perchè • è assurdo che gli uomini si contentino del nulla ... La Storia insegna la fine di tutti gli Stati che vollero imporre un unico ideale di vita». E se l'ordine (dogma) potrebbe essere il regno della felicità, l'Einaudi vede nella guerra europea la sua negazione, la sua repugnauza con la concreta responsabilità degli uomini. Perciò «milioni cli uomini morirono per allontanare dall'Europa l'amaro calice della felicità e dell'unità spirituale ». Non si saprebbe trovare altrove una critica più esplicita e più solida a tutti i dogmatismi - dal cattolico al democratico. Lo Stato. Ora si pu.ò esaminare la teoria dello Stato in cui conclude il pensiero di Einaudi. Lo Stato dei moralisti, è negato in nome di una più profonda eticità nazionale. Accetta dal Treitzsche l'esigenza dello Stato-forza e interpreta accuratamente « non forza fisica com.e fine a se stessa: forza per proteggere e promuovere i supremi btui dell'uomo». Critica poi l'assew..a. in Treitzsche di un positivo ideale etico e l'attribuisce alla mancanza di spirito filosofico. Qui la critica è incongruente e la mancanza di spirito filosofico rimproverata è invece la negazione, che LA RIVOLU·ZIONE LIBERALE '.çr:eitzsche coscientemente instaura, di ogni filosofia dell'essere, d'ogni filosofia non dialettica. L'etièità di Treitzsche è quella stw: sa che altrove professa l'Einaudi, os&ia formale : etica di attività (Kant contro la morale cri'stiaua). Lo Stato cli Einaudi è morale in quanto aderisce alla morale attività dei cittadini e ripudia ogni funzione distinta da quella dei. singoli, ogni astratto compito di elevazione e di illuminismo. Di questa teoria egli scopre soprattutto i motivi polemici e ne mette in chiaro le conseguenze empiriche. Il suo Stato è concepito come « ente il quale assicura agli uomini l'impero della legge ossia di una norma esteriore puramente formale, ali'ombra della quale gli uomini possono sviluppa.re le loro qualità più diverse, possono lottare tra loro per il trionfo degli ideali più diversi» (op. cit. pag. 345). « Noi vogliamo l'unità, ma conquistata vivendo e soffrendo, elevandoci al di sopra della materia, del godimento bruto». Volendo esse- . re anche più espliciti l'unità ·come mito, come idea.le « l'impero della legge come condizione per l'anarchia degli 51)liriti»; la forza nella vita estrinseca; l'unità limitata alle forme e alle condizioni di vita. Posta qu.esta visione dialettica e relativistica il criterio di ogni esame è nell'intima lotta: lo Stato dem,ocratico non si pruò più accettare come governo del numero, delle maggioranze, ma come risultato di un perenne dissidio in cui la maggioranza sussiste in funzione di una minoranza. Così si deve intendere la sua polemica contro ogni forma di ostacolo alla libera discussione, clie giunge anche ad accettare l'ostruzionismo (non per un vuoto libertarismo). I Anglofilismo e tradizione pie~ntese. Spiegata ed esposta organicamente la parte viva dell'anglofilismo di Luigi Einaudi resta - •affinchè la visione sia completa - che se ne caratterizzino i li'miti e se ne indichino i punti debol:i e le contraddizioni. Si trovano le contraddizioni tutte le volte che l'ideale psicologico diventa ideale politico concluso ed esplicito. L'anglofì!ismo ha i suoi torti a p1-iori : per l'arretrata economia italiana una formula di vita inglese, culturalmente accettata e assimilata,. divéuta un ideale trascendente, una norma d'azione non giustificabile in quanto non esistono tra noi quelle forze che la rendono vitale nel suo luogo d'origine. L'aristocrazia tecnico-borghese che governa l'Inghilterra è tra noi in uno stadio appena iniziale : le parole che l'Einaudi rivolge a questo nucleo nascente (trascurando gli altri sforzi moderni) devono tragicamente diventare nella situazione generale italiana prediche senza effettuazione. Pare di sentire talora l'eco del Ferrara. In verità la posizione dell'Einaudi ha storicamente i suoi punti cli coincidenza con la posizione di Ferrara e cli Cavour. Il problema di Ferrara: creare nel piccolo Piemonte la scienza inglese della modernità, è connaturato al progresso della nostra scienza e. della nostra industria: ma nell'Einaudi il lungo studio amoroso della vita economica piemontese (r) e la comprensione ferma dell'opera empirica cavouriaua cercano di dare ai termini teorici dell'.esigeuza una pratica concretezza ad~guata alla nostra tradiz;ione. Volendo chiarire drammaticamente quèste note esegetiche - lottano in Einaudi lo storico e l'economista, il pratico e lo scienziato; insomma due liberismi : Cavour e Ferrara. L'Einaudi supererebbe il dissidio quando nel suo giudizio sulla personalità cavouriana si levasse al disopra delle intenzioni e dei pregiudizi dell'uomo, sino a intenderne in una nuova teoria tutta l'azione reale. Finchè egli valuterà Cavour secondo una visione ferrariana alcuni intimi motivi del Risorgimento Italiano gli sfuggiranno inesorabilmente e il suo tradizionalismo, la sua politica storica che vuol muovere da « concrete e precise esigenze nazionali » saranno soffocate da un astratto auglofilismo. C'è nell'umile realtà del Piemonte dell'Soo (da cui è nata l'Italia) qualcosa che supera gli elementi della cultura inglese. Nell'esame dei grandi problemi internazionali l'Einaudi, accettando l'impostazione inglese, ha dimenticato talvolta, mo·- m.entaneamente, le più care idee della tradizione e persino la più vigorosa : l'idea di una monarchia forte come la sabauda del '600 e del '700. Questi errori sono dovuti al concetto che egli si è fatto della funzione dell'Inghilterra nel mondo moderno. Seguendo il Beer, l'Einaudi è disposto a scorgere nella nazione imperiale la pacifica unificatrice dei popoli, l'annuuziatrice della Società delle Nazioni. Ma l'Inghilterra ha una funzione a patto di esplicarla sempre nuova; è un risultato della storia e avrà il suo valore nella storia futura in relazione alla sua volontà e agli imprevedibili eventi, uou per uno schema metafisico prefisso. Questo noi abbiamo imparato dall'Einaudi: quando egli deprecava un disastro navale dell'Inghilterra come selvaggio delitto, noi avremmo potuto ricordargli, quasi con parole sue, che l'Inghilterra è i=orta!e fin: chè sa esserlo, e non. ha da temere disastri navali fiuchè possiede una funzione nella storia, ma la sua rovina sarebbe indepi:-ecabile quando altri fosse più adatto a soddisfare il suo stesso compito. ' . Le simpatie per il federalismo inglese e p:ei- la Società delle Nazioni, muovono \J.alle stesse premesse della teoria di Normann Auge!. Ma Luigi Einaudi è meno dogmatico e solo raramenfe astrattista. Anche nella sua enunciazione di un pregiudizio si sente lo sforzo di andare oltre, di non irrigidire il pensiero in un luogo comune. Se lo Stato isolato è economicamente impensabile nella società moderna - superato del pari - ne deducevano gli economisti - deve essere ·1•·a11ticoStato sovrano assoluto e indipendente' entro i limiti del proprio territorio. Si sostituiva ad una concreta esperienza politica, ricc~ di una storia, la generalizzazione cli uno schema economico. Il fatto notato per l'economia è vero : e ali' esigenza stanno provvedendo, dovranno prnvvedere i reali fattori tecnici della produzione mondiale. Il liberismo economico è in questo terreno perfettamente valido e sicuro. Ma le conseguenze· politiche che se ne. vogliono trarre definiscono generiche aspirazioni e rettoriche letternrie. L'Einaudi si è sforzato di porre in un organismo politico concreto questi ideali, ma s'è dovuto arrestare a indicazioni di attività, comuhi ad al- ' tri Stati e di indirizzi diplomatici preferibili. Qua.udo ha compreso che la Società delle Nazioni si sfasciava di fronte alle concrete individualità nazionali il teorico dell'Inghilterra ha ceduto il posto allo storico. La Società delle Nazioni è diventata per lui la formula·comprensiva di una politica realistica d.a attuarsi nella relatività della pratica.: riconQscimento della reciproca dipen- ·cleuza delle nazioni nel campo economico, ]iberismo, collaborazione produttiva. L' esperienza di astrattismo prima descritta è nettamente superato e rimau,a; come documento storico di incertezze teoriche. Economia e morale. L'ultima forma di questa sempre identica incertezza (che contribuisce sostanzialmente a caratterizzare l'Einaudi e ne fa uno spirito •inquieto, ricco di problemi complessi, lontano dalle aridezze dei tecnici della economia) esula dal nostro esame specifico .e solo si può bre_vemeute studiare come ri- • tratto del dissidio tra scienziato e politico, tra moralista e osserva.tor-e di fatti economici. La soluzione è data dalla filosofia che definisce scienza e morale come valori di forma, come assoluti che governano il mondo dello spirito e sono anzi propriamente la descrizione del mondo dello spirito e del suo processo e considera la politica e l'empiria come risultati della libera ·operosità degli individui suscitata di momento in momento da tutta una realizzazione storica passata. Le leggi della morale si effettuano nei fatti politici ma non li determinano a priori nel loro con,tenuto. Ha ragione l'Einaudi qua.udo dice che « la scienza. economica è subordinata alla Legge morale e nessun contrasto vi può essere tra quanto l'interesse lungi veggente consiglia agli uomini e quanto ad es-si ordina la coscienza del proprio dovere verso le generazioni future». E certo, senza pretendere di giudicare qui l'attività dell'Einaudi scienziato, tutta la sua importanza nella storia della dottrina consiste essenzialmente nell'a·ver riportato la Scienza delle Finanze dalla molteplicità disorganica della raccolta' di fatti ad un organismo unitario ove sono spiegati i motivi di azione e la genesi della realtà economica secondo un processo aderente alla dialettica della società. Questa considerazione formale dei fatti e- ·conomici è la sola c11epossa giustificare il concetto di una economia scientifica non abbandonata all'arbitrio dell'empiria. Ma se è al disopra dell'empiria questa scienza non la potrà afferrare e prevedere e il giudizio che pretenderà dare a p1·iori del fatto singolo dovrà avere soltanto un valore astratto di esempio; ogni rigorosa deduzione sarebbe ridicola ed erronea; il fatto singolo in quanto s1 deduce da una legge non è più fatto singolo, ma scientifico; il concetto economico che è concetto a patto di non avere contenuto contingente ed intero vale per il singolo ma non è legge sociale penetrabile. La pratica insomma è spiegata, non creata dalla teoria della pratica. L'Einaudi ha visto questo problema più chiaramente cli ogni altro con l'identificazione (fonnale) di economia ed etica (a parte ogni ulteriore distinzione che l'indagine debba introdurvi) : ma non sempre ha abbandonato la pretesa di prevedere la realt:i sociale secondo la sua scienza economica. Onde le prediche e le disillusioni. L'esperienza gli ha dato, quasi tragicamente, il senso del farsi della storia superiore a tutte le leggi, coerente solo a ~ stessa. L'oggetto universale ed esterno della scienza. può consistere soltanto • in questa coerenza. Di qui la sicu,rezza, e la sereni.~ (rara in un economista) con. cui l'Einaudi viène giudicando in questi n1timi anni la realtà e la sua opera stessa. Lo studiare a priori fatti singoli del mondo pratico è ,ancora fatto singolo pratico; lo scienziato diventa e deve diventare uomo, coerente a se steso?◊ : ma tutta 1a sua scienza acquista solo più il valore di espe~euza_ i7:1~i~duale; non · gli si può chiedere 1 mfalhb11ita. La P:axis dell'uomo di scienza parrebbe contra:ddire la sua teoria. La storia soltanto invera i due •momenti, inquadrando quello che era un fatto siuO'olo irrealizzato, non valido che come fatto 0 psi~ologico, nelle leggi di un processo eterno. Di questa coerenza superiore, senza altre intellettualistiche preoccupazioni deve appagarsi il teorico che ha sapnto ascoltare la 1"espousabilità e l'imperativo categorico che lo traeviauo all'azione. Luigi Einaudi ha aiutato tutti gli studiosi alla soluzione del problema, affrontandolo nei suoi termini morali e risolvendolo indipendentemente dalle antinomie filosofi.che. PIERO GoBETTI. UOMIN-1 E IDEE Il giornalismo è un momento della vita ideale da cui una visione dialettica dello spirito non può prescindere. Il giornalista come scrittore che seri ve di ciò che non conosce, che si fa in tre giorni un 'esperienza dove altri elabora la speciaiizzazione di tutta una vita, rappresenta. l'agilità dello spirito che muove alla conquista dell'infinito sapere, che prende coscienzadei modi di attività del pensiero più complessi e diversi. Il giornalismo è dunque il momento della prima effettuazionedella possibilità e la risoluzione della mera potenza in un atto che nella sua imprecisione e complessità è ancora la fotografi.adella potenza. La maturità e l'organicità, dato questo atteggiamento dello spirito, vengono, non per un processo di limitazione, ma attraverso una corsa ali 'approfondimento. Il giornalismo aiuta dunque l'affermarsi di una visione integrale e complessiva della vita, si oppone alla fredda e falsa specializzazione, rappresenta in ogni attimo dello sviluppo la coerenza dell'infinito mondo sto. rico che si deve studiare con la conquistata unità spirituale eia cui lo si considera. * * :j: Accanto a questo giornalismo ideale esiste un giornalismo pratico, di professionisti che ne e la franca· contraddizione. C'è il giornalista ... che nbn cerca gli approfondimenti successivi. Quello che non raggiunge il sistema. Che resta sempre infante, saccente, che non studia più perchè deve scrivere, non pensa perchè deve chiacchierare al caffè, non legge perchè deve fare l 1intervista. Tal quale il professore che non s'affatica il cervello perchè ha già da fare la lezione e non pensa perchè preferisce arrotondare lo stipendio. Che cosa significa per la nostra cultura il fatto che quando si dice professore o giornalista il pubblico pensa soltanto alle due ligure decadenti qui disegn~te? Scrive troppo! eccouna frase con la quale spesso ci si libera dal giudicare seriamente uomini che non riusciremmo a svalutare discutendoli. Arnaldo Fraccaroli resterà pur sempre la figura più caratteristica (e più cara alla maggioranza) della stoltezza giornalistica borghese. Fraccaroli è l'idiota che non s'avvecle cli esserlo e, su tutti i mercati, vende e magnifica c01Ue merce sana la sua dappocaggine. Ma è più plebeo cli un commerciante perchè uon ne ha la disinvoltura e la doppiezza. L'incapacità di ironia verso sè medesimo lo fa goffo : rimane il trastullo sgangherato e grossolano cli chi lo osserva ed è condan~ nato a essere perpetuamente il burattino cli sè stesso, a vedere sempre riflessa in ciò che seri ve e in ciò che lo circonda la propria sciocchezza. Socialmente è la figura del viaggiatore che non si ferma; osservatore impenitente, per il quale il conoscere si confonde col vedere dal finestrino del treno. Il suo libro è la pellicola, il suo pasto il giornaletto umoristico. Se Fraccaroli leggesse Kant. ci ritroverebbe ad ogni riga una freddura : egli non può smentirsi, bisogna che rida ad ogni istante, superficialmente della propria superficialità. La sua 1nateria è internazionale - senza realtà. I fantasmi visti materialmente, cou gli occhi, dal finestrino ciel treno svaniscono quando la fantasia estetica li voglia precisare. Invece di canzon_arequesta sua incapacità cli esprimersi Fraccarnh resta dogmatico, impettito nella sua impotenza, ma tra le risa della pla'tea ci sono pure e ci saranno gli scrosci clell'irouia e della beffa. L'amicizia cli Vittorio Emanuele Orlando cd Ang,:,loMusco: la più sintetica espressione della S1c1'.1acli Nasi nella penisola, i rappresentanti cieli_It;ù1achiacchierona, teatrale, lazzarona, e sentimentale, che conoscono gli stranieri. Il cortigiano e il suo pagliaccio (un Gran Collare e un Gran .Cordone). La lagdmuccia vale la dsata in terra cli mimi: a.i liberti le decorazioni sotto la sacra custoclia delle leggi democratiche. Il critico.

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