La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 7 - 2 aprile 1922

28 che non sia azione: dovremmo metterci a contestare anche qui la possibilità di concepire la storia secondo due momenti dei quali il primo consisterebbe nell'azione interna e il secondo sarebbe la sua traduzione esteriore? Ma la storia è tutto pensiero e tutta azione e la critica a queste idee psicologistiche che il Murri vuol risuscitare è stata fatta ormai da parecchi decenni. Quando sapremo liberarci dal vecchio Dio naturalistico? Empiricamente - in quello stato che c'è (che sembra esserci) noi operiamo come se esso fosse già attualmente il nuovo Stato da fare appunto pen:hè la nostra opera muove da uua valutazione storica e riconosce alla base della socialità un fatto etico - quindi non ci si può rimproverare di peggiorarlo prati.camente. Ciò che abbiamo fatto sinora d distingue decisamente dagli utopisti di ogni specie : e non abbiamo bisogno di mettere in programma il realismo e il concretismo. Ma appunto per realizzare questo Stato, che nella nostra azione è concreto, dobbiamo superarci: perché la nostra concretezza individuale diventa astrattezza nella realtà della storia, come astratti sono tutti i solitari, per es. il Murri e i co-nservatori teorici, come lui, di fedeltà. Per noi insomma l'adesione allo Stato non è uno schema bell 'è fatto che a taluni iniziati spetterebbe indicare e al popolo seguire, l'autodisciplina non può essere un momento di passività; 11 storia è imprevidibile; bisogna crearla, esaltando il momento creativo contro tutte le illusioni meccaniche e conservatrici i identificarla con l 'inìziativa del popolo, riconoscere umilmente la divinità di questa creazione. Qui sorge -- per la natura stessa del processo storico - il problema della disciplina. E pen:hè il problema si faccia ·coscienza realistica è nata nella crisi e dalla cr:isi 1 serenamente, La Ri1Joluzione I..ibe·rale, che (spoglia di idolatrie messianiche, conscia che alla Rivoluzione si lavora da decenni e si dovrà lavorare ancora ,asceticamente, senza <leterminare scadenze, cbe la forza dello spirito nazionale apparirà tutta dalla grandezza di questa iniziativa) si propone di mediare l'immediato, di ,rivere il dramma di un impulso che si fa organismo, di far scaturire dall 1iniziativa l'autorità, - di tradurre il mito in storia. Tanto temerario è il nostro realismo: tanto commaturato con l'animo nostro il senso della disciplina che ci consideriamo sin d'ora, in un certo senso, come il nuovo governo della nuova Italia o almeno (e questo è tutto) ne viviamo la responsabilità! ~a tiragediadella Polonia "li; definita da C. E. Suckert in una ferrea sintesi storiça apparsa nel Mondo, che i retori delle redivive Giovani Europe dovrebbero seriament!" - meditare. , L'occidentalismo della Polonia è stato generato da un'assoluta mancanza di qualità creative, quasi da una naturale inclinazione all'imitazione ... La civiltà di occidente vi è rimasta allo stato epidermico, non è mai divenuta una necessità fisiologica. , La Polonia passata da uno stato semibarbaro e.Ila pomposa civiltà meridionale, non ha mai t; ovato la forza e il modo di resistere, di crearsi una personalità storica, di opporre o almeno di mescolare le qualità fondamentali e indistruttibili della razza (che ancora rivelatesi in una forma di civiltà personale) alla civiltà che si era presa a modello. Di qui la sua perenne mancanza di equilibrio, la sua inorganicità, i suoi tentennamenti, il carattere ambiguo e paradossale delle aue vicende storiche. , C'è del Chopin dappertutto, in Polonia, anche nella religione: vi si sente non già la fede, la tragica fede latina che sa di martiri e d 'inquisizione, ma quella bene educata che sa di Sacro Cuore. Vi si sente qualcosa di femminile>. Gli occidentali guardano alla Polonia con la JJOStalgia di uno sport romantico. Michiewiz e Slovacki (che possono avere un grande valore nella cronaca psicologica dei sogni di reden1Jone) rappresentano I 'mpotenza di un misticismo senza umiltà, senza accettazione realistica. Queste menzogne e queste debolezze generano l'ipocrisia della falsa arte internazionale, cara al pubblico europeo più grossolano, di Sienkiewiz e di Ciaicovschi. Nel riconoscimento di tali verità si spegneranW> gli entusiasmi neo-mazziniani e falliranno i calcoli della Francia che troveranno alleati debolucci e pretenziosi come tutti quelli che si montano la testa fingendo di difendere una causa idealistica. Tra Germania e Russia - ossia tra due realtà - si dilegueranno gli artifi• dosi capricci della gallica paura. La scuola cattolica Nelle Pagine Libere A. O. Olivetti getta l'allarme contro la scuola cattolica : , In cinquant'anni l'Italia diverrà un nuovo Belgio. Lasciate che due o tre generazioni siano lavorate dalla scuola cattolica e vedrete quale entorse cerebral sapranno imprimere ai cervelli infantili i buoni padri! >. Illusioni! Dalla scuola dei Gesuiti nasce Gioberti, nascono le più belle figure di congiurati e di combattenti. Non per volontà dei Gesuiti, ma nonostante essi :_perchè la scuola non forma LA RIVOLUZIONE LIBERALE nulla, 110n area nulla, perchè essa è morta definitivamente col medioevo e col tomismo. L'elaborazione della scienza è sfuggita p~r sem~ pre alla scuola, all'università che non ha saputo valersi dell'opera di B. Croce, di G. Papitù, di V. Pareto, di G. Prezzolini, di M. Missiroli, cli G. De Ruggiero, di A. Tilgher. EinaucJ.i; Salvemini, Gentile, Lombardo Radice, ecc. restano ecceZioui, che si son fatta una scuola a modo loro, eppure stamno a disagio tra una turba di persone indifferenti, inascoltati, poco efficaci. La scuola cattolica non riuscirà a dare il n0me a una civiltà. Conquistando la scuola i cattolici conquisteranno il vuoto, vi formeranno degli spiriti mediocri, educberanno quella massa che è anche oggi cattolica di nome, n1a che non ha peso nella storia. Del resto non occorre seguire il pessinùsmo di Olivetti in tutte le• sue affermazioni: anche in quest'opera i cattolici non rimarranno soli : a contender loro la conquista della mediocrità già si affacciano i socialisti. Di fronte a codesti divulgatori i _liberisti della rivoluzione, i razi011alisti dell'autonomia avranno 1.1.. vittoria, senza troppe preoccupazioni, se non verranno meno al loro compito cli disciplinatori della civiltà, ai creatori clella scienza e della storia. La uostra scuola non ha bisogno di aule, 1tP ·d_i programmi, nè di orari. Lo Stato etico Sul Manifesto della Rivoluzùme Liberale scrive un runico e collaboratore: • Ho una certa paura della funzione di immanente eticità che tu attribuisci allo Stato. Per me lo Stato non deve essere che il garante deJla libertà individuale; gli individui poi risolvàno come meglio credono il loro problema morale, magari con la trascendenza. Insomma per me non esiste un'idea liberal~, ma soltanto un metodo liberale. Lo Stato liberale deve esigere che tutte le idee (le quali hanno sempre un contenuto ossia un dogma) accettino il metodo della libertà per tentare di imporsi>. I due concetti non sono affatto contradditori. !.'immanentismo etico del Manifesto è immanentismo senza illusioni e senza confusioni e non può teorizzare una funzione, come contenuto, dello Stato. L'eticità dello Stato è u,n'eticità formale che non ha bisogno di essere professata. Se tutte le idee devono accettare il metodo della libertà per tentaTe di imporsi, rinunciano per ciò stesso a quel contenuto trascendentale e dogmatico che potessero avere. Questa la peculiarità dell'idea e dello Stato liberale: che lo si deve accettare anche nolenti, cbe corrode tutte le intolleranze per affermare una nuova intolleranza formale, che non chiede adesioni, ma determina azioni. D'altra parte per il fatto stesso che è garante della libertà individuale" lo Stato crea un'armonia sociale e determina una disciplina, che è poi la sostanza stessa della socialità come ampliamento e superamento dell'individuo, come negazione dcgli impulsi egoistici. Ciò nasce dallo Stato per il fatto stesso che es;ste. La sua eticità è un impulso iniziale e un risultato che s'alimenta di libera iruziativa. In questo senso lo si può anche definire semplicisticamente a.mministra.zione pubblica ma a patto che si intenda bene tutta la idealità e la religiosità che sono implicite nel coorqinare volontà e nel consacrare libere iniziative. Libgralismoe operai C'è uua contraddizione tra il nostro pensiero sull'imprevidibilità della storia e la nostra opera rivoluzionaria di liberali che scorgono nell'azione autonoma dei partiti di massa il coronamento di una formazione nazionale dello Stato? Questa interessante questione ci è posta da un amico unitario che aderisce al nostro lavoro culturale e conserva i suoi dubbi sulla validità dell'impostazione attuale che noi vi abbiamo dato : • È possibile - egli si domanda - ottenere l'adesione del popolo allo Stato, ali 'organismo della vita sociale operando secondo la concezione dello Stato liberale che gli operai sono stati ammaestrati fiµora a considerare come nemico? Possono questi operai essere attirati da un programma di libertà econonùca, quando è stato loro insegnato finora che dalla libertà economica derivano le loro condizioni di sfruttamento, che la libertà serve a chi è già ricco per mantenere )e sue ricchezze ed aumentarle, può consentire a qualcuno più fortunato o meno scrupoloso di salire dalla povertà alla ricchezza, ma non può far raggiungere quel regime di giustizia economica e sociale per tutti a cui il proletario aspira»? Invece di rispondere a questa domanda noi ce ne facciamo un'altra: è necessario ottenere que· sta adesione di princ-ipio? In un movimento di masse (ossia in un movimento non scientifico) le idee sono nelle formule o sono nella prax.is? Il proce.sso di autocoscienza e di liberazione degli operai deve seguire la sua via. Importa che essi sentano la necessità dell'azione politica, che nell'agire, e non nello sperare o nel coltivare 1 'astratta giustizia, ripongano la loro -salvezr.a. Se hanno bisogno, per scendere alla -lotta, dj miti e di astratti programmi, ben vengono anche codeste che l'esperiem.a storica ci dimostra a priori feconde musioni. Non è necessario che aderiscano alla storia nel senso in cui noi vi aderiamo. Importa per noi che si scatenino le loro libere, rivoluzionarie volontà, con tutto quel che di messianico vi. può essere, e senza attendere o prevedtre dei risultati riconosciamo a buon diritto eh::: essi sin d'ora concludono n un'opera libera]e in qaanto perseguono un processo di autonomia e di liberazione e tradt~cono ]e loro iniziative in disciplina politica. Questa è la sostanza del nostro liberalismo dit-ettamente antitetic;, ad ogni pratica conservatrice. ANTIGUELFO. Letture di economia M:ANN - Probl.enii e tecnica dell 1 esportazione d"olt7eniare - Treves, Milano, 1922 - L. 4. Uua delle principali basi del prestigio di uno Stato presso un popolo straniero è 1 'entità e la forma della sua esportazione d'oltremare, e in generale dell'esportazione ali 'estero dei prodotti deJla sua industria. Lo Stato che manda all 'estero con assiduità e con potenza cli organizzazioue i prodotti in cui si specializza, dati i caratteri va.ri che possiede per cui certe industrie attecchiscono tenacemente e rigogliosamente in esso, dimostra di essere ordinato internamente, dimostra che in esso si lavora con intelligenza e si progredisce, e quindi acquista stima presso i popoli di altri stati, i quali misurano assai da questi indizi il grado di considerazione in cui un certo stato deve essere tenuto. I...'organis1nodella esportazione italialla d'oli.rema.re è assai meschino. Intanto in Italia no11 tutte le industrie che J?Otrebbero vivacemente ~ stabilmente fiorirvi hanno avuto finora J'implso che in altri stati ricevettero. Si tratta, in sostanza, di industrie che non assumono, nè possono assumere, proporzioni gigantesche ma che tuttavia potrebbero recare un grande beneficio economico al paese. Cosl è certo che la nostra produzione agraria, che è la maggiore fonte della ricchezza italiana, e che dovrebbe perciò attrarre 1 • maggiori cure della popolazione e, per quanto • sta in esso, del governo, è molto trascurata. L'industria enologica comincia a mettere radici appena adesso, ed appena ora pare che i produttori abbiano volontà di mettersi sul serio a lavorare in comune allo scopo di mandare all'estero pochi determinati tipi di vino con caratteri costanti e perciò tali da guadagnarsi la simpatia e la fiducia dello straniero. L101ivicoltura invece di andare avanti regredisce; la bachicoltura fa una vita molto grama; nella produzione e nel commercio degli agrumi la Spagna ci lascia dietro di un bel tratto e si potrebbe andare avanti e vedreste che la fila non è breve. Non solo; ma il popolo italiano ha attitudine a lavori di una certa arte, di una certa finezza e, diciamo pure, di una certa complessità: ed ha ripugnanza per i lavori monotoni, volti alla produzione di un certo oggetto sempre eguale, senza difficoltà, anzi io ritengo che il carattere generalmente turbolento dell'operaio italiano, che lavora ne11egrandi officine moderne ,sia dovuto alla violenza che fa al prop1io carattere e alle proprie attitudini, sperperando le proprie energie in lavori che non gli procurano nessuna sodclisfazione, a causa della loro monotonia. Da noi si cerca di far progredire artificialmente proprio quelle industrie che sono meno compatibili coi caratteri principali dell'economia italiana. Ad ogni modo, ammesso che la guerra abbia dato all'industria italiana un impulso sia pure folle, sia pure cieco1 ma forte 110n poco, bisogna vedere se i suoi prodotti trovano uno sbocco non dico nei mercati interni, ma nei mercati stranieri. Ora, è riconosciuto che per procacciare e mantenere questi sbocchi, è necessaria una poderosa e moderna organizzazione del comn1ercio straniero, specialmente ove questo sia volto ad affermarsi vigorosamente sui mercati più lontani. Si può dire, senza timore di esagerazione, che l 'Ita1ia manca di una simile organizzazione. In passato vi erano industrie italiane, il cui prodotto finiva nei magazzini delle case commerciali di esportazione tedesche, e andava in giro pei mercati del mondo come merce di fabbricazione tedesca. Co.,;a significa questo? Significa che in parecchi casi la merce italiana era tale d2 competere valorosan1ente colJe merci straniere somiglianti, ma non poteva conquistare con un proprio nome i mercati lontani appunto per la mancanza di una organizzazione dell'esporlazione. Il Mann, dopo aver notato e illustrato queste circostanze, esamina le varie forme con c1U questa organizza1Jone può crearsi ; e eia tale esame passando a ragionare cli qual forma la procluzione italiana possa più proficuamente valersi, non esita a rilevare cbe essa si1t quella delle case commerciali di esportazione. Le quali sono orgaruzzazionj indipendenti dalle industrie. Esse assorbono il prodotto di queste; e la loro funzione essenziale ~ quella dj collocare tale prodotto nei mercati stranieri, valendosi di tutte le conoscenze che sono a loro portata, e che devono procurarsi perché sono indispensabili oll 'esercizio della loro funzione. Conoscenze di natura assai delicata, minuziose, che si estendono dal clima e dalla configurn1jone di m1a regione, ai più triti pregiudizi e vizi di un popolo; e tali perciò da esigere nella persona o nella istituzione che le ricerca requisiti particolari, cbe il privato industriale, soverchiato dal lavoro della produzione e dell'esplorazione del mercato vicino non può avere. Vi sono bensl dei sindacati industriali che riunendo insieme le fo1ze di più industrie, riescone a guadagnare una particolare autonomia anche per ciò che riguarda il commercio d'oltremare; ma es,si richiedono una disciplina rigorosa nei loro membri; e giustamente il Maun, in considerazione appunto della psicologia del nostro popolo, indisciplinato per natura e amante della propria indipendenza, ritiene che sia mene- conveniente· questa forma rispetto alJ'altra già accennata. li libro è pure' ricchissimo di notizie tec_niche sul credito ali 'esportazione, e sulla costituzione interna delle case commerciali di es,portazione. l.ibro sgombro di inutili chiacchiere, o di viete norme, buone da relegarsi in inutili trattati di ragioneria, esso merita di esser letto e diffuso .. BERNARDO G JOVENALE. NOTE==- Perchè facciamo una rivista settimanale? NoB per accompagnare gli avveni1nenti, ma per accompagnare il lettore, per diventargli indispensabili, per fondare insieme con lui una cor,1un1tà. 1 una scuola. Una scuola in cui più impara chi pitì fa, più ottiene chi più dà agli altri_ Pubblicando articoli di due o tre pagine, senza pro• porci facili divulgazioni, o assurde semplificazioni stiiistiche noi diamo appunto un 1espres-sione simbolica dello sforzo che si vuole esigere da'l nostri lettori. * * * A Torino abbiamo una cuLttN"aprovinciale perchè abbiamo un giornalismo provinciale. Come instaurare una differenziazione di valori quando si ha l'impudenza di tenere M. Bass; al posto di G. A. Borgese, M. Caputo al posto di V. Gayda, Pestelli (udite! udite!) al posto di L. Einaudi? La funzione storica del giornalismo torinese consiste -ne1Porg2nizzazione di ueglion.issim.i e di feste cli beneficenza. La facoltà di Gim-ispn,denza dell'Università torinese è la più bella prova della nostra tesi sull'apacronismo deJla scuola moderna. Quale it>- fluenza. hanno nella vita cittadina uomini di scienza come L. Einaudi, G. Mosca, A. Sraffa, P. Jannacone, G. Solari, G. Pacchioni, G. Prato, F. Ruffini, ecc.? Chi s'avvede che essi vivono a Torino? Chi tra tanti ignoranti sente il bisogn9 di avvicinarli, di consultarli, di imparare ciò che essi possono insegnare ? Perciò questi spiiiti aristocratici si appartano,_ sdegnano le vuote espressioni di clamore culturale indigeno, s~ sono ridotti a conversare gli uni con gli altri e con pochi giovani; selvatici come loro tra tanta mondanità. Il crit-ico. ANTOLOGIA Quando si è detto protezionista senz'altra specificazione si è detto un bel nulla : protezionista di che cosa? Evidentemente lo Stato non può proteggere ugualmente tutte le fonne di produzione; proteggerle tutte significa prnteggeme nessun.a, cioè essere liberista. Non si tratta dunque di essere protezionisti in contra.sto dei liberisti, ma di essere protezionisti di un determinato gruppo di pro<luzioni ai danni di altri. A fianco del liberista il qua.le dice : protezione a nessuno; tutti vadano avanti con le sole loro forze, ci saranno i protezionisti i quali si divideranno :n tanti gruppi quanti sono i gruppi che domandano la protezione, e naturalmente ogni gru,ppo domanderà la protezione per sè e sa:rà liberista o men.o protezionista per gli altri. Essi sono esponenti di interessi di categorie. E. CORBINO. Dunque il programma dei liberisti non f>uòessere che uno solo : far scaturire la propria' verità mettendo in antitesi le contraddiziorvi.particolaristiche degli avversari e rendendole rec,:procamente incompat·ibili. Lu prova del J-,wcosarà nell'abilità diplomatica. con cui i liberisti sapranno suscitare il con.- 1.rasto Ira sidernrg;ci e melaUurgici : ma, ahimè! sono i liberist.i dotati di «bilità diplomatica? Direttort: PIERO GOBETTI G. B. GODETTI, gerente responsabile OIIicina Grafica Editrice Bodoniana _ O. G. E. B. Corso Principe Oddon.e, 34 _ Tonnm. BI\ NCf\ /\CiRICOLI\ ITf\LI/\Nf\ SedeSoeiale eDinzlane Generale in TORINO

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