La Rivoluzione Liberale - anno I - n. 3 - 25 febbraio 1922

provvisoriamente col termine di poverismo il complesso delle tendenze e delle dottrine contrarie allo spirito capitalistico. Prima di tutto. al solito, il sistema poveristico dtlla Chiesa Romana, cui ancora si volge con nostalgia il ricordo e •l'affetto _degli italiani: nè so tenermi dal trascrivere una pagrnetta del VeuillGt, dove i suoi caratteri sono scolpiti con una efficacia che non mi stanco di amQ)irare: , A l'osteria, le déjeuner couta dix~sept_sous. C'est une des gràces de Rome, tje pouvoir déIenner où l'on veut, au prix que !'on veut. Toute port_e est ouverte à toute honnete homme. On a le dro,t d'etre pauvre la pauvreté est de bonne humeur. Le droit d'étre pauvre, la bonne humeur de la pauvreté i Le monde finira par n'avoir meme plus l'idée de ces deux grands biens; et alors ,1 l' aura àes pleurs et de grincement de d~nts. Rome, Rome, doux pays de la pauverte honoree et libre! _ Le docteur B••, excellent prètre, parti! de Pans son breviaire sous le bras, il entra dans Rome _sans autre fortune qu'un sac de nuit ... qui contena,! un pian d'études. , À vingt sous par JOUt, l'ho1101aire de sa mc~se, il est logé, nourn, libre, content, li est entourc de consideration, et il fait un beau livre 11 • - ••• L'Italia, mio caro, in cui vi sentite comeesll1ati, è questa, è sempre questa. Per cambiarla pare che tu faccia assegnamentosui nuclei iniziali dei due partiti rivoluzionari, quello degli operai e quello dei contadini. _;Fu li chiami' rivoluzionari: spieg~ti. .. forse sono rivoluzionari i loro capi. le loro ehtes, i giovani che pii1 o meno conosciamo,tizio o ca~o, e che assumono v~o l'Italia d'o,ggi, l'atteggiamento di pr~testa puritana? Ma perché i capi e le élites mettano in moto le masse hanno bisogno di un vecchio ingrediente, il paradis~. E non mica qualche paradiso laico, come sempre ce ne hanno descritto gli utopisti. Per battere la Chiesa, com: pletamente provvista con tre paradisi, quello d1 Adamo ed Eva, quello « poverista , in cui Vemllot e il sùo amico R,i,.* si trovavano cosi bene, e quel!~ lassù, bisogna che i capi e le è/i/es dispongano d1 un paradiso come ne disponevano t Catv.rn,.sti, } Mennoniti, i Quaccheri. Vuoi tu rimandare, a1 Circoli di Coltura Religiosa? Ah, man bon, passi belt .,ue ça / Il coraggiù di mascherarsi da _protestante l'ha soltanto il nostro dnico Prezzol1111 I O forse tu vuoi dire che e l'ardore e l'iniziatìva degli operai » saranno - da certe nuove circosta1.1ze economiche - potenziati a un nuovo cdmpleto impeto rivolu~ionario? Ebbene__allora io ti chiedo {]uale espediente rivoluzionano m~t varrà a ~ancellare il marchio anticapìtalistico 11npressocIdalla Chiesa di Rom·a, a far sorgere quello spirito capitalistico che i Comuni, il Rinascimento e il Risorgimento non sono riusciti a far sorgere: io ti doman~o comeeviterai che la rivoluzione delle masseop~ra1e e contadine ricada nel vecchio solco del poverismo cattolico, non sia semplicemente e rovi~osan_1e1:te un pazzo tentativo di ritorno al tempo in cu, con venti soldi al giorno l1 uomo era alloggiato, nutrito: libero, e... scriveva 21.ncoradei bei libri? ... Valgono insomma., non contro .cotesti nuclei. iniziali che sono stimabili, ma contro una loro ipotetica azione politica, le identiche obiezioni che • -valgono contro, la demagogia ridicola di_Bombacd e di Misiano >. Essi non riescono a risolvere ti problema, quale io lo vedo: e cioè:- . . . , Come è possibile che una nazione, deshtu,ta d, spirito capitalistico come la nostra, possa mette_re in piedi una disciplina sociale valI?a .ad.afferm~1s1 di fronte alle nazioni, che la loro d1sc1phnasocia!~ traggono da qnello spirito capitalistico? C_ome e possibile che l'Italia non diventi una colonia - .o non lo resti? > _,# Per chiudere con un filo di speranza, dopo questa domanda che pare disperata, faccio dne righe di inventario. 10 Non siamo soli a dover risolvere questo problema, nel mondo.. Questo prolJJema _è posto, in termini press'a poco identici, ai popoli slavi e alla civilizzazione cinese. Ecco due enormi aggruppamenti dell'umanità destituiti come noi, più di noi forse, di spirito capitalistico: eppure ben nsolut,, mi -pare, a non diventare colo1~ieanglosassoni. Siamo in buona compagnia. 20E' innegabile che un inizio di cristallizazione, iln inizio di speciale disciplina sociale si svolge attorno al cosidetto , socialisi110- dj cui tu li al- -fretti troppo a dichiarare l'impotenza. Njn c_om-. prendo, a dir vero, l'inter~retazio_ne nuss1rohana del fenomenosocialista. Lo 11ltendoinvececomeuna fo 1 nna di poverismo laico, che però m,pni:estala sua originalitfin questo: nella costituzione d1~na c~as~e diri«ente destituita si capisce, di spirito cap,tahstic~ ma reclutata' in base ad un certo rituale, e muni 1 ta delle conoscenze tecniche necessarie per far vivere una azienda. L'epiteto cli « mandarini .. e di e bonzi • lanciato contro gli organizzatori per offenderli mette bene in rilievo un aspetto di questa originalità: l'epiteto poi può essere trovato offensivo solo dagli ingenui. Se e come questa originalità possa svolgersi: se e come questa singolare classt dirigente possa essere paragonata a quelle che,.in Russia (funzionari bolscevichi) e in Cina (funz,o: nari cenfuciani), cercano di difendersi contro gh assalti delle classi dirigenti derivate-- dalle sètte ascetico-laiche e sorrette da intenso spirito capitalistico: e, finalmente, quali siano i rapporti ideologici di essa verso la Cl1lesa Romana e la sua attività: tutte queste cose sono forse di un grande interesse: ma per non cadere nel vago dilettantismo, hanno bisogno gi essere documentate con raffronti e citazioni lunghissime:-- Perclò chiudo. Tuo Giovanni Ansaldo. IO.e LIA ~IVOhUZIOT(E LIIBB~R.LtE· 11 IV. Ci sono nel « Manifesto , della Rivoluzione liberale alcuni sviluppi che sembrano e devono essere soprattuUo personali, corrispondendo ad un necessario processo di realizzazione letteraria e stilistica. Su tali concetti, che hanno avuto virti, di suscitare l'iro11iadell'amico Ansaldo, l'autore non chiede una adesione politica; li presenta come spiegazioni di stati d'animo descrizioni di atteggiamenti, non limi· lati a un pu;o senso biografico, ma ribelli ad ogni carattere sistematico. Nè di ciò si vuol discutere, nè ricercare analoghi elementi personali, facilmente contestabili in_nome di altre esperienze - negli scritti di Burzio, di Formentini, di Ansaldo qui pubblicati. Sotto l'ottimismo storicistico del Burzio (incline, per amore alla tradizione riformista a misconoscere le leggi autonomistiche della vita moderna, altra volta, nello studio sulla Democrazia, affermate) sotto il realismo di Fonnentini (che dall'autocritica è tratto a diffidare di ogni azione) ; sotto lo scetticismo di A1_1saldo (statico spettatore) - è agevole osservare un 111hmo consenso - più o meno specifico - alle premesse e agli intenti del criticato Manifesto. . A questo consenso è giusto corrispondere cl11arendoci e riesaminandoci, per evitare qualunque incertezza potesse essere sorta dalle antitesi della discussione. E anzitutto qual è il senso della nostra pretesa di aderire alla storia? La critica del conçetto presentata dal Formentini è validissima, ma non si può rivolgere contro di noi. Aderisce alla _storia anche chi vi repugna. E la storia è sempre diversa da quella che è present)! alla mente di chi si pro• pone di aderirvi. Le due affermazidni opposte sono tutte e due vere. Il presente è e non è nella stona. Perchè la storia è:insopprimibile, è unità di fatto e di farsi e cli non fatto; ma dalla storia non si de- .duce - ossia dalla storia non si astrae. L'azione dève vivere di storia (di concretezza); ma come azione è qualcosa di nuovo, che al passato nOn si riduce, libero; nasceimpreveduta, crea valori imprevidibili; ma poichè a11a storia invano si repugna, questo nuovo ha il suo significato in quanto si _sforza di sottoporre a sè tntto il pass~to. Da questa relazione soltauto (che è quanto dire: da nulla di arbitrario) n;rncel'avvenire. Quello che il Burzio chiama nostro schemadi in- -terpretazione del Risorgimento non è storia dél Risorgimento,ma, in un sensomolto prec1s_o,st?n~ nostra. Le nòstre esigenze nascono da s1tuaz1on1 determinate, e ~olo nel rnondo da cui nascono ~i spiegan9. Sarebbe ingenuo pensare che queste esigenzenascanosole, che ii mondo, ove hanno-luog~, vi si esrrurisca creandole. Nel Rlsorgimento c'è 11 nostro Risorgimento e quello di Ì3urzio; c'è il rifQrmismo e la rivoluzione: e il Risorgimento dello storico li comprende tutti. La verità della nostra 'interpretazione è condizionata dalla nostra azione: la legittimità di questa è nella continuHà di una tradizione. E' vero perciò che nel Mamfesto storia e propositi si generano reciprocament~ - condizionati da una nostra volontà. A chi critica la nostra storia del Risorgimento si risponde che essa non è una storia: anche se il farla iosse nei nostri intenti (in altra ora) non abbiamo mai creduto che la si potesse preannunciare in un articolo (sia pure lunghissimo, come alcuno ha protestato!). Mazzini, Cavour, Ferrari e tanti altri uomi11icideee for.ze sono state deliberatamente sacrificate per segnare con semplicità le linee di una crisi attuale, delle direzioni di pensieroche si pretendono continuare. . . Ma l'affermazione fondamentale da 1101 storicamente ed empiricantènte commentata, non ha bisogno di prove storiche perchè è creatdce della storia, è la verità di tutti i processi v,talt: la ne• gazione\ del riformismo in nome dell'autono1111a delle forze il necessario riconoscimento della spontaneità ri~oluzionaria dei movimenti popolari è concetto a cui credian<o e di cui siamo pronti a dare ctim~trazione scientificase mai qualclJeingenuo ne sentisse il .bisogno. Abbiamo visto questo principio sostanziale della lotta p'olHica in Italia individuato in elementi ideali e prahc, carattenshc, / del nostro tempo. E qui è dovere fissare i limiti ' dell'azione cui si è pensato. Esaltatori della lotta politica, consci che una lotta! politica in •Italia è stata siuora, per molteplici e chiarite ragioni, soffocata, il problema ceqtrale dello Stato ci è parso problemajdi adesione del popolo alla - vita dell'organismo sociale, problema di educazione •politica autonoma (non di scuola), esercizio di libertà, necessità di conflitti, di intransigenze. susc,-,; tatrici di una fede laica. Economicamente - d1c1amo pure con Ansaldo - creare lo spirito capitalistico. Ci permetta l'amico Ansaldo: ciò non ha nulla a cho fare col protestantesimo e col circolo di cultura religiosa - i11Italia il p.rotestantismo non può essere che un momento dello svil'!PP0 cattolico. No, qui il problema è di iniziativa economica e di attività libertaria. I partiti intransigenti, i partiti d'i i- masse (éontadini e operai) operano secondo_lalinea che noi seguiamo, concludono a un'opera liberale. ln questa preme§Sa l'identità di Stato liberale (liberistico) e di Stato etico, che non conv111ce il Burzio è per sè chiara: _ ~Ma a questo p~nto la rivoluzione reca un'esigenza, determina dei problemi. li problema essenziale è un problema di espressione, di tecnica realizza0 trice. Occorre che il popolo abbia il suo governo, occorre creare una classe dirigente che viva di esso, elle aderisca alla sua spontaneità, che corrisponda alla sua libertà. Il ~ompito è parso al nostro Sarmati antitetico colla premessa: il Governo nasce colla rivoluzione, non astratto da essai non preparato preventivamente. Ma oggi 1,iamo in una crisi rivÒluzionaria• n~i sorgiamo dalla:rivoluzione dopo aver lavorato'. lavorando con essa e non è certo l'Ordine Nuovo che possa rimproverarci aste•~:· sione o indifferenza. Tra il nostro atteggiamento di critici e le nostre conclusioni di pratici c'è invero una contraddizione tragica, ma vitale : la contraddizione implicita nell'azione, che è stata tra Cavour pensatore e Cavour 111.inistro,che c'è t~a Nitti capo di governo e Nitti scrittore di economia o di sociologia. li problema rivoluzionario sarà pure a un certo punto problema di uomini: noi prepariamo gli Sono dunque da voi dissimilissimo. . Voi (professori) cercate di catalogare, mentre_vI travolgono le ondate della piena, io (poeta) dIsp~- ratamente spero nell'auto distruzione dell'anarchia e nella ricostruzione d'una piramide, con al vertice il Papa e alla base il popolo. Ecco il mio programma I Confrontalo col vostro, una lirica accanto a un bilancio. Da ciò l'impossibilità d'intenderci. Saluti. D. Giuliotti. uomini che sappiano allora accettare la rivoluzione Cultura e operare realisticamente. In questo senso l_e.premesse ci conducono a un compito tecnico, d1c1amo pure al problemismo, cui accenna Formentini. M~ la premessa deve restare ben chiara anche se e lontana: non si tratta del semplice problema d1 cultura che scorge Burzio. politica a Genova Il risultato si è che mentre pensiamo ad agitare del1eforze (indirettamente o direttamente) possiamo sembrare ai frettolosi dei riformisti, perchè ci occupiamo dei problemi attuali, perché suggeri•".'~ riforme e proponiamo soluzioni. L'importante s_Ie che questa tecnica non distrugga quell'autonomia: di che siamo ben convinti: e non ci toccano, perchè si elidono da sè, le accuse opposte di conservatori e di rivoluzionari che vengono mosseal nostro realismo. Noi non crediamo alla validità delle riforme e invochiamo e favoriamo nuove libere forze: non crediamo alle formule e vi contrapponiamo l'immensità del reale. Determinare i limiti e i modi della conservazione del resto è stato sempre il compito tecnico dei rivoluzionari. ... Senonché dice Formentini, che tra i tre amIcI e. il più vicino al nostro pensiero, il problema presente è il collaborazionismo e uno spirito realista deve fare i suoi conti con esso. La funzione transitoria del collaborazionismo socialista è post& dal F. stesse eccellentemente: nonostante i promotori concluderà anch'esso ad arricchire il trionfo liberale del popolo, a liquidare i miti e i riformismi. Il nostro atteggiamento deve essere di netta opposizione per ovvie ragioni d'indole economica, e per una netta antitesi d'ordine politico: prec;3a111enteda un tal fenomeno dipende la validità, il momento dei successo della nostra ·affermazione liberista. In questi termini il nostro proposito di coltura politica ha la •ua definizione esplicita: in una iifterpretazione di forze e in un'esigenzadi tecnica che ognunodi noi sente come problema morate. Non è il luogo di rim,- proverare utopie, non siamo in nessun mo11dofantastico: cl disponiamoserenamente,con l'ascetismo che opportunamente richiede (e si chiede) il nostro collaboratore Formentiui a un compito che sappiamo grave, impopolare. . . Ansaldo non crede che sulla nostra v,a s, possa trovare il successo, non crede che del problema ci sia una soluzione. Il suo· scetticismo si aggrappa alla storia tla ciò che non c'è stato deduce ciò-che non ci sarà mar. li' che è manifestamente antistorico. Col metodo di Ansaldo era agèvole negli anni del Risorgimento negare la legittimità degli sforzi unitari. L'unità d'Italia non c'è mai stata, cfunque non q sarà. È un argomento che prova troppo ~ che cade da sè. Non si capisce come da tutto 1I sottile· e profondo discorso con cui egli commenta il nostro manifestopossaderivare una conclusione imRrecisache non risolve le esigenze accettate. La classe di mandarini amministratori sarà sempre in antitesi con· un popolo che sta sorgendo a vita economica e a vita politica (e questo fatto •'è provato nel Ma11ijesto), dunque la soluzione provvisoria si negherà in altre soluzioni più vitali. Le esperienze dei Comuni, del Rinascim~nto, del Risorgimento non sono s_toriedi fallimenti/ma lndicazioni di stati d'animo, di insopprimibili aspirazioni. Non è d~ chiedersi se, noi saremo capaci di continuarle, ct, concluderle: certo l'impresa è la più realistica che oggi si possapensare; di quel temerario realismo, che sa vedere e creare la realtà dove altri chiacchiera, pavido, di utopia. Per questo l'abbiamo posta come compito della nostra vita. Piero Gobetti. V Questa lettera di Domenico Giuliotti nou • vuol essere una partecipazione al nostro lavoro. E' l'antitesi netta ed onesta di un amico per il quale abbiamo una profonda stima. ln questa lettera,_eh• è come la sintesi di tutto il libro di Gl,'ora di Barabba, non c'è soltanto poesia, c'è un· notevol~ e rispettabile lede maturata 111 una poderosa umtà, in ferreo anacronismo. La rude sincerità di Giuliotti richiama il cattolicismo alla sua logica medioevale e diventa, come altrove s'è notato, forza feconda dialettica attraverso cui il mondo moderno ritrova la sua unità. Il programma di Giuliotti può parere esaltato o intemperante alle mezze coscienze, paurose di ogni posizione rigida, tolleranti per comodo e per poca serietà· esso ha un vizio chiaro di anti-storicismo messia;1ico,ma ~ tutti i messianismi utilitaristi e riformisti ha la superiorità che scaturisco da una terribile coerenza ideale, e da una limpida fede, ingenua e con1batUva, nelÌa trascendenz~. E noi s·timiamola sua intransigenza, che non c1stancheremo mai di combattere, mentre consideriamocon disdegno tutti ·i catechismi predicanti tran•azioni e conciliazioni. Caro Gobetti, Accanto e sopra alla sua grande funzione commerciale e industriale, Genova non ha (o almeno, passa per n,on avere) una propri~ funzione intellettuale e direttiva nella politica e nella cultura italiana. Milano, Torino, Bologna, Firenze: centri d'idee, creatori di movimento, iniziatori ex nilti/o di vita nuova. Genova: come un nautilu dalle splendide iridescenze, ma di poche forze, si lasèia por tare, .:\'on che le manchi la cultura, come si pensa tante volte, erroneamente: ma la. cultura pur diffusa, è indi vi duale, atomistica, idciebolita dal frazionamento, riunita talvolta in collettività ma senza superare il semplice aggregamento: epperò sente gli echi e rimanda vibrando le onde che vengono di lontano, ma non ne produce essa del suo. Questa condizione, diciamo cùsÌ, secondaria c'è tanto per la cultura che per la poli ti ca: o megliù pare ed è l'opinione che sia così. E per la cultura in sè, si capisce: perchè essa vuole che lo spirito le si dedichi tutto, come a un'amata che non si trascura, sotto pena di perderla: e la vita febbrile del commercio e dell'industria non agevola certo questa dedizione, la impedisce anzi, la presenta come un infrangere i dovei;_i, sacri o forzati, della pratica. A parte la superficiaie cultura femminile, vernice •che si stende su tutte le ·menti per la solita educazione di classe borghese: a parte il lavo.o delle scuole, dell'Università (modesro, non infruttuoso, ma: accademico); vùi sentite qui la presenza dei germi di una più ricca vita dello spirito, la avvertite nelle poche manifestazioni che se ne rilevano (qualche mostra d'arte, qualche rivista fine e signorile), la ammirate nei modesti uo- • mini d'ufficio o di banc~ o di fabbrica; ma quei germi vivono rachitici, stenti, in una stJrile fioritura dl dilettantesimo: oppure espandono i lorn polloni fuori, in altro suolo. Tanto che l'uomo di cultura, quello che veramente fa il progresso come suo artefice e non semplice goditore, ha l'impressione di essere peregrino in sua patria, e il suo cuore s'avviva solo di consonanze lontane. Ma per la vita politica ripetere semplicemente lo stesso giudizio.è falsità, o almeno esageraz~one, che guarda solo alle esteriori apparenze, non al nocciolo interno. Noi crediamo anzi che in questo campo si troveranno le_ nuove energie che attraverso ìa formàzione di una cultura politica muoveranno a ricostituire e avvivare, in genere, la cultura. Di fronte alla calma superiore dello spirito il genovese rifiuta, un po' apatico, di turbarla per l'azione culturale: Deus nobis liaec otia .fecit, il dio della tenacia ligure, creator~di ricchezze nei secoli; e perchè non goderli in pace, questi ozi? Ma il turbinio dei fatti, oscuri come di sabbia e polvere, lo attrae e scuote verso l'attività produttiva e organizzatrice di politica cittadina e nazionale. Forse perchè toccato nell'interesse, intento alla conservazione e all'accrescimento del,proprio sè economico? Kon forse, ma certo; questo è il primo stimolo, il più vivo, il più lancinante. Un'opera di cultura politica che anzichè procedere dalla • pratica all'idea, cerchi d'instaur~re anzitutto l'idea, quasi come un 'educazione astratta e formale, qui muore.· Ma non è detto che da quello stimolo non si assurga a più alte vette: e il realismo politico genovese è certo superiore a quello di molte altre grandi città italiane. Tanfo che i movimenti più scapigliati e scapestrati a. Genùva rinsaniscono, e in qualche modo, per l'inevitabile reazione dell'antico tronco su cui s'innestano: il tronco della razza. Per un pezzo, fino verso il 1902-'903, la politica genoves~ dùpo il '70 si riassunse in queste poche sigle: pseudoliberalismo personale e plutùcratico: blocco ~!ericale, più o meno conservatore, rappresentato dalla Unione Genovese (vecchia nobiltà e bassa borghesia); e mazzinianesimo socialdemocratico, rappresentante della vecchia, glùriosa tradizione rivoluzionaria e repubblicana. La scarsezza di alto slancio economico finò allora regnante, favùri va, se non il fiorire, certo il consolidarsi delle due prime tendenze, dominanti or l'una or l'alNessuna osservazione da fare. Nego tutto. tra e più spesso tutt'e due, come alleate; Sono antiliberale, antidemocratico, antisocialista, la terza, morti i duci più intelligenti, Ce- anticomunista. sare Cabella e Giorgio Doria, rimaneva deIn una parola, antimoderno. bole e incerta sebbene esteriormente battaIn questa Italia di briganti-pazzi, vivo con la gliera: ora colorandosi di letteratura! _ora trlste'zza ostile d'uno straniero che non ha più di garibaldinismo: senza nessuna onginapatria. lità. Ma con ! 'avanzare del nuovo secolo,

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